La candidatura di Sandro Gozi con la République En Marche, il partito del presidente francese Emmanuel Macron, è una bella notizia per i sostenitori del processo di integrazione europea. La partecipazione alle campagne elettorali di personalità provenieniti da altri paesi europei apporta sempre una maggiore ricchezza al dibattito politico. Anche il Partito comunista italiano, in tempi molto lontani, candidò e fece eleggere Maurice Duverger, uno dei maggiori scienziati politici francesi.
Oggi però nell’epoca dei populismi e dei nazionalismi la scelta di Macron di candidare personalità provenienti da altri paesi europei ha il sapore della sfida e del sogno. E, oggi più che mai, l’Europa ha bisogno di persone coraggiose.
Sandro Gozi, ex deputato del Partito democratico e sottosegretario agli affari europei prima nel governo Renzi e nel governo Gentiloni, si trova così a ricoprire il ventiduesimo posto della lista guidata dall’ex ministro per gli affari europei Natalie Loiseau, che più volte si è scontrata con il governo guidato da Giuseppe Conte.
Abbiamo deciso di intervistarlo per cercare di capire quali sono le sfide dell’Unione europea e come il movimento politico di Macron possa collaborare con il Partito Democratico

A molti può sembrare strano di vederla in lista in un paese diverso dall’Italia. Come sta affrontando questa campagna elettorale?
La Francia è un paese che conosco molto bene e che frequento sin da quando avevo diciassette anni. Ho avuto anche la fortuna di viverci per sei anni e mezzo. I legami personali, professionali e politici sono quindi molto forti. Poter fare campagna da cittadino europeo con nazionalità italiana è quindi una straordinaria opportunità. Il contatto con i cittadini di un altro paese è estremamente interessante. Dalla partecipazione ad eventi pubblici sino all’incontro con le persone nei mercati, l’ascolto e la comprensione delle domande che provengono dai cittadini francesi è un’esperienza davvero unica.
Ha notato delle differenze tra Italia e Francia rispetto ai problemi e a quello che i cittadini si aspettano dall’Europa?
Ovviamente ci sono dei punti in comune tra cittadini francesi e cittadini italiani. In generale è condivisa una certa paura della globalizzazione e di alcuni aspetti legati a questo processo: dall’immigrazione alla finanza internazionale, dai giganti del digitale alla mancanza di coesione territoriale. La tutela dell’agricoltura nazionale e locale è l’altro grande tema comune per i cittadini dei due paesi. E poi soprattutto la grande preoccupazione per le disuguaglianze crescenti e le conseguenze sulla coesione sociale del Paese. Poi però vi sono delle problematiche sulle quali i francesi sono molto più attenti. Innanzitutto la sicurezza alimentare. I cittadini francesi sono estremamente preoccupati da tutto ciò che finisce sulla loro tavola: l’origine e la qualità del cibo, l’uso degli ormoni, la presenza di ogm. Soprattutto il tema degli ogm è molto sentito, così come quello dell’uso del glisofato in agricoltura. E poi c’è il tema della sicurezza ambientale: la qualità dell’aria e dell’acqua e la lotta al cambiamento climatico.
E sui temi sociali ha notato delle differenze?
In Francia è molto sentita la questione dei cosiddetti i lavoratori distaccati, del dumping sociale e della concorrenza sleale da parte dei lavoratori che arrivano da altri paesi europei. Si tratta di una questione che anche il governo italiano, quando ne feci parte, ha affrontato. Fino a poco tempo fa i lavoratori distaccati in Francia non erano obbligati a rispettare le norme nazionali esistenti in materia di lavoro. Molto spesso quindi accettavano un salario molto più basso rispetto ai francesi. Oggi esistono delle regole europee nuove, volute fortemente da Emmanuel Macron, che saranno però efficaci tra ventiquattro mesi. Questi tempi lunghi per l’applicazione delle regole europee non è compresa dai cittadini francesi, impauriti per i rischi legati all’indebolimento del proprio modello sociale.
Lei sta vivendo dall’interno anche la vita di un partito, La République En Marche, che è molto difficile da spiegare agli italiani, poiché non facilmente collocabile nell’asse ideologica destra-sinistra. Che cos’è En Marche?
La République En Marche è un movimento politico molto innovativo che ha superato le linee della divisione politica tra destra e sinistra che hanno caratterizzato il secolo scorso. C’è bisogno infatti, a mio parere, di una nuova proposta politica perché i temi da affrontare e le soluzioni ai problemi vanno oltre la tradizionale divisione tra destra e sinistra. Secondo me si tratta di un partito politico molto progressista, che si batte per la giustizia sociale, fiscale ed ecologica. È un partito intergenerazionale inoltre e, in questo, mi sembra davvero un nuovo modello di movimento progressista.
