Duecentosette anni l’Ateneo Veneto, centoventiquattro la Biennale. Nella grande esposizione del sapere umano che Venezia mostra a ogni angolo e a ogni minuto di strada, ieri si è determinato un incontro di qualità. Le cronache ne narreranno l’affollamento di presenze, la profondità di pensiero, il consenso generale, la maturità dell’uditorio, la “bellezza” complessiva dell’apertura dell’anno accademico dell’Ateneo e della prolusione del presidente della Biennale. Chi era presente vi ha riconosciuto un filo elegante negli interventi dei presidenti: Scarante e Baratta hanno lavorato sui meccanismi della fruizione dell’arte, prima, e sul senso dell’acquisizione della stessa, poi; in entrambi i casi a vantaggio di chi la frequenta e ne accoglie i prodotti. Cioè noi.
Di prammatica l’intervento di Gianpaolo Scarante sull’attività dell’Ateneo, ma è chiara la duplice argomentazione: l’arte inverata nelle strutture dell’Ateneo è un sistema di comunicazione con i cittadini veneziani da un lato e con il mondo dall’altro. Il recente apporto in Washington di un’opera di proprietà dell’Ateneo per la mostra su Tintoretto apre percorsi internazionali da completare verso l’altro polo (geografico e politico) rappresentato da quella Cina che nei secoli ha sempre avuto Venezia come riferimento.
Forte l’insistenza di Paolo Baratta sulla natura quasi immateriale, rispetto al prodotto o all’atto artistico, dei supporti fisici, dei luoghi, della organizzazione, degli spazi e degli allestimenti utilizzati e infine anche della bigliettazione: quelli sono l’essenzialità della Biennale per i visitatori ma non distraggono dall’essenza dell’arte, perché la Biennale – nella impostazione recente – funziona da involucro di prima qualità, non da giudice di quanto nelle scelte dei singoli paesi viene esposto.
Una cerimonia completa quindi quella dell’Ateneo veneto. All’esito del quale si porrà alla fine un tema novecentesco: chi è la Venezia per la quale l’Ateneo lavora? Oggi è all’evidenza di tutti l’esistenza di cinque Venezie: la città storica, la città sull’acqua, la città di terraferma, la città ammnistrativa, cioè il comune di Venezia, e la città metropolitana della Costituzione. Nessuna di queste – nemmeno la città storica – è il titolare esclusivo del nome.
L’Ateneo pare concentrarsi sulla prima: e questo è il vero problema per molte istituzioni nate nella Venezia del passato. In un primo tempo lo svolgersi della storia contemporanea portava a chiudere le attività della città storica per riaprirle in terraferma: si trattasse di assicurazioni o di giornali.
Ma più recentemente l’argomento si è fatto più consapevole e moderno: tre soggetti giuridici differenti hanno seguito un’altra strada: rimanere nella città storica e aprire una seconda presenza oltre laguna: le Università veneziane, la Fondazione (bancaria) di Venezia e da ultima proprio la Biennale. Pur non sempre certificata da un successo immediato, questa ormai è una via tracciata: potrebbe essere l’indirizzo del futuro Ateneo Veneto.

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