[PARIGI]
Con il professor Kenneth Brown, che conosce molto bene la storia e la situazione attuale in Israele, parliamo delle prossime elezioni e di come e se cambieranno il quadro politico del paese mediorientale. La conversazione con il fondatore e direttore della rivista Méditerranéennes/Mediterraneans tocca altri temi connessi, seppur indirettamente, con le vicende israeliane: l’allarmante, crescente antisemitismo in Occidente e la questione a esso collegato dell’antisionismo.

Gli israeliani torneranno alle urne il 9 aprile per delle elezioni che avrebbero dovuto tenersi il prossimo novembre. In che modo le elezioni del 2019 sono simili o diverse dalle elezioni precedenti?
Sono elezioni molto diverse. In primo luogo, ci sono nuovi partiti e nuove alleanze. Il nuovo partito creato dal generale “Benny” Gantz e la sua alleanza con il partito centrista di Yair Lapid; a destra, il primo ministro Benjamin Netanyahu è costretto a stringere alleanze con estremisti di destra per cercare di avere una maggioranza.
In secondo luogo, Netanyahu è stato accusato di corruzione e andrà in tribunale prima delle elezioni. Questo potrebbe cambiare alcune cose nei risultati elettorali.
Qual è la posta in gioco di queste elezioni?
Le differenze politiche non sono grandi tra i partiti principali. Tutti parlano ancora di problemi di sicurezza, più o meno offensivi verso i Territori palestinesi, dimenticando le molte questioni politiche interne (disuguaglianze, razzismo nei confronti degli arabi israeliani, degli ebrei etiopi, ecc.).
C’è qualcuno che può sfidare il primo ministro Netanyahu questa volta?
Benny Gantz e la sua alleanza hanno delle possibilità di sostituire Netanyahu, almeno secondo gli ultimi sondaggi sulla popolarità dell’ex generale. Tuttavia, credo che un nuovo primo ministro non cambierà le attuali politiche. D’altra parte, dato il suo background militare, Gantz potrebbe condurre una politica molto più offensiva nei confronti di Gaza. Ripeto: in termini di politica interna, le vere questioni della società come la redistribuzione della ricchezza, le differenze politiche tra Netanyahu e Gantz non sono abbastanza grandi per parlare di un vero cambiamento, in caso di vittoria del generale.

Il 19 luglio 2018, Israele ha adottato una legge controversa sulla Stato-Nazione che è stata giudicata discriminatoria da diversi esperti perché non menziona l’uguaglianza di tutti i suoi abitanti indipendentemente dalla religione, dalla razza o dal sesso. La legge è stata quindi accusata di affermare l’egemonia delle comunità ebraiche all’interno dello stato di Israele. Israele è sul punto di perdere il suo carattere democratico?
Lo spirito della legge non è democratico. Non ho memoria di un paese democratico che nella storia recente abbia legalmente differenziato tra i suoi cittadini sulla base della loro religione, lingua, razza o genere. Fondamentalmente questa legge è l’espressione di un’ideologia che il governo Netanyahu ha adottato. Il governo israeliano, inoltre, non ha considerato le conseguenze di questa legge all’estero in termini di reputazione. La legge sullo Stato-Nazione può indebolire i legami con le comunità ebraiche in tutto il mondo: le comunità negli Stati Uniti e in Francia hanno espresso dubbi su questa legge.
Ci sono altri stati che hanno adottato questo principio discriminatorio. Ad esempio, l’Algeria è definita come un paese musulmano. Tuttavia, a mio parere, ai nostri giorni legiferare una religione nazionale non è del tutto democratico: viviamo in un mondo plurale. Anche Israele è un paese plurale dal punto di vista religioso: musulmani e cristiani rappresentano il venti per cento della popolazione.
Recentemente su Haaretz, Eric H. Yoffie ha affermato che la deputata Rashida Tlaib, la prima musulmana e americano-palestinese a essere eletta alla Camera dei rappresentanti, e il primo ministro Netanyahu, anche se affrontano l’argomento da diverse angolazioni, sono entrambi difensori della soluzione di uno stato unico: per Tlaib, lo stato sarebbe la Grande Palestina; per Netanyahu, la Grande Israele. E per Yoffie entrambi sono partner nella distruzione dello stato ebraico perché un singolo stato binazionale non è sionismo; è l’anti-sionismo, che è la posizione che Tlaib e Netanyahu abbracciano. Cosa ne pensa?
Non sono d’accordo. Ci sono sionisti che sostengono la soluzione dei due stati perché temono un paese in cui i palestinesi prenderanno il potere e distruggeranno l’idea stessa di Israele come stato ebraico. L’idea di un singolo stato di coloni israeliani, inclusi i territori palestinesi occupati, è basata su principi coloniali o sull’idea di creare un Bantustan. Penso che Rashida Tlaib immaginasse qualcos’altro, un vero stato democratico.

