Trentasei modi per ricordare Venezia, o per conoscerla, o persino, per qualche fortunato, ri-conoscerla. Sono infatti trentasei le immagini de “I veneziani degli anni Sessanta” di Andrea Grandese, in mostra fino al 14 aprile e da non perdere. Basta arrivare fino alle fondamenta della Misericordia, al laboratorio di Adriano Cincotto, restauratore, artigiano, artista della materia in senso lato, per scoprire l’eco di una Venezia che non c’è più, ma che c’era.
L’esibizione è qui da me – spiega Cincotto – perché quella Venezia fa parte del mio background: parla degli anni quando si viveva come cittadini, non come comparse. Ho creato questo spazio proprio da dedicare alla nostra città, o alle opere d’artigianato che faccio da trent’anni. E poi, diciamolo, l’argomento è forte.
Andrea Grandese, fotografo appassionato da sempre, professionista nel settore editoriale, si ritrova in pensione e riordina gli armadi. È così che trova un archivio di fotografie fatte al tempo dell’università, negli anni Sessanta, appunto.
A quell’epoca – ricorda Grandese – fotografavo i veneziani nella loro vita quotidiana. Ogni fotografia rappresenta un piccolo spaccato, dove quel frammento ho l’illusione che resti eterno.
E ritrova la “sua” Venezia: centoventi fotografie, su un migliaio, finiscono in un libro per gli amici. Poi Mario Trevisan, collezionista e grande esperto di fotografia del Novecento, convince l’amico Andrea al progetto mostra e insieme scelgono trentasei immagini per ricostruire il puzzle di un passato veneziano che fa risuonare una corda a qualunque osservatore.

L’edicola è inusuale. E ora non esiste più, né il manufatto né il senso. È rimasta la croce, anche se un po’ modificata. Era dietro le fondamenta degli Ormesini, la periferia di Venezia.
La mostra è divisa in cinque brevi capitoli, e Andrea commenta per noi una foto per capitolo. Quella che gli piace di più o è più significativa, o che ha quel non so che.
La “Città operosa”, con immagini di persone al lavoro.
La “Città antica”, ossia gli anziani: era un omino dalle parti di Castello, la zona più povera (nell’immagine di apertura, ndr). Una figura umana come quella ora non si vede più in città: quel cappello, la borsa di plastica… danno un’idea di serenità. Mi piace perché dà ancora l’idea della tranquillità con cui questi anziani vivevano nella città.

La “Città chiassosa”: i bambini e il pozzo in cui giocano. L’idea del movimento… e poi i ragazzini sono ben vestiti, con le calze traforate e i sandaletti. È estate, sono molto puliti e… liberi. Perché sotto quel buco non c’è il pozzo, non c’è alcun pericolo. E la mamme non ci sono, cioè si poteva giocare da soli, senza problemi. La libertà del gioco e la cura dei bambini, è quasi un ossimoro: per questo mi colpisce.

La “Città viva”, che era poi la vita quotidiana. E la foto delle giostre mostra che sono per di più gli adulti che giocano. Quelli erano i divertimenti degli adulti. E sullo sfondo persino degli anziani. Un altro segno del cambiamento culturale.
La “Città silente”: queste sono le uniche immagini in cui si possono trovare ancora posti così, sono scorci di situazioni al margine della città. La fotografia della bricola, ad esempio, fu presa a Santa Giustina, in un campiello con due ponti; grosso modo credo ci siano le stesse erbe sui gradini. Il sottoportego ha cambiato nome ma non l’architettura. Il piccolo canale è ancora così e pochissima gente ci passa ancora oggi. E qui siamo a pochi metri da dove si fa fatica a camminare.

Foto d’impatto, con una traccia di malinconia che si percepisce anche nel sorriso di chi ci guarda dalla parete.
Perché si nota il cambiamento, ma non è solo malinconia da contrasto tra passato e presente – dice Grandese: si va da soli a far questo genere di fotografie, e un pizzico di malinconia, intesa come solitudine, ci sta. Alla ricerca della vita si coglie quello che c’è, e dentro quello che c’è si coglie anche un po’ di malinconia.
Ho fotografato per anni e mi sono sbizzarrito anche all’estero, soprattutto persone. Poi mi sono accorto che se non fotografi per mestiere o per documentare una situazione, guardi tutto attraverso l’obiettivo e perdi di vista le cose, e allora ho messo via la macchina fotografica. Ho sempre prestato attenzione alla mia città, ma da lontano; poi sono rientrato a Venezia, e da vicino ho capito che non c’è più nulla da fotografare, a parte i turisti.

“I Veneziani negli anni ’60”
Fotografie di Andrea Grandese – Curatore Mario Trevisan
[Il volume che raccoglie le foto esposte, I veneziani negli anni ’60, con la prefazione di Silvio Testa, è pubblicato da Gambier&Keller editori di Venezia]
Multimedial Laboratory Art Conservation Venezia, Fondamenta della Misericordia, 2588
L’esposizione resterà aperta dal 24 marzo al 14 aprile 2019, con il seguente orario:
sab. e dom. 11-20; mar. mer. gio. ven. 16-20; lunedì chiuso.

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