La giungla politica che distrugge la foresta vergine

Il mondo, solo nello scorso anno, ha perso un’area di foreste pluviali primarie pari alla dimensione del Belgio.
CLAUDIO MADRICARDO
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Secondo il World Resources Institute (WRI) il mondo lo scorso anno ha perso un’area di foreste pluviali primarie pari alla dimensione del Belgio. L’Istituto, che si propone di spingere la società umana a organizzare la propria vita nel rispetto dell’ambiente, riducendo la povertà e favorendo lo sviluppo di un’economia che sia rispettosa dei sistemi naturali al fine di salvaguardare i diritti delle generazioni future, ha reso noti i dati aggiornati dell’Università del Maryland, pubblicati su Global Forest Watch, un sistema dinamico di monitoraggio online delle foreste.

Stando a tali dati, nel 2018 i tropici hanno perso dodici milioni di ettari di copertura forestale, un’area che riferendoci all’America Latina potrebbe corrispondere alla superficie del Nicaragua. Tra questi, tre milioni sessantaquattromila ettari riguardano le foreste vergini, importantissime per la tutela del clima e per la biodiversità.

In ordine di tempo, è la quarta perdita più alta in un anno da quando, nel 2001, si sono cominciati a registrare i mutamenti della foresta pluviale primaria, un ecosistema che contiene alberi che possono avere centinaia se non addirittura migliaia di anni, l’habitat naturale di oranghi, gorilla, giaguari e tigri.

I paesi più interessati al fenomeno, nonostante le assicurazioni dei governi a tutela dell’ambiente, sono Bolivia, Brasile, Indonesia, Repubblica Democratica del Congo, Costa d’Avorio, Ghana e Colombia, dove la deforestazione ha toccato livelli record. 

Solo poco meno di vent’anni fa il settantuno per cento del fenomeno della deforestazione riguardava Paesi come Brasile e Indonesia, mentre da qualche anno a questa parte nuove nazioni dell’America Latina e dell’Africa stanno occupando sempre più posizioni in questa folle gara alla distruzione del patrimonio forestale dell’umanità.

Per quanto riguarda l’Indonesia, il fenomeno della deforestazione presenta un calo consistente già dal 2017, e premia le politiche governative a tutela dell’ambiente, favorite anche dalle precipitazioni atmosferiche che hanno limitato gli incendi che già nel 2015 avevano bruciato due milioni e mezzo di foresta. Condizioni meteo che quest’anno non dovrebbero ripresentarsi per il ritorno del fenomeno de El Niño, che porterà minori precipitazioni, col rischio che la foresta indonesiana vada in fumo. 

Il grafico di WRI illustra la perdita in milioni di ettari di foresta primaria o vergine dal 2002

Quanto al Brasile, che in passato era stato teatro dei maggiori fenomeni di deforestazione, nel 2018 ha subito danni per l’ingiuria del fuoco e per il taglio di legname in Amazzonia all’interno dei territori indigeni, alcuni popolati da tribù che mai hanno avuto prima contatto con il mondo sviluppato. 

Il nuovo presidente Jair Bolsonaro non ha mai fatto mistero delle sue intenzioni di sfruttare economicamente le vaste aree forestali amazzoniche, anche se è forse presto per dare un giudizio su come potrà interagire la sua politica nei confronti dei problemi della tutela ambientale. 

Di sicuro le mire più volte da lui espresse hanno messo in allarme gli indigeni brasiliani che hanno recentemente protestato a New York alle Nazioni Unite al grido di “A Amazônia não está à venda!”. 

Mentre solo ieri manifestanti indigeni sono sfilati nella capitale Brasilia per difendere le loro terre e cultura minacciate dal governo di estrema destra, che al suo insediamento ha trasferito la Fundacão Nacional do Índio al ministero dell’agricoltura, al fine di facilitare gli scambi agricoli e il settore minerario.  

Aumentano i tassi di perdita delle foreste primarie dal 2000 paesi come la Colombia, la Bolivia e il Perù. In Colombia, dove il disboscamento è aumentato del nove per cento negli ultimi due anni, ciò è paradossalmente dovuto alla fine della lunga guerriglia delle FARC, che ha consentito di mettere a coltura vasti territori di foresta disboscati prima teatro delle operazioni militari. 

Nella Bolivia di Evo Morales, oltre ai suoi progetti infrastrutturali, la deforestazione è legata alla conversione all’agricoltura e al pascolo su larga scala, fenomeno che riguarda l’area del Chaco. 

Il grafico di WRI illustra la perdita di foresta primaria nei Paesi sudamericani dal 2002

Recentemente Evo, in visita a Buenos Aires, si è rivolto alla comunità boliviana promettendo “terra garantita” a tutti gli emigrati che torneranno in patria. Ha parlato di cinquanta, duecento, cinquecento ettari di terra recuperata che li aspetta. Vedremo se la terra di cui parla sarà in qualche modo sottratta alla foresta, contribuendo in tal modo al fenomeno di deforestazione che ha colpito il paese. 

Un pericolo che sta correndo anche la foresta del Perù, per l’agricoltura su piccola scala, per il proliferare della produzione illegale di coca, per la costruzione di nuove vie di comunicazione in aree amazzoniche necessarie alle attività illegali di estrazione dell’oro.

Un posto di tutto rilievo nell’aumento della deforestazione spetta anche ad alcuni paesi africani. Prima di tutto alla Repubblica Democratica del Congo che ha registrato un trentotto per cento di perdita di foreste primarie, dovuta al diffondersi dell’agricoltura e della raccolta di legna da ardere. 

Segue il Madagascar con una perdita del due per cento lo scorso anno, dovuta dal taglio degli alberi per dare spazio alle colture agricole, all’estrazione illegale di zaffiri e a quella legale di nichel. 

L’obiettivo di ridurre o eliminare la deforestazione entro il 2020, impegno sottoscritto da numerosi paesi, accanto ad alcune nazioni virtuose che hanno imboccato la strada giusta per combattere il climate change, conclude il lungo articolo di WRI a firma di Mikaela Weisse e Elizabeth Dow Goldman, vede ancora troppe altre che hanno, anche recentemente, preso una direzione sbagliata. 

La giungla politica che distrugge la foresta vergine ultima modifica: 2019-04-26T14:51:39+02:00 da CLAUDIO MADRICARDO
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