Non ci si può certo improvvisare poeti ad oltre novant’anni, ma le segrete note di malinconia che scopriamo nei versi di Eugenio Scalfari, pubblicati nella raccolta L’ora del blu (in edicola, edita da Repubblica), non sono solo la spia rivelatrice dei timori e tremori che accompagnano una esistenza terrena probabilmente giunta alle ultime stazioni. Ci sono echi a volte veristi ma anche post-romantici o crepuscolari, quasi gozzaniani, in questa raccolta in cui si alternano memorie di una lontana infanzia ad interrogativi su quell’ignoto verso il quale tutti siamo destinati.
Gli stessi titoli delle poesie di Scalfari, grande giornalista, scrittore e saggista ma non poeta, sembrano lo specchio delle mille domande che affollano gli anni di una vecchiaia pensosa e ancora disperatamente curiosa: “Corre il Tempo”, ‘“Madonna”, “Tramonto”, “Oblio”…
Il mio primo ricordo
è una finestra sul mare
il cesso sul balcone
e la ringhiera di ferro
Così scrive Scalfari riandando all’infanzia, con toni quasi da neorealismo post-bellico. Ma con un guizzo, poi, ricorda come i poeti siano affascinati dalla luna e come, tuttavia,
nessuno canta il sole
e chi lo canta muore
cadendo in fondo al mare.
Versi di vera poesia, folli e insensati, lontani da quella “razionalità rigorosa” dell’autore di cui si parla nel risvolto del volumetto. Sembra anzi che questo sia il leitmotiv dell’intera collezione di versi scalfariani: la lotta tra questa sua rigorosa razionalità e lo spazio senza rete della poesia che non conosce filtri, logica, quasi come una voce che emerga libera direttamente dall’inconscio.

L’idea della morte pervade i versi di quasi tutte le poesie di Scalfari. Ma l’autore non ne sembra intimorito o angosciato. Ne sente la presenza, vicina e misteriosa. Ne parla da non credente ma a volte i suoi versi, le sue poesie acquistano la dimensione, la valenza di una preghiera laica. È come se il suo spirito razionale frenasse a volte lo scorrere del verso, come se la poesia fosse in realtà una poesia in prosa, una prosa versificata. Versi controllati dal vocabolario di una creatività non libera di esprimersi completamente, di esplorare i territori sconosciuti della poesia.
Ma altre volte, l’essenza lirica dei suoi versi riesce a emergere con forza.
Sento il tempo che dentro mi scorre,
un attimo di vita
che s’accende e si spegne
campi fioriti dai gigli del mare
e dai tristi asfodeli della morte.
L’ora del blu è comunque una sorta di diario dell’anima. Scalfari sveste i panni del grande giornalista, fondatore di quotidiani, autore di tanti libri, per parlare di sé, dei suoi amori giovanili. Ora che ha quasi novantacinque anni, scrive:
ho raggiunto la pace dei sensi
dicono i vecchi
con un pizzico di civetteria
L’ora del blu è forse un memoriale di privati sentimenti, su cui aleggia l’ombra misteriosa della fine.

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