Il gradimento del presidente argentino Mauricio Macri è in seria sofferenza a causa della profonda recessione e dell’inflazione galoppante che ha aggravato le condizioni di povertà diffusa del paese. In vista ormai delle elezioni di ottobre il conflitto in Argentina si va sempre più inasprendo e ha portato alla mobilitazione dei sindacati e dei movimenti sociali contro la politica economica del governo.
Dopo l’ondata di proteste che si è verificata negli ultimi mesi, giovedì 4 aprile decine di migliaia di manifestanti sono sfilati per le vie di Buenos Aires presidiate in forze dalla polizia, chiamati dalla Confederación General del Trabajo (CGT) a protestare contro le condizioni di lavoro.
Alla base delle rivendicazioni migliori salari e programmi di sostegno sociale che possano in qualche modo lenire i danni provocati da una situazione economica di fatto alla paralisi, la cui origine è fatta risalire alle scelte di austerità concordate con il Fondo monetario internazionale nel 2018, con il chiaro intento di far pagare la crisi alla gente comune salvando i ricchi.

Il Banco Centrale argentino ha stimato l’altro ieri che l’inflazione nell’anno in corso sarà del 36 per cento, contro una previsione precedente del 32, mentre non sembra destinato a frenare tanto presto l’indebolimento della moneta nazionale nei confronti di quella americana, che arriverà nei prossimi mesi a 53,5 pesos per dollaro.
A completare un quadro economico fosco, le notizie riguardanti il Pil che la stima del Banco dà calante dell’1,1 per cento per quest’anno, mentre per il 2020 fissa al 2,1 per cento, con una perdita dello 0,1 per cento rispetto a quanto previsto solo un mese fa. Dati negativi anche da Fitch che conferma una contrazione dell’economia per il 2019.

Una situazione da cui pare non esserci un’uscita a breve, e che è destinata a incrementare il malessere sociale determinato dal calo dei consumi che, denunciano anche le organizzazioni dei piccoli imprenditori, sono dati in netta contrazione.
Solo il governo di Macri spande ottimismo su un’imminente uscita dal tunnel, mentre le varie forze sindacali non sono ancora riuscite a trovare un’unità operativa che possa portare alla proclamazione dello sciopero generale contro l’esecutivo.

Dal canto suo l’opposizione è impegnata a proporre in parlamento progetti di legge che mettano un freno all’aumento delle tariffe pubbliche, fenomeno particolarmente sentito nel paese per l’effetto della politica neoliberista del governo, che sempre più spesso è accusato di voler far pagare la crisi economica alle classi popolari.
L’aumento indiscriminato delle tariffe pubbliche, denunciano i critici, avrebbe poi determinato un’impennata dei guadagni per le imprese del settore, senza che questo abbia comportato nuovi investimenti e un miglioramento della qualità dei servizi prestati.
Il governo risponde tacciando gli oppositori di populismo e propaganda in vista della scadenza elettorale dei prossimi mesi, e considera la sua politica in accordo con il Fmi come l’unica ricetta per far uscire il paese dalla grave crisi economica provocata dalle scelte dell’ex presidentessa Cristina Fernández de Kirchner e del suo governo di sinistra.
Se scioglierà la riserva sulla sua candidatura, Cristina sarà avversaria in primo luogo di Mauricio Macri nella corsa presidenziale del prossimo ottobre. E dovrebbe vedersela anche con Roberto Lavagna, suo ex ministro dell’economia ed esponente del peronismo moderato, qualora quest’ultimo confermasse di partecipare.

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