Più “trumpista” di Trump. Con un obiettivo, quasi un’ossessione: fare il vuoto attorno al regime degli ayatollah, a ogni costo, con ogni mezzo. È l’America first in Medio Oriente nella versione di Secretary Pompeo. Isolare l’Iran, anche punendo le milizie irachene e i politici.
I tentativi degli Stati Uniti di isolare l’Iran, anche punendo le milizie irachene e i politici sciiti sostenuti da Teheran. Una linea operativa che, non solo ha aggravato le tensioni tra Washington e Baghdad, ma ha evidenziato una divisione anche all’interno dell’amministrazione Trump. Stando a quanto fatto filtrare da esponenti del Pentagono e dell’intelligence statunitensi, la crescente pressione sull’Iraq rischia di radicalizzare il parlamento iracheno, compresi i politici legati all’Iran, che potrebbero limitare i movimenti dei 5.200 militari statunitensi di stanza in Iraq. Preoccupazioni che non sembrano scalfire le granitiche certezze dell’ex direttore della Cia. Ogni mossa, ogni missione in Medio Oriente di Pompeo (l’ultima in ordine di tempo l’ha portato in Kuwait, Israele e Libano) ha sempre la stessa finalità: contenere l’espansionismo iraniano nella regione, spezzando la direttrice Baghdad-Damasco-Beirut.
Pompeo ha studiato attentamente tutte le mosse del presidente russo Vladimir Putin in Medio Oriente, giungendo a una conclusione: il leader del Cremlino vince perché sceglie. Sceglie chi sostenere, Bashar al-Assad in Siria ad esempio, e poi tira avanti su questa linea, senza tentennamenti.
Questo è lo schema che Mike Pompeo ha voluto riportare nel campo americano, facendo ricadere la scelta sul quadrante mediorientale: sostenendo Israele e l’Arabia Saudita; e come nemico contro cui consolidare le alleanze l’Iran.

Il segretario di stato, presentando il suo programma d’azione al momento della sua investitura alla guida della diplomazia Usa, ha affermato che a Teheran:
si chiede di rispettare le norme globali e di non minacciare il mondo con le sue attività nucleari.
Ha inoltre sostenuto, parlando dell’accordo nucleare siglato nel 2015 dal quale gli Stati Uniti sono usciti:
ha messo il mondo in pericolo per le sue lacune. Il meccanismo per controllare e verificare era semplicemente troppo debole. L’Iran ha mentito per anni sul suo programma nucleare. Anche oggi, il regime continua a mentire.
In un altro passaggio il numero uno della diplomazia a stelle e strisce aggiunge:
L’Iran ha portato avanti la propria marcia in Medio Oriente mentre l’accordo era in vigore. Durante l’accordo, l’Iran ha continuato a trattenere ostaggi americani e ha continuato ad essere il principale sponsor del terrorismo. A Teheran sono riconducibili operazioni con omicidi sotto copertura nel cuore dell’Europa. È per tutto questo – dice rivolgendosi al popolo iraniano – che volete sia ricordato il vostro Paese?
È proprio quest’ultimo passaggio che dà conto della filosofia interventista del top diplomat americano: l’obiettivo vero, finale è il cambio di regime a Teheran. Le sanzioni ne sono lo strumento, il nucleare la presunta “pistola fumante”.
Il debutto di Mike Pompeo è col botto. Il numero uno della diplomazia americana ha chiesto all’Iran, oltre che di rivelare all’Aiea, l’agenzia internazionale per il controllo dell’energia atomica, tutte le informazioni relative al suo programma nucleare e di abbandonarlo per sempre, di fermare tutti gli aiuti a gruppi terroristici nella regione come Hezbollah, Hamas e la Jihad palestinese. Di rispettare la sovranità dell’Iraq, e di abbandonare il supporto agli Houthi nello Yemen. Di ritirarsi dalla Siria, di fermare la sua collaborazione con i Talebani in Afghanistan e al-Qaeda e di cessare le minacce all’Arabia Saudita e a Israele.