È anche un partito nuovo nelle modalità di comunicazione. Non vive di mozioni. Non vive dei metodi tradizionali dei partiti politici. C’è invece una fortissima mobilitazione permanente dei suoi aderenti. Una mobilitazione che è coordinata ma che è anche spontanea e autonoma, tanto sul territorio quanto sulle reti sociali. Si tratta soprattutto di un movimento orizzontale, ispirato dal carisma e dalla leadership politica di Emmanuel Macron.
Le faccio un esempio. Il lancio della campagna elettorale, con la presentazione delle nostre candidature, è stato all’altezza delle convention americane. Una professionalità politica per me del tutto nuova e che si è manifestata anche nella composizione della lista per le europee con personalità provenienti da varie sensibilità e anche da altri paesi europei. L’informazione poi dal partito agli aderenti e la comunicazione tra aderenti e classe politica è continua.

Nella legislatura precedente lei è stato deputato del Partito democratico e ha ricoperto anche incarichi di governo. Secondo lei, ci può essere una collaborazione tra Pd e En marche?
Grazie alla mia candidatura abbiamo rafforzato molto i rapporti tra i due partiti. Non dimentichiamo poi i contatti tra Nicola Zingaretti e Stanislas Guerini, presidente di En Marche. Anche Roberto Giachetti, quando si è candidato alle segreteria del Pd, ha fatto del rapporto con En Marche una priorità della sua campagna. Inoltre, proprio su proposta di Giachetti, il Pd ha candidato Caterina Avanza, un’italiana iscritta a En Marche, alle elezioni europee nel collegio del Nord-Ovest.
Personalmente ho un rapporto molto forte con Emmanuel Macron, che data da prima della sua decisione di creare il partito nell’aprile del 2016. Ho quindi una grandissima fiducia nella sua azione politica in Francia e in Europa. E penso che sia necessario investire sulla sua leadership europea.
Per molto tempo però si è parlato della possibilità di creare un movimento à la En Marche anche in Italia. Al netto delle differenze istituzionali e di legge elettorale tra Italia e Francia, secondo Lei è possibile la creazione di un partito simile nel nostro Paese? Oppure lo spazio politico occupato dal Partito democratico lo impedisce?
Francia e Italia sono due paesi politicamente e istituzionalmente molto diversi. In Italia, inoltre, non esiste quella classe media – che in altri tempi avremmo chiamato borghesia – che caratterizza i sostenitori attivi di En Marche. Anche se l’elettorato del partito di Macron è differenziato – dagli studenti ai pensionati, dai lavoratori dipendenti agli artigiani e ai piccoli imprenditori – l’esistenza di questo ceto medio impegnato e dotato di un grande senso civico è una delle forze di En Marche. Questa è una differenza non da poco rispetto alla situazione italiana.
Ciò detto, auspico che alle prossime elezioni europee il Partito democratico torni a crescere elettoralmente. Credo però che il campo “progressista” italiano debba allargarsi per tornare ad essere maggioranza e alternativi al nazionalismo di Matteo Salvini e all’opportunismo incompetente del Movimento cinque stelle. Penso quindi che esista un grande spazio centrale da occupare. E credo che un’iniziativa come quella di En Marche in un sistema proporzionale come quello italiano possa essere utile per allargare il campo. Sarà tuttavia uno dei temi su cui ragionare dopo le elezioni europee. Con un obiettivo preciso: non si deve dividere il campo delle opposizioni.
Quale sarà la collocazione europea di En Marche? Si augura un’alleanza con i socialisti?
En Marche vuole costruire un nuovo gruppo dei progressisti al Parlamento europeo che si basi sui principi di giustizia sociale, fiscale ed ecologica. Per proteggere i diritti fondamentali dalle sfide della globalizzazione, che solo un’Europa sovrana e democratica può affrontare. E su queste basi il nuovo gruppo parlamentare potrà costruire anche una nuova alleanza per la rifondazione dell’Europa. Sottolineo che non è necessario che sia un’alleanza di legislatura, può anche essere un’alleanza che si realizza di volta in volta su alcuni punti di interesse comune.
Il mio auspicio è che il rapporto quindi tra gli eletti del Partito democratico e di En Marche al Parlamento europeo sia il più stretto possibile. Vedremo poi con quali modalità. Sono convinto però che i due partiti possano essere i protagonisti di queste nuove alleanze progressiste di cui il Parlamento Europeo necessita.
