Cadore e Agordino. Una quiete inquietante dopo la tempesta

Fine ottobre 2018. Un milione e mezzo di metri cubi di foresta della Val Visdende sradicati e spazzati dalla furia del vento. Dopo il clamore mediatico di quei fatali giorni cosa sta realmente succedendo nei millenari boschi delle Dolomiti venete?
BARBARA MARENGO
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[VAL VISDENDE]

Cinque mesi dopo la violenta tempesta di vento che ha dimezzato il patrimonio boschivo del Cadore e dell’Agordino, risalire lungo la Val Visdende rappresenta una sorta di doloroso pellegrinaggio. Dopo il clamore mediatico di quei fatali giorni di fine ottobre 2018, dopo proclami e visite ufficiali, promesse mantenute o meno, disperazione e speranza, cosa sta realmente succedendo nei millenari boschi delle Dolomiti venete, costellate da meravigliosi scenari, piccoli villaggi sempre più spopolati, crisi economica e disoccupazione serpeggiante?

Val Visdende, tra Santo Stefano di Cadore e Sappada, lassù a sinistra della strada, verso le crode del monte Peralba dove nasce il Piave: antica valle abitata e conosciuta prima dell’Impero romano, quando le fu dato il nome di Visdende, dal latino vices che indica l’avvicendamento del bestiame a seconda delle stagioni, allora come oggi.

Una gola quasi inaccessibile e impervia (nonostante gli accoglienti segnali di benvenuto al turista) è attraversata dalle prime impetuose correnti del Piave, imbrigliato dall’uomo in piccoli bacini: quando finalmente la strada ripida si apre in una valle ampia, ci si accorge subito che qualche cosa di molto grosso è successo.

Il paesaggio evoca le più antiche leggende legate alle fate e agli elfi, e tutto fino a un certo punto fa pensare di essere arrivati in un mondo veramente magico. Boschi e piccoli borghi composti da poche case di legno sono attraversati da varie strade, ben segnate, dove il turista è invitato a camminare verso mete invitanti, le malghe, le sorgenti del monte Peralba, i tracciati per le biciclette con relativi noleggi, qualche ristorante, tanti tabià (fienili, ndr) e tanti tanti camion carichi di legname.

Il paesaggio è infatti sconvolto da migliaia, forse milioni, di tronchi d’albero caduti e spezzati, come se un barbiere impazzito fosse passato con un enorme rasoio tagliando a casaccio il manto di boschi in pianura e in collina: poca la neve ma tanta l’acqua dei ruscelli che a tratti invade la strada, ai lati della quale enormi tronchi giacciono a terra con le radici rivolte verso il cielo. Enormi zolle di terra avvolgono queste radici, fino a pochi mesi fa saldamente piantate nel sottobosco ombroso. Un bosco fittissimo, dove adesso i tronchi in modo irregolare sono crollati dando vita a un immenso domino, un impressionante shangai, uno spettrale ammasso di legname che dà vita a una scena di guerra.

Una guerra tra elementi della natura, vento versus alberi, alberi versus terra, con un effetto sconvolgente sull’ambiente. E chissà gli animali: la Val Visdende è il luogo dove prosperano o prosperavano gli urogalli, meglio conosciuti come galli cedroni, dalle penne nere lucide che ornano i cappelli dei Bersaglieri. E chissà i cervi e i caprioli, che abitano i boschi del Cadore assieme a una quantità importante di altri animali.

Decine di piccoli cantieri costellano le strade della valle: i boscaioli muniti di seghe e gru radunano il legname caduto, alti fusti di conifere come larici, pini e abeti sono privati dei rami e caricati su lunghi camion per essere trasportati verso le segherie. I tronchi sono contrassegnati da lettere e accumulati in alte gigantesche fascine: un profumo penetrante di legno avvolge l’aria.

Il paesaggio è irreale: tratti di bosco fitto si alternano a radure con radici rivolte al cielo, tronchi come birilli di un bowling uno contro l’altro formano strane composizioni. Le colline saranno molto difficili da raggiungere, per le squadre dei boscaioli: se le migliaia di alberi vicino alla strada sono facilmente raggiungibili per le operazioni di taglio, spoglio dei rami e carico, come sarà possibile arrampicarsi in quella selva di tronchi che ci sovrasta, senza avere attrezzature a portata di mano?

All’ora di pranzo, gli uomini silenziosi si avvicendano ai tavoli dell’unico ristorante aperto solo di giorno, fumano una sigaretta e tornano alle loro postazioni. Anche tanti tetti di case e stalle sono stati danneggiati dal vento impetuoso che ha soffiato per quattro giorni e quattro notti, fatto mai avvenuto prima a memoria d’uomo: un vento che ha viaggiato a raffiche irregolari disegnando spirali, curve, linee rette, strane e tortuose vie che hanno risparmiato alcuni e abbattuto molti tronchi.

Le segherie del Cadore abbondano adesso di materiale, cataste di profumato cirmolo attendono di essere lavorate: mentre nei boschi la lotta contro il tempo è in atto, visto che i tronchi non possono rimanere a terra con i rami, pena il marciume del legno. Bisogna inoltre fare spazio alle nuove piante, che rappresentano il patrimonio secolare della valle. L’estate non è lontana: la valle vive di turismo estivo, le malghe si popolano durante l’estate, i caseifici preparano pungenti forme di formaggi antichi.

I piccoli borghi composti da poche case sono per adesso deserti, qualche finestra è aperta ma i camini non fumano. I cartelli di legno che indicano le varie destinazioni e i percorsi dei sentieri sono rimasti piantati sul terreno a differenza degli alberi che li circondano. Impalcature e scale sono accostate a molte case di legno, vari tabià hanno il tetto sfondato come qualche stalla deserta.

L’economia di un’intera zona vasta e abitata dipende dai lavori in corso in questi mesi: bisogna rendere agibili i sentieri, sgomberarli e metterli in sicurezza, ripristinare la maestosa calma e l’ordine naturale della Val Visdende. 

Fotografie di Barbara Marengo

Cadore e Agordino. Una quiete inquietante dopo la tempesta ultima modifica: 2019-04-02T11:45:59+02:00 da BARBARA MARENGO
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