Via della Seta. Il “prezzo” dei soldi cinesi

Che il mercato della Cina sia una grande opportunità per la nostra economia non c’è dubbio. Che Pechino sia impegnata in un progetto strategico, geopolitico oltre che economico, che va oltre il dato commerciale, è altrettanto vero.
LUIGI PANDOLFI
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Tra i capitoli più delicati degli accordi firmati dal nostro paese con la Cina c’è senza dubbio quello riguardante la “collaborazione finaziaria”. Il “coordinamento bilaterale” – così c’è scritto nel memorandum – in questo ambito prevede, infatti, anche una forma inedita di finanziamento delle imprese italiane che operano in Cina (sarebbe il primo caso tra i paesi del G7), mediante l’emissione di obbligazioni denominate in renminbi (la valuta cinese). 

In pratica, l’intesa tra Cassa depositi e prestiti e Bank of China, perfezionata in occasione della visita di Xi Jinping in Italia, consentirebbe al nostro paese di raccogliere, per adesso, fino a cinque miliardi di renminbi (circa 650 milioni di euro) sul mercato cinese, che, insieme a un programma di cofinanziamento del valore di quattro miliardi (oltre cinquecento milioni), servirebbero a supportare l’attività e la crescita di “succursali o controllate di aziende italiane con sede in Cina”.

Finanziare le imprese italiane operanti in Cina con i soldi presi a prestito dai cinesi, da restituire con gli interessi. Nella sostanza, la contrazione di un debito in valuta straniera, a fronte di accordi commerciali per un valore di soli 2,5 miliardi di euro. Prima di noi, soltanto Polonia e Filippine. 

Roma – Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella con il presidente della Repubblica Popolare Cinese XI Jinping nel corso tête-à-tête, 22 marzo 2019. (Foto di Paolo Giandotti – Ufficio per la stampa e la comunicazione della Presidenza della Repubblica)

Tutto normale? Fino a un certo punto. A margine della sottoscrizione del memorandum d’intesa, il governo italiano ha dichiarato che l’obiettivo principale dell’intesa nell’ambito della Nuova via della seta è quello di favorire un “riequilibro della nostra bilancia commerciale con Pechino”. Oggi, infatti, il valore del nostro export verso la Cina è pari a tredici miliardi di euro, a fronte di un corrispettivo cinese che vale più del doppio (trenta miliardi). Non solo. Nel 2018, mentre il volume degli affari di Pechino nel nostro paese è cresciuto dell’otto per cento, quello italiano in Cina è sceso del 2,4 per cento. Numeri che, a occhio, giustificano l’iniziativa del governo.

Gli “aiuti di stato” a debito, nondimeno, non andrebbero a supportare imprese italiane aperte al mercato cinese, bensì “succursali o controllate di aziende italiane con sede in Cina”. Che non è la stessa cosa. Perché nel primo caso si tratterebbe di imprese registrate in Italia, che pagano le tasse in Italia, che concorrono a determinare i volumi della nostra bilancia commerciale. Nel secondo caso, invece, ci troveremo di fronte a soggetti operanti, in tutto o parzialmente, sotto la giurisdizione cinese, che di italiano avrebbero, nella migliore delle ipotesi, la “società madre” e parte del proprio management (oltre il brand, naturalmente). 

Un’operazione, a ben vedere, che gioverebbe più alla Cina che all’Italia, sia dal lato finanziario che da quello commerciale (un altro passo verso l’internazionalizzazione del renminbi). Perché una cosa è produrre beni in Italia ed esportarli in Cina, altra cosa è produrre gli stessi beni in Cina e per il mercato cinese, oltre che per gli altri mercati internazionali, compreso quello italiano. Di quest’ultimi saremmo piuttosto importatori anziché esportatori. 

Tutto questo mentre il 67 per cento dell’export italiano ha come destinazione i paesi dell’Unione Europea, con una tendenza al rialzo. Era di 270 miliardi il suo valore nel 2015, oggi ha superato i trecento. Ma in Europa gli “aiuti di stato”, tranne in alcuni casi (servizi di interesse economico generale, coesione sociale e regionale, ricerca e sviluppo, promozione della diversità culturale, ecc.) sono vietati perché, a norma dei Trattati, falserebbero la concorrenza nel mercato unico.

Il danno e la beffa. Ci si indebiterebbe in una valuta straniera per aiutare imprese con sede all’estero, mentre la gran parte delle imprese esportatrici del paese continuerebbero a fare a meno dell’aiuto dello stato, perché operanti in ambito Ue. 

Che il mercato cinese sia una grande opportunità per la nostra economia non c’è dubbio. Che la Cina sia impegnata in un progetto strategico, geopolitico oltre che economico, che va oltre il dato commerciale, è altrettanto vero.

Roma – Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella con il presidente della Repubblica Popolare Cinese XI Jinping nel corso tête-à-tête, 22 marzo 2019. (Foto di Paolo Giandotti – Ufficio per la stampa e la comunicazione della Presidenza della Repubblica)

Da anni, ormai, la Cina non è più soltanto un mercato di sbocco di merci occidentali, con un sistema produttivo incentrato su beni e servizi a basso valore aggiunto. E oltre alla specializzazione nei campi dell’alta tecnologia, del digitale, dell’intelligenza artificiale, ha sviluppato una strategia di penetrazione nell’economia europea attraverso l’acquisizione e la costruzione di industrie che operano in questi settori e in quello dell’automotive, il controllo di porti, l’ingresso nel capitale delle banche. 

Hanno un obiettivo chiaro: diventare la prima potenza economica e militare del mondo entro il 2049, anno del centenario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese. 

Ciò che non è chiaro è come l’esposizione debitoria verso Pechino possa giovare a riequilibrare i rapporti commerciali tra i due paesi. Intanto, senza memorandum sulla Belt and Road e senza Panda Bond, la Francia, le cui esportazioni verso la Cina già sfiorano i cinquanta miliardi di euro, ha sottoscritto con il Dragone contratti per un valore complessivo di quaranta miliardi di dollari. 

Ognuno fa da sé e come meglio può. Ma un rapporto proficuo con il gigante cinese passerebbe soltanto da un ruolo attivo e consapevole dell’Europa nel suo complesso. 

Via della Seta. Il “prezzo” dei soldi cinesi ultima modifica: 2019-03-30T18:11:58+01:00 da LUIGI PANDOLFI
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