Quali sono le tematiche che secondo lei dovrebbero essere al centro dell’attenzione del prossimo Parlamento europeo?
Penso che si debba rivitalizzare e rafforzare la democrazia europea. Oggi la politica è ristretta ai confini nazionali. Abbiamo una democrazia europea perché ogni cinque anni eleggiamo il Parlamento europeo. Però non abbiamo una vera politica europea. E questo è fondamentale per fare la differenza e fornire delle risposte ai cittadini. Quindi occorre fare due cose: costruire dei veri movimenti transazionali europei e coinvolgere maggiormente i cittadini nei processi decisionali europei.
Sul primo punto, En Marche, che attraverso la sua lista rappresenta ben sette nazionalità diverse da quella francese, ha voluto incarnare quest’idea di transnazionalità. Una proposta non nuova. Qualche settimana dopo il referendum sulla Brexit, io stesso proposi di utilizzare i seggi britannici scoperti per l’uscita del Regno Unito per la creazione di liste transnazionali, presenti in un’unica circoscrizione europea. In questo modo i cittadini europei avrebbero potuto votare direttamente dei partiti politici europei. La proposta poi è stata ripresa da Emmanuel Macron e da Nathalie Loiseau, oggi nostra capolista e all’epoca ministro per i rapporti con l’Europa.
Sul secondo punto, dobbiamo chiederci come coinvolgere i cittadini europei prima della prossima grande riforma europea, che noi riteniamo debba riguardare anche i trattati europei. È quello che poi affermava anche Macron nella sua lettera Per un Rinascimento europeo.
A questi due punti ne aggiungerei un terzo.
Quale?
Assicurare il rispetto dei diritti fondamentali in Europa. In situazioni come quelle esistenti in Ungheria o in Polonia, ma anche in Romania oggi, non possiamo non dare all’Europa lo strumento per agire e tutelare i cittadini europei. Anche, come in questi casi, contro la violazione dei diritti fondamentali da parte di uno stato membro.
È questo che intende Emmanuel Macron quando parla anche di un’Europa che protegge?
Non solo di quest’aspetto. L’Europa deve proteggere i suoi cittadini e per farlo abbiamo bisogno, di una difesa comune europea e di una politica industriale dell’Europa per vincere la sfida della globalizzazione. C’è bisogno di finanziare le spese delle piccole e medie imprese per raggiungere gli obiettivi dell’accordo sul clima di Parigi. E dobbiamo proteggere gli europei dal punto di vista sociale: per questo è necessario un salario minimo garantito europeo. E poi la tutela degli agricoltori europei e, aggiungo, una profonda riforma della zona euro, con un bilancio per gli investimenti per la zona euro e una governance dell’Eurozona più democratica e trasparente.
E per quanto riguarda l’immigrazione?
Per difendere e promuovere il modello sociale europeo sulla scena globale è necessario anche un governo dell’immigrazione. Su questo tema si può intervenire su tre punti: la creazione di un vero e proprio diritto d’asilo europeo, con il rafforzamento delle funzione dell’Agenzia che già oggi se ne occupa; una polizia europea delle frontiere esterne; e un nuovo partenariato tra Europa e Africa che è la vera chiave per riprendere il controllo delle politiche migratorie.

L’attualità dell’incendio della cattedrale di Notre-Dame che cosa ci dice dell’Europa? Perché c’è stata una così forte reazione emotiva da parte dei cittadini europei e non solo?
Perché Notre-Dame rappresenta un’idea di civiltà. Per gli europei, poi, è parte della nostra stessa identità. Che si sia credenti o meno, la Chiesa ha infatti svolto un ruolo fondamentale nella storia europea.
C’è stato chi ha criticato la differenza tra le reazioni al crollo del tetto di Notre-Dame e all’affondamento dei barconi dei migranti nel Mar Mediterraneo. Che cosa ne pensa?
Qui non si tratta di fare a gara su che cosa ci si emoziona di più. Notre-Dame rappresenta una cultura di solidarietà e di dignità. E, fino all’arrivo di Salvini-Conte-Di Maio, l’impegno nel Mediterraneo dell’Italia si è basato sugli stessi valori. Non dimentichiamoci che l’Italia per molto tempo non ha salvato soltanto delle vite ma anche la dignità della civiltà europea. Una civiltà che, ripeto, si basa sulla solidarietà e sulla fratellanza: noi aiutiamo un fratello che sta annegando prima di chiederci come gestiremo la sua accoglienza. Sono quelle stesse emozioni, gli stessi valori comuni, le stesse storie, lo stesso patrimonio culturale che si è manifestato anche con le reazioni emotive all’incendio di Notre-Dame.

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