La distensione, almeno in Medio Oriente, non è una priorità per Pompeo. O meglio, la distensione, nell’ottica della sua versione di America first, per essere contemplata deve venire a seguito di un ridimensionamento sostanziale della presenza iraniana nella regione; ridimensionamento che, nel suo schema, è un passaggio ma non la meta. Perché la meta resta l’abbattimento del regime degli ayatollah.
Questo passa per una mossa che, se realizzata, segnerebbe un passaggio di svolta nella strategia di Pompeo: inserire i Guardiani della rivoluzione (i pasdaran) nella black list delle organizzazioni terroristiche. Sarebbe la prima volta che Washington indica come organizzazione terroristica un corpo militare di un altro governo. La preoccupazione espressa da funzionari americani operativi al Pentagono, e non solo, è che una simile decisione potrebbe mettere le truppe statunitensi e gli 007 impegnati sul campo a rischio di ritorsione da parte di governi stranieri in orbita iraniana.
Il piano Pompeo s’estenderebbe anche ad alcune milizie sciite irachene, indicate come organizzazioni terroristiche: le milizie in questione, e i politici iracheni che le sostengono, sarebbero soggetti a nuove sanzioni economiche e, per i capi e sponsor, restrizioni di viaggio.
Il piano è stato rivelato al New York Times, a condizione dell’anonimato, da una mezza dozzina di funzionari ed esperti americani e iracheni che conoscono il dossier. Sollecitato dall’inviato del New York Times seguito del segretario di Stato nel suo viaggio in Kuwait, Pompeo ha confermato che stava monitorando vari gruppi, tra i quali i Guardiani della rivoluzione, legati alla guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei.
Pompeo ha affermato parlando con le autorità dell’emirato del Golfo:
Potrebbero esserci altre organizzazioni che designiamo. Soffriamo tutti delle stesse minacce, da al-Qaeda, dall’Isis, dall’Iran.
Concetto rilanciato nella tappa israeliana, ma a Gerusalemme Pompeo gioca in casa, avendo come sodale uno dei più accaniti sostenitori della linea durissima contro l’Iran: Benjamin Netanyahu. Il premier israeliano, in piena campagna elettorale proclama:
Stati Uniti e Israele cooperano in stretto coordinamento per ridurre l’aggressione dell’Iran nella regione e nel mondo.
Pompeo non gli è da meno, sottolineando la necessità di:
Fermare la furia regionale perpetrata dall’Iran, che cerca la distruzione e l’annientamento assoluto di Israele. Una tale minaccia è una realtà quotidiana nella vita di Israele, manteniamo il nostro impegno per la sicurezza di Israele e sosteniamo formalmente il suo diritto a difendersi.
Per portarsi avanti con il lavoro, il dipartimento di stato ha già indicato un gruppo iracheno come organizzazione terroristica, nonostante l’opposizione del Pentagono. Le milizie irachene, alcune delle quali sono state addestrate dai pasdaran iraniani, operano con l’approvazione o il sostegno finanziario di Baghdad. Molti sono player legittimi nella politica irachena. Fanno parte delle Forze di mobilitazione popolare, un’organizzazione che raggruppa circa cinquanta gruppi paramilitari che hanno combattuto contro lo Stato islamico, e sono pagati dal governo iracheno, “dominato” dagli sciiti.
Il primo ministro iracheno Adel Abdul Mahdi ha affermato la scorsa settimana:
Gli americani possono prendere le decisioni che vogliono, ma ciò che gli americani vedono è diverso da quello che vediamo noi. La nostra posizione sulle forze di mobilitazione popolare è molto chiara e ben nota.
La prova di forza voluta da Pompeo – che per rincarare la dose ha “invitato” i governanti iracheni a non rifornirsi più di petrolio iraniano – trova voci decisamente contrarie non solo a Baghdad, ma anche a Washington. Funzionari del Pentagono e della Cia si oppongono all’inserimento dei Guardiani della rivoluzione e delle milizie irachene tra le organizzazioni terroristiche da sanzionare, temendo una reazione fortemente ostile, non solo nel teatro mediorientale, ma anche alle truppe statunitensi.
Qassim Suleimani, il potente comandante della Quds Force, l’unità di élite dei Guardiani della rivoluzione islamica, di casa in Iraq, è già stato inserito nell’elenco dei “cattivi”. Secondo uno studio recente, i pasdaran controllerebbero addirittura il quaranta per cento dell’economia iraniana: dal petrolio al gas, dalle banche alle telecomunicazioni passando per le costruzioni. Un’ascesa che si è verificata soprattutto sotto la presidenza di Ahmadinejad, ma che è proseguita sotto quella di Rohani.
I pasdaran fanno direttamente capo alla Guida suprema della Repubblica islamica dell’Iran, l’Ayatollah Ali Khamenei, e sempre Khamenei direttamente la Setad, una fondazione con 95 miliardi di dollari di asset presente in tutti i comparti dell’economia. Doveva rimanere in vita solo un paio d’anni ma nel corso del tempo si è trasformata in un colosso immobiliare da cinquantadue miliardi di asset che ha acquistato partecipazioni in decine di aziende in quasi tutti i settori: finanza, petrolio, telecomunicazioni, dalla produzione di pillole anticoncezionali all’allevamento degli struzzi.
Tra portafoglio immobiliare (cinquantadue miliardi di dollari) e quote societarie, quarantatré miliardi, la Setad ha un valore nettamente superiore alle esportazioni petrolifere iraniane dello scorso anno. Le Bonyad, le fondazioni esentasse, sono il cuore dell’economia: detengono almeno il trenta/quaranta per cento del Pil e hanno sottratto spazio ai privati favorendo soltanto alcuni di loro, quelli vicini alla cerchia del potere che ricordiamolo è comunque sempre a geometria variabile, a seconda delle stagioni politiche. Se si somma il potere diretto di Khamenei a quello, altrettanto pervasivo e radicato della Pasdaran holding, si ha un quadro sufficientemente nitido su un regime teocratico-militare che si è fatto, per l’appunto, sistema.
Per sostenere direttamente il regime di Assad, l’Iran, come Stato, attraverso le proprie banche, ha investito oltre quattro miliardi e seicentomila dollari, che non includono gli armamenti scaricati quotidianamente da aerei cargo iraniani all’aeroporto di Damasco, destinanti principalmente ai Guardiani della rivoluzione impegnati, assieme agli Hezbollah, a fianco dell’esercito lealista.
Non basta; almeno cinquantamila pasdaran hanno combattuto in questi anni in Siria, ricevendo un salario mensile di trecento dollari. Lo Stato iraniano ha pagato loro anche armi, viaggi e sussistenza. E così è avvenuto anche per i miliziani del Partito di Dio. Derubricare questo stato nello stato a livello di un Hamas o anche di Hezbollah, è un azzardo pericoloso per gli Usa. Il Pentagono ne è consapevole, Pompeo no…

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