Il presidente del Messico, Andrés Manuel López Obrador, ha scritto al papa e al re di Spagna, invitandoli a chiedere perdono ai nativi americani per il trattamento che ha riservato loro la Conquista. Nel messaggio, il presidente messicano sottolinea che l’arrivo di Hernán Cortés, che segna l’atto di nascita del Messico, ha messo in moto la “distruzione sistematica delle culture mesoamericane”, una pratica che è continuata anche nei due secoli dell’indipendenza, come testimoniano le stragi di yaquis e maya durante il governo di Porfirio Díaz e di cinesi durante la Rivoluzione del 1910. Per tale comportamento il governo del Messico chiederà pubblicamente perdono in una cerimonia programmata nel 2021, indicato come “Anno della riconciliazione”, alla quale vorrebbe che partecipassero anche il re di Spagna e il Papa.
La richiesta ha provocato una dura reazione del governo spagnolo che considera la lettera un errore e perciò “respinge energicamente il suo contenuto”. Lo scrittore Pérez Reverte va ancora oltre e reagisce scompostamente definendo il presidente messicano “un imbecille” e, in alternativa, una “faccia tosta”. Non mancano in Spagna considerazioni di tutt’altro segno. Dal suo canto, il Vaticano osserva ancora silenzio.

López Obrador aveva affrontato le problematiche dei popoli autoctoni già in campagna elettorale sostenendo che di loro non si occupa nessuno da cinquecento anni, che le loro condizioni sono la testimonianza di una ferita aperta che è necessario rimarginare e che le responsabilità storiche non sono solo della Chiesa di Roma e della Spagna, ma anche del Messico.
Dallo scritto traspare una volontà sincera di mettere in luce una verità storica nascosta per poter superare un conflitto che ha relegato una parte significativa della popolazione del Messico in uno stato di legittimità condizionata per effetto di una vicenda che l’ha negata e discriminata con la Conquista e dopo. Insomma non è un problema che si può superare dicendo che oramai è accaduto e che i messicani hanno nomi spagnoli e parlano in spagnolo.
Il problema esiste ed è serio perché quella storia ha definito inclusioni ed esclusioni di cui anche i messicani devono prendere coscienza.
Le questioni della riconciliazione e della pacificazione sono state un tema ricorrente della campagna elettorale di López Obrador che, eletto, ha creato il “Consiglio della Memoria Storica” unitamente alle commissioni per le vittime della violenza che coinvolgono direttamente lo stato.
Il Messico è un paese complesso in cui si sommano i conflitti che hanno origine con la Conquista e quelli attuali legati al commercio della droga e della prostituzione. Si tratta di questioni radicate al punto di essere ormai delle vere e proprie rotture permanenti. Nel paese vivono quindici milioni di discendenti dei nativi distribuiti in sessantotto comunità che parlano un centinaio di lingue differenti. Più del sessanta per cento della popolazione è costituita da meticci.
È una popolazione che vive al margine e in condizione di succubanza culturale e sociale ed è un’eredità della Conquista che prese possesso delle terre del Nuovo Mondo ostentando una superiorità morale legittimata dal cosiddetto Testamento di Costantino, un documento apocrifo su cui era stato redatto il Requerimiento che il sacerdote leggeva agli ignari nativi informandoli che in principio Dio aveva creato Adamo e poi la donna che con lui sarebbe stata espulsa dal paradiso per popolare la terra.
E la questione non si chiudeva lì, visto che per almeno un secolo i conquistatori si sono domandati se i nativi avessero un’anima.

A questa situazione, conflittuale non solo potenzialmente, tra un passato negato e un presente che si sente legittimato dalla storia, si somma la spaventosa realtà di una guerra interna che solo nel 2018 ha provocato circa trentamila morti violente. Si tratta di pratiche che nascono nella miseria e in una marginalità sociale costituita da circa ottanta milioni di persone che vivono in prevalenza in una campagna spesso dimenticata. È una realtà desolante che lo scrittore Juan Rulfo ha messo in luce con le sue opere fra cui Pedro Paramo.
La ricomposizione della storia del Messico, in un percorso che comincia dallo scontro tra i conquistadores e i popoli nativi, non ha fatto molta strada ed è rimasta sullo sfondo, come una negazione che non ha soluzione, e ribadita da un uso politico che ha gestito l’evento in modo xenofobo e con un nazionalismo di comodo, che ha scaricato i problemi del paese sullo “straniero” il cui rappresentante per eccellenza è Cortés.
Non mancano importanti lavori storici e letterari che tendono ad affermare la verità, come quello dello scrittore Carlos Fuentes, che in occasione del quarto centenario della scoperta ha scritto il saggio El Espejo enterrado (Lo specchio sotterrato) con cui, come fa oggi López Obrador, fissa la nascita del Messico con l’incontro tra i conquistatori con gli aztechi e le altre popolazioni mesoamericane, che è un punto di vista non proprio scontato nel paese.
È un percorso che trova sempre maggiori adesioni, fra cui quella della scrittrice Laura Esquivel che ripropone Malintzin o Malinche, la principessa nativa vista come complice di Cortés, in chiave femminile e positiva; e, più recentemente, di Julián Herbert che ha scavato negli eccidi perpetrati nel 1911 contro la comunità cinese di Torreón.
Insomma, la storia dice che gli europei conquistarono il Nuovo Mondo legittimati con la legittimazione di un documento falso e con la spada, che provocarono insieme una caduta demografica: dai quasi cinque milioni all’arrivo degli europei si passa in Messico al milione e mezzo nel giro di centocinquanta anni.
Credo che la semplice falsità documentale sia una ragione sufficiente perché una qualsiasi istituzione che intenda operare nel crisma della verità – la Chiesa di Roma, in primis – debba sentire il dovere di chiedere perdono, come ha fatto d’altra parte con Galileo. Qui non si tratta di una questione fra stati, ma di un tema di dignità culturale che riguarda le civiltà mesoamericane e il loro diritto a un risarcimento morale per un atto che le ha praticamente cancellate dalla storia.
Ed è una questione che non riguarda i paesi dell’America Latina, ma le loro etnie e le loro culture che gli stessi stati latinoamericani, come sottolinea López Obrador per il Messico, non hanno rispettato. Esse meritano il rispetto degli spagnoli e anche della Chiesa, e papa Francesco sa bene quanto difficile sia stato il destino dei nativi in Argentina, anche se in modo minore a quello di regioni come il Perù, la Bolivia e il Mesoamerica specialmente, come ricorda Facundo o Civilización y barbarie del suo connazionale Domingo Sarmiento.

A guardare la questione con occhio ancora più attento, López Obrador ha posto sul tappeto il colonialismo e la responsabilità storica dei protagonisti di una vicenda storica che ha coinvolto ampie regioni del mondo dove in nome di un’azione civilizzatrice sono stati perpetrati grandi misfatti che non solo la Spagna non intende riconoscere, ma neppure l’Europa, come dimostra l’atteggiamento assunto verso il fenomeno migratorio.
Certo che sarebbe una grande lezione di storia e di dirittura morale se papa Francesco e la Chiesa di Roma mostrassero che il cammino della redenzione delle anime non può essere diverso da quello della dignità dell’uomo.
Nell’immagine di apertura L’arrivo di Colombo a San Salvador di Dióscoro Teófilo de la Puebla Tolín (Museo del Prado).

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