Un anniversario a tutto tondo non si nega a nessuno. Vent’anni poi, di questi tempi, sono pur sempre qualcosa. Tanti ne compirà nei prossimi giorni il Giorgione, riaperto in versione multisala d’essai il 28 aprile 1999, per iniziativa del Circuito Cinema comunale, che aveva mosso i suoi primi passi sul finire degli anni Settanta. E fa quaranta, altro anniversario da festeggiare, volendo. Per riandare con la memoria alle mitiche prime proiezioni all’aperto in campo San Trovaso: Ombre rosse per tutti, John Ford e John Wayne s’intende, anche se il rosso, all’epoca, si portava ancora bene. Le prime giunte di sinistra nelle grandi città, ricordate? E l’onda lunga del Sessantotto, la nascita degli assessorati alla cultura, Massenzio e Nicolini, l’effimero e il permanente, le pratiche alte e quelle basse…
Ad inaugurare la sala grande del Giorgione, quel giorno, un titolo simbolico ed emblematico: La polveriera di Goran Paskaljevic, un film “a cuore aperto” sulla tragedia balcanica ancora fumante, presente in sala il regista. Alla cerimonia, narrano le cronache, un sindaco, Massimo Cacciari, felice e furente. La contentezza di restituire alla città (oltretutto ancora scossa dal rogo della Fenice, 1996) un luogo di cultura atteso, fortemente voluto dall’intervento pubblico locale; l’amarezza di apprendere dai giornali, quel giorno stesso, del rinvio a giudizio del principale artefice del Giorgione, il sottoscritto, nella sua qualità di responsabile del Circuito Cinema, per aver fatto entrare troppi spettatori all’arena di San Polo in un paio di serate, tre anni prima. Beata nemesi e sempre lodato contrappasso: finire sotto processo per troppa gente al cinema in una città mille volte raccontata per la morte del cinema, per la morte dei suoi cinema. E per lo spopolamento, l’invecchiamento, lo snaturamento della vita sociale. Il processo si terrà anni dopo, con l’assoluzione, perché quel fatto, debitamente ricostruito e motivato in udienza, non costituiva reato. Due righe in cronaca e tanti saluti, nell’indifferenza dei più.

Il destino, piuttosto. Si usa definirlo cinico baro. Per esempio accettare con rassegnazione la sparizione delle sale cinematografiche, una dopo l’altra, dieci piccoli indiani, nella città che aveva dato vita, nel 1932, al primo festival del cinema, la Mostra, in via di pieno rilancio dopo la parentesi della contestazione. E set privilegiato di centinaia, migliaia di film, autentica icona vivente della settima arte o decima musa, come ancora si diceva in quegli anni. Chiusure dettate dalle oggettive leggi del mercato: l’epocale perdita di spettatori (passati in Italia dai quasi 900 milioni annui di metà anni cinquanta ai poco più di cento di fine anni Settanta e di oggi); il decremento demografico cittadino, accelerato dopo l’acqua alta del 1966; la scarsa redditività dell’esercizio cinematografico in rapporto ad altre attività variamente collegate al turismo, che già allora – complice la riscoperta del Carnevale – cominciava a farsi sentire. Per farla breve, nel giro di un paio di decenni vengono decimate le sale del centro storico e quelle che rimangono campano di stenti, con una programmazione pressoché esclusivamente tarata sui film di maggiore richiamo. La rassegnazione, dicevamo: non era da noi.

