Il Bauhaus ha cent’anni e vive ancora

Germania, 1919: il Paese sta appena cominciando a cercar di sanare i traumi della sconfitta che pareva ne avessero piegato per l’eternità lo storico prestigio. Ma non è dal centro del potere che provengono le prime iniziative: le prende un architetto, designer, urbanista e accademico berlinese trentaseienne, Walter Gropius.
ENNIO POUCHARD
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Siamo a Weimar, effimera capitale della nuova Repubblica tedesca, dove Gropius chiede e ottiene la direzione di un nuovo istituto superiore d’istruzione, destinato a rivoluzionare vasti campi dell’arte. Sarà il risultato della fusione di quella che è l’Accademia di Belle Arti del Granducato di Sassonia con una scuola d’arte applicata già esistente sul finire del XIX secolo, in cui si sviluppavano iniziative sulla scia dei movimenti Arts and Craft e Deutscher Werkbund, e una di architettura creata ad hoc. Lo si inaugura il 6 aprile di cent’anni fa ed è chiamato Staatliches Bauhaus: nome in cui l’aggettivo “statale” si applica al sostantivo composto dalle parole “bau”, costruzione, e “haus”, casa.

I docenti convocati che a Gropius si uniscono appartengono alla crema dell’arte d’avanguardia europea di quegli anni: ci sono i pittori Paul Klee (svizzero) e Vassilij Kandinskij (russo), il pittore e fotografo László Moholy-Nagy (ungherese), il pittore-scultore-coreografo-costumista Oskar Schlemmer (tedesco), i due architetti e designer Ludwig Mies van der Rohe (tedesco) e Marcel Breuer (ungherese), tutti ben noti al gran pubblico. 

A essi si aggiungono, oltre ad altri maestri, pure diverse donne, di cui mai si parla: Anni Albers, Gertrud Arndt, Marianne Brandt, Ilse Fehling, Marguerite Friedlaender-Wildenheim, Benita Otte, Margarete Heymann, Alma Siedhoff-Buscher e Gunta Stolzl. Entrano con il desiderio di partecipare ai seminari professionali in cui si sperimenta l’insegnamento nella pratica, in piena libertà creativa, e vengono incanalate nel settore ben circoscritto del design e delle tecniche produttive di arazzi, patchwork e mosaici caleidoscopici. Inizialmente solo la Brandt opera nei laboratori dei metalli e produce oggetti che figurano ancora con il marchio del Bauhaus.

Il cammino dell’istituto non è privo di ostacoli e contrasti dovuti al suo procedere contro corrente. Provoca non poco sconcerto, per esempio, un’abitazione come la Haus am Horn – progettata nel 1923 dal pittore Georg Muche, docente al Bauhaus – priva di corridoi, con tutte le stanze tra loro comunicanti in una sequenza che si sviluppa attorno a un salone centrale, che riceve la luce diurna dall’abbaino, con la camera da letto attigua al bagno e la sala da pranzo, dotata di elettrodomestici e superfici lisce facilmente pulibili, alla cucina.

La Haus am Horn di Georg Muche, costruita nei pressi del Bauhaus–Weimar nel 1923

Nel 1925 Gropius è costretto a chiudere l’istituto di Weimar, per l’intervento di personalità influenti del conservatorismo; lo riapre a Dessau, dove il Comune – che lo ri-denomina Hochschule für Gestaltung (Istituto Superiore per la formazione) – si assume pure gli oneri per il nuovo edificio, da lui progettato. Le particolarità che lo distinguono sono lo slancio orizzontale delle facciate a vetrata e soprattutto la copertura a terrazzo, che suscita un biasimo diffuso perché contraria alla tradizione dei tipici tetti a padiglione; a posteriori, comunque, si può aggiungere che l’innovazione è ancora prematura, perché i materiali disponibili hanno qualità impermeabilizzanti decisamente insoddisfacenti.

Il Bauhaus di Dessau in una fotografia del 1926 di Lucia, moglie di László Mogoly Nagy, 
e, sulla terrazza, Walter Gropius (al centro) tra dodici dei suoi diretti collaboratori

Gropius si dimette nel 1928, nominando suo successore l’architetto svizzero Hannes Meyer, esponente autorevole del funzionalismo più spinto. Le sue idee di chiara tendenza progressista sono motivo, nel 1930, della sua estromissione; il sostituto è Mies van der Rohe, che nel 1932, quando la struttura nazista del consiglio comunale porta a imporre la chiusura della scuola, decide di riaprirla a Berlino.

Proprio in bocca al lupo, viene da dire; e infatti l’anno dopo è costretto a chiuderla definitivamente, senza più speranza. Per tutto il Novecento se ne evocherà il valore, considerandola la più influente di ogni tempo nel contesto di quel Movimento Moderno che tra le due guerre mondiali ha espresso frutti prodigiosi di razionalità coniugata alla sfera creativa, grazie ad architetti quali Alvar Aalto, Giovanni Michelucci, Gio Ponti, Frank Lloyd Wright e Le Corbusier, il quale però andrebbe considerato a parte, fosse solo per la sua definizione della casa come “macchina per abitare”, unica lontana progenitrice dell’attuale “smart house”. E antenata forse del recente autobus Bauhaus. 

