In Africa occidentale è in atto un jihad peul? È una voce che si sta spargendo, confermata da varie testate, e che accusa i peul (o fulani) di aver sposato le folli teorie jihadiste. I recenti massacri in Mali (157 morti) e in Burkina (oltre trecento) commessi contro villaggi peul, sono presentati come forme di autodifesa o reazioni di vendetta di una popolazione impaurita dalla progressiva aggressività di questo popolo di pastori seminomadi che estende la sua presenza dall’oceano Atlantico alle foreste dell’Africa centrale.

In effetti i peul sono un grande raggruppamento di clan diversi di circa quaranta milioni di persone, presenti in un’ampia fascia che va dalla Repubblica di Guinea al Centrafrica, una buona parte dei quali ancora allevatori transumanti. Un’altra parte è commerciante e una minoranza è dedita all’agricoltura. Sono anche chiamati fulani, fellata, fufuldé, fulbé, fula, pulaar ecc. Loro si chiamano pullo (singolare) e fulbé (plurale). Ve ne sono sedici milioni in Nigeria, quattro in Guinea, oltre tre milioni in Mali e Senegal, circa tre in Camerun, un milione e mezzo in Niger, Mauritania e Burkina, e così via.

Per loro vale anzitutto l’antica diatriba agricoltori-mandriani: se non trovano pascoli, scoppia la siccità o vengono disturbati da troppe coltivazioni, si spostano altrove causando disagi. Ciò provoca da sempre conflitti intracomunitari, in genere risolti su base locale. Ma vi sono momenti in cui tali frizioni s’innestano su conflitti preesistenti (politici, interni o internazionali) come accade oggi in Mali e in generale nel Sahel. In Guinea le ultime due presidenziali si sono svolte attorno al tema del “pericolo peul”; in Mali e Niger alcuni clan peul si sono saldati con gruppi ribelli locali e in certi casi si sono fatti jihadisti. Si tratta di “movimenti” o alleanze temporanee e a ciclo continuo.
Uno sguardo superficiale può semplificare l’analisi fino al punto di leggere ogni contenzioso sulla base della “moda” del momento: terrorismo, islam, jihad ad esempio. Recentemente sulla stampa francese, mettendo assieme elementi disparati, è stata annunciata – come detto sopra – la nascita di un “jihad peul”.
Uno dei leader storici peul, Usmane Dan Fodio, fondò l’impero di Sokoto all’inizio del XIX secolo, scatenando un jihad nell’area haussa tra Nord Nigeria e Niger. Rinverdire tale memoria con la minaccia di un moderno jihad è gioco facile ma non corrisponde assolutamente al contesto attuale.

È noto che vi sono dei peul tra i jihadisti contemporanei come anche esistono jihadisti provenienti da altre etnie. Più spesso esistono delle zone in cui, a causa delle tormentate vicende saheliane, le popolazioni peul si sono scontrate anche recentemente con altre etnie per il controllo della terra e questioni legate ad allevamenti e transumanze.
Tutto ciò non giustifica l’allarme generico che lancia lo stigma su tutta la comunità peul che, tra l’altro, è divisa e molto differenziata al suo interno.

Malgrado ciò, annunciare tali presunte apocalissi ben si adatta allo spirito del tempo: il discredito sui nomadi e seminomadi funziona sempre, i pregiudizi storici africani non mancano, le paure occidentali sono infinite. Parlare di jihad peul è un caso di manipolazione indotta dall’esterno ed emotivamente rilanciata all’interno.
Se è vero che Amadou Kufa, un peul della regione del Macina e capo dell’omonimo gruppo, ha aderito con AQMI al rassemblement terrorista del tuareg Iyad Ag Ghali in Mali, va anche detto che i presidenti Buhari della Nigeria e Macky Sall del Senegal sono anch’essi della medesima origine.
Infine, c’è da aggiungere che i peul sono molto diversi fra loro e talvolta si combattono tra lignaggi diversi (come in Centrafrica) per il controllo dei pascoli.

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