C’è una confusione malsana tra anti-sionismo e antisemitismo?
L’antisemitismo, cioè l’ostilità nei confronti degli ebrei come gruppo etnico, religioso o razziale, ha una storia che risale al Cristianesimo, che ha continuato per tutto il Medioevo fino alla forma moderna più distruttiva realizzata dal nazismo. Dalla seconda guerra mondiale non ha cessato di esistere in molti paesi, soprattutto europei, in contesti diversi e specifici.
L’antisionismo, invece, è l’opposizione a una o più ideologie di giustificazione dello stato di Israele: originariamente il sionismo era un movimento nazionalista ebraico nato alla fine del diciannovesimo secolo. Questo movimento è riuscito, con il mandato britannico sulla Palestina e varie guerre, a fondare e radicare uno stato-nazione.
Come ideologia il sionismo aveva combinato diversi elementi: la paura della diffusione dell’antisemitismo in Europa – nei paesi dell’Est in particolare ma anche in Francia con l’affaire Dreyfus – e una forma di colonialismo di cui è stato evidenziato lo spirito “pionieristico”. Era anche legato al rinascimento della lingua ebraica, alla nozione di essere un antico popolo disperso, senza uno stato, e alla ripresa del messaggio biblico. Come tutte le ideologie, è stato usato dallo stato nascente per mobilitare un senso di appartenenza a un singolo stato-nazione. Tuttavia, nel tempo, l’incontro tra il sionismo e un’altra ideologia – l’idea dell’esistenza di “popolo” ebraico – ha complicato quest’idea.
Quando parliamo di un popolo – non importa dove siano sparsi i loro membri – del “loro” paese, della minaccia di cancellazione di quello stato, quindi della sua sicurezza soprattutto, è ideologia. Un’ideologia che ha “sionismo” per giustificare e realizzare politiche specifiche.
Purtroppo, a mio parere, le persone che s’oppongono alle politiche israeliane si definiscono anch’esse “antisioniste”: è un errore politico assoluto. Quando parliamo di antisionismo, parliamo dell’opposizione a un’ideologia che è molto elastica ed è usata per diversi motivi.
Pensa che valga la pena di distinguere tra antisemitismo/antisionismo da destra e sinistra. Sarebbe più utile considerarli come la stessa cosa?
Secondo me è necessario differenziare bene. L’antisemitismo e l’antisionismo sono elementi che sono sempre esistiti nella destra e nell’estrema destra, mentre è completamente di minoranza a sinistra. L’antisemitismo e l’antisionismo esistono a sinistra, ma sono piuttosto fenomeni legati a militanti estremisti che sono razzisti.

Ma esiste un rischio di una diffusione a sinistra di proposte antisemite nascoste dietro legittime critiche alle politiche israeliane? Ad esempio, Jeremy Corbyn, leader dell’opposizione britannica, è stato criticato per aver tenuto un simile comportamento.
È stata una manipolazione la critica a Jeremy Corbyn e alle sue idee socio-economiche. Non è un antisemita, ci sono diverse prove. È contro la politica israeliana, come molte persone di sinistra: non ha nulla a che fare con l’antisemitismo. Come forma di manipolazione, l’attacco a Corbyn mira a rendere uguali l’estrema sinistra e l’estrema destra.
Mentre in Francia si moltiplicano gli atti e le minacce antisemiti, Emmanuel Macron vuole penalizzare l’antisionismo, attraverso un disegno di legge. Cosa ne pensa?
Non sono d’accordo con questa legge. C’è fondamentalmente un’ignoranza di che cosa siano antisemitismo e anti-sionismo. È propaganda. Ma nel caso francese rischiamo di limitare la libertà di espressione e di critica alle politiche israeliane. Se il governo decide di approvare la legge, anche le azioni contro le politiche israeliane non saranno più possibili. Ad esempio, l’azione politica guidata dal movimento “Boicottaggio, disinvestimento” (BDS), la campagna internazionale che chiede un boicottaggio contro Israele. Sono favorevole al boicottaggio, ma oggi rischia di essere considerato un crimine in Francia. D’altra parte, secondo me, il boicottaggio è l’unico modo per far capire agli israeliani gli orrori delle politiche del loro stato.
Il governo israeliano di destra vede i leader illiberali nazionalisti di Polonia e Ungheria come alleati. I leader di questi paesi condividono l’ostilità ai diritti umani, i valori dell’Illuminismo e dell’Unione europea. E a volte discorsi antisemiti non troppo nascosti (la campagna contro George Soros in Ungheria). Perché pensi che Netanyahu li consideri alleati?
Netanyahu è un politico opportunista. Quindi, quando c’è qualcuno che lo sostiene, questo governo diventa il suo alleato. Il primo ministro israeliano pensa che il suo stato sia sotto un continuo assedio e usa questa idea politicamente per giustificare qualsiasi alleanza. Anche se sono partiti che appoggiano proposte o campagne antisemite, come nel caso della campagna contro George Soros in Ungheria.

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