Autobus ispirato alla Bauhaus–Dessau Design School, che viaggerà da Dessau a Berlino e fino a Hong Kong

Dalla caduta – allora parsa irrimediabile e definitiva – di quel frutto prodigioso dell’intelletto, i semi in esso contenuti si disperdono come natura vuole. Il primo direttore, Walter Gropius, va alla Harvard University di Cambridge (Massachusetts) e l’ultimo, Mies van der Rohe, mette radici nell’Illinois Institute of Technology di Chicago. Moholy Nagy fonda, pure lui a Chicago, il New Bauhaus (anodinamente chiamato in seguito solo School of Design), in cui arte e tecnica si trovano abbinate. E il pittore Josef Albers (del quale fin qui non si è parlato) entra come docente al Black Mountain College (North Carolina) e passa poi alla Yale University di New Haven (Connecticut).

A sinistra Oskar Schlemmer, un costume per il suo Triadisches Ballet, 1922
 e, a destra, la versione dello stilista Kansai Yamamoto per David Bowie, 1973

Per tutto il 2019, a un secolo di distanza dalla nascita del Bauhaus, una serie di manifestazioni ne recupera la vitalità. Programmaticamente più propositive che puramente celebrative, hanno preso il via con il carattere sperimentale della cerimonia di apertura all’Akademie der Künste di Berlino, pensata quale momento determinante per riprendere a parlarne al presente. Tale è stato, infatti, lo stile delle performances, interpretate da ballerini e musicisti internazionali, in base a riferimenti storici tipologicamente aggiornati alle esperienze più attuali.

Proprio in quel 6 aprile della fondazione è stato inaugurato il Neues Bauhaus Museum–Weimar, costruito in forma cubica su progetto dell’architetta Heike Hanada (attualmente docente alla Bauhaus-Universität Weimar). La mostra qui allestita, che riprende motivi e disegni usciti tra il 1919 e il 1926, è intitolata, appunto, Das Bauhaus kommt aus Weimar e si dipana dal Manifesto di intenti scritto da Gropius alle sedie di Bauer, i dipinti di Kandinskij e Lyonel Feininger, i costumi di Schlemmer, nonché una scelta di lavori di Gropius, Meyer e Mies van der Rohe, i tre direttori di quel periodo.

Il Neues Bauhaus–Weimar all’inaugurazione e il significativo incrocio delle strade dove si trova

Altri eventi sono programmati per i prossimi mesi. La Kunstbibliothek di Berlino ricostruirà l’esposizione di Moholy Nagy, novant’anni fa, Where is the typographic development going?, con settantotto pannelli, rimasti in dono all’istituto, nei quali l’artista sviluppava la sua idea sull’avvenire della carta stampata. Il Bauhaus-Archiv/Museum für Gestaltung presenterà quattordici oggetti (lampade Wagenfeld, sedie Breuer, servizi da tè Marianne Brandt et alia) uno per ogni anno di vita del Bauhaus, prestati da collezionisti di varie nazionalità e ritenuti emblematici degli sviluppi allora in atto. 

Lampada Wagengeld (a sinistra), sedie Breuer (al centro) e servizio da tè Marianne Brandt (a destra)

L’8 settembre s’inaugurerà il Neues Bauhaus Museum-Dessau, costruito su progetto dello studio spagnolo Addenda, dei giovani architetti Roberto González Peñalver, José Zabala Rojí e Anna Katharina Hinz, che hanno vinto il concorso sviluppando la “bauhausiana” idea originaria di “scuola aperta”. L’edificio, disegnato come una barra orizzontale parallela alla strada, è già pronto nei pressi  di quello storico e ospiterà in permanenza la collezione di studi sperimentali della Fondazione Bauhaus–Dessau.

Il Neues Bauhaus Museum–Dessau

La Tate Modern di Londra, in una retrospettiva di Anni Albers, con trecento e cinquanta tra arazzi, tessuti, oggetti d’uso, gioielli e studi, offre una chiara immagine di una coesistenza esemplare tra arte e artigianato.

A Rotterdam,il Boijmans van Beuningen Museum espone Netherlands Bauhaus: Pioneers of a New World, documentando le attività della propaggine olandese del Bauhaus tra le due guerre mondiali con ottocento opere di sessanta artisti, designer e architetti. 

In nove metropoli o capitali, infine, da Berlino a Hangzou (una delle sette antiche capitali cinesi) e Lagos, Mosca, New Delhi, New York, Rabat, San Paolo, Tokyo, un Bauhaus Imaginista-San Paolo/Berlino, congloba i seguiti che la scuola ha avuto nelle rispettive situazioni geopolitiche.

Quanto e come lo spirito del Bauhaus continui a essere vitale anche nel privato lo testimonia, nei pressi di Basilea, il Vitra Design Museum, edificato trent’anni fa su progetto dall’architetto canadese Frank Gehry e giudicato universalmente tra i più rilevanti tra i musei d’architettura e di disegno industriale. È uno degli edifici nel parco architettonico dell’omonima azienda produttrice di mobili, che comprende realizzazioni, oltre a questa di Gehry, di Tadao Andō, Zaha Hadid, Nicholas Grimshaw e Álvaro Siza.

Il Vitra Design Museum 
Il Bauhaus ha cent’anni e vive ancora ultima modifica: 2019-04-19T23:33:41+02:00 da ENNIO POUCHARD
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