Peter Schreiner è intervenuto il 13 aprile scorso, sotto l’immenso Giudizio universale della Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale, alla tavola rotonda organizzata dalle Procuratorie di San Marco, e condotta da Bruno Vespa, in occasione del Convegno “San Marco, la basilica nel terzo millennio”.

Peter Schreiner, professore di filologia e storia bizantina all’Università di Colonia, vive a Monaco; a lungo direttore della rivista scientifica internazionale Byzantinische Zeitschrift, uno dei più importanti strumenti per lo studio della civiltà bizantina; già presidente dell’Associazione internazionale di studi bizantini, è “di casa” a Venezia, come componente del consiglio scientifico del Centro tedesco di studi veneziani e di recente come membro dell’Istituto veneto di scienze, lettere e arti. Nel 2017 ha curato un’importante raccolta di studi scientifici su un prezioso reliquiario, la stauroteca di Bessarione, cimelio d’arte, religione e ideologia del potere conservato presso le Gallerie dell’Accademia, attraverso il quale si può concretamente ragionare sul ruolo e l’importanza che Venezia ha come “alterum Byzantium”, non solo nella storia ma anche nel suo contesto attuale.
Qui gli poniamo alcune domande, per dargli la possibilità di spiegarci meglio perché abbiamo bisogno di Bisanzio non solo per capire Venezia e per conoscere il suo passato, ma soprattutto per trovare – all’interno della millenaria storia bizantina – strategie sostenibili ed efficaci per il futuro della città.
Professor Schreiner, lei ha focalizzato la necessità di conoscere Bisanzio per capire Venezia. Come possiamo colmare i “mille anni” dell’Impero bizantino e il buco culturale connesso con Bisanzio nella cultura occidentale e far sì che i giovani possano avvicinarsi alla storia e alla cultura della “seconda Roma”, alla città di Costantino e alla civiltà bizantina?
La storia bizantina non viene purtroppo insegnata nelle scuole in Europa: solo in Grecia il Medioevo si studia focalizzando l’importanza e il ruolo avuto da Bisanzio. Chi vuole informarsi deve leggere libri, tra i quali vi sono sono buone introduzioni alla storia e cultura bizantina, anche in lingua italiana, per esempio la monografia ormai classica della Storia dell’Impero bizantino di Georg Ostrogorski (edita da Einaudi). Si raccomandano ai giovani (e non soltanto a loro) anche viaggi a Costantinopoli/Istanbul, viaggi da compiersi dopo un’accurata preparazione e con una giusta guida.
La religione cristiana ortodossa, il cristianesimo dell’Europa orientale e di Bisanzio, è uno degli elementi chiave per comprendere la storia e la cultura dell’Europa dell’Est. Lei crede che conoscere meglio la Venezia bizantina e la sua storia possa permetterci di capire in maniera più chiara anche la politica internazionale della cosiddetta “Terza Roma”, Mosca?
Non c’è dubbio che l’ortodossia sia la chiave per capire la mentalità dei paesi balcanici, della Grecia e dei paesi dell’Europa dell’Est, anche nelle loro operazioni politiche di oggi. Venezia, invece, benché nella sua prima stagione storica fu politicamente dipendente da Bisanzio, fu sempre sottomessa ai riti e dogmi della chiesa di Roma. Anche i mercanti veneziani residenti a Costantinopoli e altri luoghi dell’Impero bizantino rimasero sempre fedeli alla Chiesa romana. Soltanto nei decenni prima e dopo la caduta di Costantinopoli (1453) l’immigrazione portò anche il pensiero ortodosso a Venezia, che però non si è diffuso oltre i quartieri in cui vivevano persone di credo ortodosso. L’idea della terza Roma è un fenomeno politico, nata in Russia, un paese da secoli ortodosso (grazie alla “propaganda religiosa voluta dagli imperatori bizantini per rendere i popoli slavi fratelli”), un paese lontano dalla mentalità occidentale e da Venezia.