Chi vorrà, un giorno, prendersi la briga di ricostruire la storia, oggi quarantennale, del Circuito Cinema di Venezia disporrà di una significativa base di partenza: il libretto Offerta e domanda cinematografica. Il territorio veneziano: analisi e proposte edito da Marsilio nel 1978, per le cure di chi scrive. Parallelamente a quella ricerca l’avvio di una programmazione sperimentale, curata da Giuseppe Ghigi, orientata tanto al grande pubblico (il citato cinema all’aperto, poi trasferito a Sant’Angelo, infine a San Polo: memorabile la kermesse Amore e cinema, dai frammenti del discorso amoroso barthesiano) quanto alle nicchie, con proposte talmente avventurose nei quartieri da suscitare oggi persino una certa tenerezza (ricordo un Manoscritto trovato a Saragozza, grande film del polacco Woiciech Has, dal romanzo di Jan Potocki, per pochissimi intimi al Redentore della Giudecca: mitico). E poi le rassegne (Busby Berkeley e il musical del New Deal, per esempio), il lavoro con le scuole e dunque il cinema come linguaggio da adottare anche in chiave didattica.
Nel 1981, con la strutturazione di un vero e proprio ufficio cinema nell’ambito dell’assessorato comunale alla cultura, affidato a chi scrive (che in precedenza s’occupava del decentramento culturale nei quartieri), l’avvio di una seconda fase, tendente a rendere permanente la programmazione di qualità, dapprima con cicli mensili e poi mediante accordi con gli esercenti (l’Olimpia e poi anche l’Accademia in centro storico; il Tag e poi il Dante a Mestre). L’arrivo dei film della Mostra del Cinema in decentramento, grazie al compianto Carlo Lizzani (Esterno Notte), rafforza l’appeal delle stagioni estive, mentre talune rassegne tematiche si destinano, a loro modo, a fare storia: L’immagine e il mito di Venezia nel cinema, Freedonia, il cinema comico ebraico americano, Cinema & Jazz, VeloCittà. Cinema e futurismo, L’immagine in me nascosta. Wagner e il cinema, tutte corredate da dottissimi cataloghi. E ancora l’arrivo di cinematografie e registi allora ancora poco noti (il cinema armeno, russo, yiddish, cinese, vietnamita), la nascita dei quaderni del Circuito Cinema (primo numero Samuel Fuller, marzo 1981, a cura di Piero Tortolina, fucina inesauribile di film e di idee). Bei tempi ragazzi. Possiamo ben dire di esserci divertiti, insieme ad una e più generazioni di cinéphiles cresciuti con i mercoledì dell’Accademia (due classici ogni settimana, da ottobre a maggio) e con i corsi di Cinematecnica all’Università, con il giornaletto mensile del Circuito, edito dal 1986, e con mille altre iniziative sfornate a ciclo continuo, con il contributo di specialisti d’alto livello, in collaborazione con enti e associazioni locali, nazionali e internazionali.

Eccezion fatta per il cinema all’aperto, direttamente gestito dal Comune in arene appositamente attrezzate, quasi tutte le iniziative comunali vengono realizzate per un ventennio nelle sale esistenti, aderenti (Olimpia, Accademia, Dante) o meno al Circuito Cinema comunale per quanto concerne la programmazione di prima visione. Noleggio sale: modo trasparente e onesto per sostenere attività economiche pur sempre sofferenti. Tanto sofferenti da finire comunque sul lastrico. Ed è a quel punto che si fa strada l’idea di risanare l’esercizio cinematografico cittadino mediante la costituzione di un parco sale a gestione diretta, previo accordo con gli imprenditori privati per gli interventi di ristrutturazione dei vecchi locali ad uso multisala. Nel 1999 il Giorgione, che ora compie vent’anni, nel 2002 l’Astra del Lido, nel 2012 il Rossini: sette sale per una programmazione ancora di qualità (quattro riconosciute d’essai dal Ministero) ma necessariamente anche generalista, per il grande pubblico. E per le rassegne di studio e di ricerca la Casa del Cinema, a San Stae, inaugurata nel 2008, atta ad ospitare anche gli archivi della Videoteca Pasinetti, migliaia di film conservati, precedentemente operante nei locali a piano terra di palazzo Carminati, in coabitazione con la scuole media Morosini. Tutte strutture ancora ben funzionanti, nonostante la scarsa sensibilità dell’odierna amministrazione comunale per la storia di questo ambizioso progetto che ha consentito e ancora consente ai veneziani di poter andare al cinema sotto casa, mentre la generalità dei centri storici italiani lamenta la desertificazione delle sale. In definitiva anche un’economia, certamente a rischio di impresa ma ben solida e in sostanziale pareggio, coerente con quei principi di sviluppo senza profitto, per il bene comune, che erano nei presupposti soprattutto politici di fattibilità del progetto.
Per cui, una volta di più, buon compleanno Giorgione. E tanti ancora di questi anniversari. Auguri di cuore, anche perché qualcosa mi dice che, se non comincio io, non te li fa nessuno. Chiamatele, se volete, smemoratezze…

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