Il j’accuse di Benedetto. Ma l’autore è lui?

E, se qualcuno potrà rispondere credibilmente di sì, allora bisognerà porsi una seconda domanda: Ma perché lo ha fatto? Perché non si è limitato a trasmettere questi “appunti” a papa Francesco?
GIAN FRANCO SVIDERCOSCHI
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Sgorga una prima domanda, obbligata, dopo aver letto le diciotto pagine e mezzo che il Papa emerito ha scritto per un mensile tedesco sulla “Chiesa e lo scandalo degli abusi sessuali”. E la domanda è ovviamente legata alle precarie condizioni di salute, salute non solo fisica, di Joseph Ratzinger: Ma è stato davvero Benedetto XVI l’autore materiale del lunghissimo testo?

E, se qualcuno potrà rispondere credibilmente di sì, allora bisognerà porsi una seconda domanda: Ma perché lo ha fatto? Perché non si è limitato a trasmettere questi “appunti” a papa Francesco? Il fatto che ne siano stati informati – così è stato detto – sia il segretario di Stato, Parolin, sia lo stesso Francesco, non attenua in nulla la gravità di un gesto che, venuto dopo il summit sulla pedofilia, sarà inevitabilmente interpretato come una critica alle conclusioni del vertice vaticano, se non come un attacco a Francesco.
Oltretutto, a scorrere lo scritto ratzingeriano, non c’è dentro una sola idea nuova, non una sola proposta, sulla tragedia che sta scuotendo la comunità cattolica.

L’analisi, ad esempio. Le origini della pedofilia nella Chiesa vengono fatte risalire alla rivoluzione del ’68, alla “cultura della trasgressione”, così come al “collasso della teologia morale cattolica”. E non una parola, invece, sull’esistenza secolare di questa piaga nel corpo ecclesiale. Non una sola parola su quel clericalismo che, in quanto degenerazione di una autorità, di un potere, è stato ed è tuttora la causa primaria del nascere dei preti pedofili.

Si elogia Giovanni Paolo II, in particolare la sua enciclica sui temi morali “Veritatis splendor” (alla cui stesura, guarda un po’, aveva collaborato il cardinale Ratzinger); ma poi si critica duramente il “garantismo” (inteso come garanzia dei soli diritti degli accusati) che, secondo l’autore dello scritto, dominava negli anni Ottanta (cioè al tempo del papa polacco). C’è un ringraziamento finale a Francesco, “per tutto quello che fa”; ma poi, di fatto, l’intero testo sembra voler rivedere le “bucce” al recente summit convocato da papa Francesco.

Quindi, qua e là, qualche spruzzatina polemica, qualche particolare ai limiti della decenza. I “club omosessuali” che si erano formati in molti seminari. Il racconto di una chierichetta, che il vicario parrocchiale violava dicendole: “Questo è il mio corpo dato per te”. Oppure, l’affermazione di come “non molto tempo fa” la pedofilia fosse “teorizzata come del tutto giusta”. Ma quando? Da chi?

E infine, i soliti rimpianti ratzingeriani, conditi da un forte pessimismo: il fallimento della società occidentale; le Messe ridotte a “gesti cerimoniali”; la Chiesa percepita come “apparato politico”; la perdita progressiva della identità cattolica…

Ma, e si ritorna all’interrogativo iniziale, sarà stato proprio lui, Joseph Ratzinger, a pensare e a scrivere integralmente questo testo? Non c’è già abbastanza confusione nella Chiesa di oggi, per creare altro sconcerto, altri motivi di disorientamento?


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Il j’accuse di Benedetto. Ma l’autore è lui? ultima modifica: 2019-04-12T21:19:19+02:00 da GIAN FRANCO SVIDERCOSCHI
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