Tutti conoscono, o dovrebbero conoscere, quello straordinario monumento rosato a cupole intrecciate e sovrapposte, inquadrato da quattro potenti minareti (costruiti però qualche secolo dopo il suo corpo principale), che si staglia a chiudere lo scenario della piazza oblunga dell’antico Ippodromo di Costantinopoli. È un grande edificio pensato come immenso luogo di culto, fondato quasi sulla punta orientale dell’impianto urbanistico, dalla caratteristica forma a triangolo, della Néa Rìme, la “Nuova Roma” voluta e fatta costruire dall’imperatore Costantino fra il primo e il secondo quarto del IV secolo. La striscia di terra che l’accoglie, occupata anche dalla grande stazione ferroviaria della sponda europea, è là quasi a separare il Bosforo, con il prestigioso “diverticolo” del Corno d’Oro, dal Mar di Marmara; e ha l’aria di un battello che si dirige sulla costa asiatica, là dove sorge il grande, popoloso sobborgo di Scutari (in pratica, una parte dell’impianto urbano stesso).

Siamo a Istanbul, l’antica e immortale Costantinopoli. Abbiamo or ora presentato la basilica imperiale di Aghia Sophia, “Santa Sofia”, la cattedrale dedicata alla “Santa Sapienza” divina, vale a dire per la tradizione ortodossa al Cristo in quanto Logos, Sapienza e Verità eterna, la Seconda Persona della Trinità. Quella che i cittadini della “Nuova Roma” chiamavano semplicemente Megàle Ekklesìa, “la grande chiesa”, era considerata la Mater Ecclesiarum e il luogo più santo della Cristianità. Sognata e avviata da Costantino, era stata inaugurata nel 360 dall’imperatore Costanzo II. Ricca di strutture lignee, fu incendiata nel 404. Ricostruita e quindi incendiata di nuovo durante la cosiddetta “rivolta della Nika” del 532, spettò a Giustiniano il ricostruirla. Il grande imperatore non badò a spese e fece venire da tutti gli angoli dell’impero i marmi più pregiati; il progetto dell’immensa cupola fu probabilmente costruito sulla base dei calcoli di Erone d’Alessandria. L’imperatore e il patriarca inaugurarono la nuova basilica il 27 dicembre 537, festa dell’evangelista Giovanni. Da allora il tempio divenne il luogo più sacro della Cristianità, illustrato anche dalle reliquie della passione del Cristo che l’imperatrice Elena madre di Costantino aveva inviato a Costantinopoli verso il 330.

Dopo aver superato felicemente incendi e terremoti, Santa Sofia fu – al pari dell’intera capitale – conquistata nel 1204 dai crociati italo-franco-fiammingo-veneziani che ne imposero l’adozione del culto liturgico romano (“cattolico”, diciamo noi moderni) e ne fecero la cattedrale del loro “impero latino di Costantinopoli”; dopo il 1261, rientrati i bizantini in suo possesso con la nuova dinastia imperiale dei Paleologhi, il rito greco vi fu restaurato. Ma nel 1453 il sultano ottomano Mehmet II, conquistatore dell’impero, la trasformò in moschea denominandola con l’epiteto, appena modificato dal greco al turco, di Ayasòfia. In questa funzione l’edificio permanse fino al XX secolo, superando la caduta del sultanato ottomano nel 1918 in seguito alla prima guerra mondiale; ma nel 1935 il governo rivoluzionario ed europeizzante di Mustafà Kemal Atatürk ne dispose la trasformazione in museo nazionale. In tale funzione, essa fu restaurata sistematicamente tra 1997 e 2002.
Ora, il presidente Erdoğan – il quale non ha peraltro mai condiviso il carattere “laicista” del kemalismo – deve pagare il suo debito nei confronti dei partiti “pietistici” e “devoti” (per quanto non sia il caso di parlare di fondamentalisti) e di un’ampia opinione pubblica animata da simpatìe e da nostalgie “neo-ottomane” che invocano un almeno parziale ritorno alle tradizioni. Con l’avvicinarsi di una nuova competizione elettorale, il loro appoggio è per lui fondamentale. Per questa ragione il museo di Ayasòfia cambierà nome venendo chiamato di nuovo moschea, mentre non è chiaro se la sua intera superficie oppure una porzione o un’aula di essa, finora solo museo, sarà “riconsacrata” come moschea. Non è comunque ancora chiaro se, in quali occasioni e in che misura sarà di nuovo adibita agli effettivi esercizi di culto.

Sul piano formale, è prevedibile che non molto cambi. L’edificio continuerà a essere visitato dai turisti salvo forse alcuni spazi e con la riserva di non accogliere visitatori durante le ore del culto, e che i musulmani non pagheranno il biglietto d’ingresso e gli altri sì. Su quello sostanziale, è molto verosimile che quasi tutto resterà come prima. Su quello strettamente simbolico, questo “ritorno alla liturgia islamica” è invece denso di significato e senza dubbio solleva interrogativi sugli sviluppi futuri di quel regime che non ha mai rinunziato a Mustafa Kemal come “Padre della Patria” ma che tuttavia sembra, almeno in qualche misura, tornare sulle sue scelte e modificarle.

Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!