Il potere dell’imperatore bizantino, l’imperatore dei “Romei”, i sudditi dell’Impero romano d’Oriente (caduto nel 1453), rappresentato dalle insegne dell’aquila imperiale, migra dopo la caduta di Bisanzio verso Mosca, dove lo “zar” (parola che deriva dallo storpiamento di Caesar) eredita riti e funzioni della corte bizantina. Il potere russo, anche grazie a un’accorta politica matrimoniale, s’innesta di elementi bizantini. Ma quanto di quella tradizione politica (che derivava dalle concezioni imperiali di Roma) è rimasto invece nell’Impero ottomano?
Quando la nipote dell’ultimo imperatore bizantino, Sophia, sposò lo zar russo Ivan III (1472) la chiesa russa era già, da più di quattro secoli, legata alla tradizione ortodossa bizantina e la corte zarista aveva già recepito molto del cerimoniale bizantino. Gli ottomani furono già, sin dall’inizio del Trecento, vicini immediati della capitale Costantinopoli e avevano l’occasione di studiare la politica bizantina, il cerimoniale della corte, le componenti romane dello stato e il potere assoluto dell’imperatore. È stata questa forma di potere imperiale che anche Maometto II il Conquistatore assunse dopo la presa di Costantinopoli nel 1453. I primi sultani si consideravano successori dell’imperatore bizantino.

Nel trittico di città Costantinopoli-Bisanzio-Istanbul, Mosca e Venezia, quale ruolo ha avuto la Serenissima e quale ruolo potrebbe avere oggi, grazie alla storia comune fra queste tre realtà storico-politiche?
Il principato di Mosca (e prima di Kiev dove nel 989 la sorella dell’imperatore Basilio II, Anna, sposò il principe Vladimiro) fu sempre un membro indipendente della comunità politico-religiosa ortodossa che riconosceva a Costantinopoli il ruolo di centro intellettuale e spirituale, per cui Dimitri Obolensky ha creato la fortunata espressione del Commonwealth Bizantino. Venezia, invece, non ha mai perduto, almeno in maniera teorica, la sua funzione di suddita, benché abbia sostituito per un mezzo secolo l’imperatore greco con un latino. Sono proprio le esperienze di Venezia, consolidate da un lunghissimo passato dalla tarda antichità fino all’epoca moderna, che la rendono da secoli città capace di interagire con altri poteri e altri popoli, di stabilire equilibri di convivenza con persone di diversa fede e mentalità. Queste esperienze sottolineano, oggi più che mai, l’importanza di Venezia come esempio di coabitazione umana e di civile convivenza.

Lei ha detto, durante il suo intervento a Palazzo Ducale, che uno dei principali ostacoli per comprendere la civiltà bizantina è costituito dalla barriera linguistica. Per studiare Bisanzio, e per capire quindi Venezia nella sua essenza storico-culturale più profonda, bisogna conoscere essenzialmente il greco (antico e moderno, per leggere le fonti e la bibliografia scientifica), ma anche altre lingue straniere moderne. Nel contesto multietnico e multiculturale dell’Impero bizantino, il greco era lingua veicolare di cultura, religione e di potere. Quale futuro per l’apprendimento delle lingue straniere, e per il greco nello specifico, pensa che possa offrire Venezia in Italia e in Europa?
Il greco nelle sue diverse forme linguistiche è stato, dall’epoca di Alessandro Magno fino al tardo Medioevo, l’elemento più stabile che ha unificato i popoli dell’Asia, del bacino mediterraneo e dei paesi balcanici. In età ellenistica-romana, il greco diffuso in tutti i porti, e parlato da persone di tutte classi sociali, ha contribuito in modo determinante alla capillare diffusione del Cristianesimo. Il greco, una volta la base del pensiero scientifico e letterario, modello per tante altre lingue e letterature, ha perduto oggi gran parte del suo ruolo intellettuale. Bessarione, nel XV secolo, dopo la caduta di Bisanzio, quando entrò a Venezia creò per la città il detto “alterum Byzantium”, intendendo così (tra altro) che in città vi era una consistente presenza di greci, e che la lingua e la cultura greca avevano trovato in laguna una seconda patria. Più di qualsiasi altra città in Europa, grazie al suo passato greco-bizantino visibile ad ogni angolo e grazie al suo ruolo di mediatrice tra Est e Ovest, Venezia potrebbe (e forse dovrebbe) essere il centro di una rinascita del greco nel senso più ampio, linguistico e culturale.

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