L’impresa impossibile di Pedro

Le urne sorridono in misura superiore alle aspettative a Sánchez. Dovrà trovare il modo di mettere insieme i voti in parlamento per varare il suo governo, ma si trova nelle condizioni migliori per farlo.
ETTORE SINISCALCHI
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Il Psoe vince nettamente le elezioni mentre si consuma la resa dei conti nella destra spagnola. Il Pp mantiene il secondo posto e resta davanti a Ciudadanos che sembra però avere più futuro davanti a sé; entrambi però pagano l’irruzione di Vox nel Parlamento. Aumenta ovunque la partecipazione che decolla in Catalogna, dove Erc (Esquerra republicana de Catalunya) conquista la supremazia del campo indipendentista e risorgono i socialisti catalani che riconquistano il “cinturone rosso” di Barcellona. Podemos perde molti seggi ma la sconfitta non è del tutto amara. Un voto in cui gli spagnoli hanno scelto il dialogo contro le politiche dello scontro frontale e che consegna a Pedro Sánchez il governo del paese. La Spagna stanca di guerra offre anche a se stessa la possibilità concreta di un cambio di prospettiva – e una speranza alle sinistre del continente in vista dell’imminente voto europeo.

Le urne sorridono in misura superiore alle aspettative a Pedro Sánchez. Certo, dovrà trovare il modo di mettere insieme i voti in parlamento per varare il suo governo ma si trova nelle condizioni migliori per farlo. Il risultato gli rende infatti possibile in seconda battuta, quando non sarà più necessaria la maggioranza assoluta ma basterà quella relativa, di agire in scioltezza, potendo addirittura scegliere tra opzioni diverse. 

Il dubbio è se guarderà alla sua destra, Ciudadanos, o alla sua sinistra, Podemos. Stando a quanto detto e fatto in campagna elettorale, la scelta preferenziale è quella del governo delle sinistre. Ma la posizione che il risultato consegna a Sánchez è tale che ogni ipotesi è aperta. 

Il primo dato che aiuta a misurare la forza di Sánchez è che non ha bisogno dei partiti nazionalisti catalani per varare l’esecutivo, disarmando così le destre – e anche le minoranze interne – che lo accusano di accordi con gli indipendentisti già siglati. In questo senso la vittoria del segretario è completa anche della rivincita, interna ed esterna: il partito che più di una volta ha tentato di farlo fuori è adesso totalmente conquistato; il blocco di destre e nazionalisti catalani che ne fecero cadere il governo viene sconfitto e Sánchez rientra alla Moncloa – la sede del governo – con la forza dell’investitura popolare.

Arrovellarsi ora su quale maggioranza governerà il paese rischia, però, di essere inutile. Tocca limitarsi a constatare che il blocco di centrosinistra (Psoe-Unidas Podemos) è largamente avanti rispetto a quello delle tre destre; che un’alleanza con Ciudadanos sarebbe certamente vista non bene dagli elettori socialisti – come i cori nella notte a calle Ferraz hanno ampiamente esplicitato; e che, al contrario, molti, in Spagna e in Europa, preferirebbero un governo tra arancioni e socialisti, meno orientato a sinistra. 

Pensare adesso a quale prezzo Sánchez preferirà pagare è inutile perché prematuro. Mancano ancora dei tasselli fondamentali. Tra un mese, il 26 maggio, assieme alle europee la Spagna rinnoverà anche le sue amministrazioni comunali e tutte le comunità autonome, escluse quelle basca, galiziana e catalana. Lo scenario che uscirà da quelle urne, le maggioranze che sarà necessario costruire per governare città e autonomie, influirà sugli accordi per il governo centrale, entrerà nel gioco di alleanze che il segretario socialista riuscirà a costruire a fondamenta del castello di voti favorevoli e astensioni benigne che consentiranno il varo del suo prossimo esecutivo. Dinamica che già vediamo nelle autonomiche valenziane, che si sono tenute ieri assieme alle generali, e nelle quali il Psoe ha vinto e ha sostanzialmente tenuto l’accordo fra le tre sinistre che dal 2014 ha conquistato lo storico feudo del Partido popular.

I viola di Pablo Iglesias perdono voti e seggi ma la sconfitta è mitigata dai timori che fosse peggiore e dal fatto che il nuovo scenario li rende possibile unico socio di maggioranza. Che sia l’affermata volontà di aver capito gli errori, la campagna moderata che ha escluso le guerre a sinistra e proposto la Costituzione spagnola come base di un programma di governo della sinistra, o anche la scoperta che Podemos sia stata oggetto di una campagna di dossieraggi falsi e intercettazioni illegali prodotti da apparati deviati della pubblica sicurezza, il partito è riuscito a mantenere le posizioni, anche se non a uscire dalla crisi. 

Il Pp mantiene il secondo posto ma il risultato è drammatico. Pablo Casado, segretario di transizione, ha probabilmente le ore contate. Dopo l’attacco di Ciudadanos tocca ora a Vox spolpare il Partido popular. La crescita della destra machista e neofranchista in salsa trumpiana è spettacolare, ma qui si temeva più ampia. Il risultato viene sostanzialmente accolto con un respiro di sollievo. L’altissima partecipazione si traduce anche con un sostanziale respingimento dell’ascesa delle destre. Ciudadanos, dal canto suo, non riesce a superare i popolari, resta terzo partito, quasi una eterna promessa incompiuta. Ma sembra essere qui per restare, nel ruolo di un centrodestra liberale più moderno e aperto che il Pp non poteva più rappresentare. Ruolo che nella concorrenza a destra e nello scontro tra nazionalismi ha in questa fase messo da parte ma che potrà recuperare.

In Catalogna, infine, succedono due cose fondamentali. Erc supera il PDeCat e i socialisti risorgono inaspettatamente. Il partito dell’ex vicepresidente catalano incarcerato Oriol Junqueras,, Esquerra republicana de Catalunya, conquista l’egemonia nel campo nazionalista battendo il Partit Demòcrata Europeu Català dell’ex presidente in autoesilio Carles Puigdemont. Mentre i socialisti riconquistano voti ovunque ma soprattutto il “cordone rosso” degli ex quartieri operai che circondano la capitale, perduti verso En Comù e Ciudadanos. Erc poco sopra al milione di voti, il Psc poco sotto ai 960 mila: trionfano i due partiti che nei due campi più di altri hanno spinto per il dialogo politico sulla questione catalana.

Per riassumere, un voto importante, in cui la partecipazione è stata massiccia. Gli elettori hanno chiaramente espresso la loro volontà di cercare il superamento dello scontro che ha dominato gli ultimi anni di vita e il discorso pubblico della Spagna, e hanno risposto col voto all’allarme dell’estrema destra, dando un chiaro mandato al segretario socialista. Una delega non in bianco ma estremamente forte, a condizione che costruisca con le sinistre e i nazionalismi in grado di abbandonare le ipotesi secessioniste un percorso di ricomposizione politica delle tensioni, e che riprenda la tutela del welfare, considerato il più importante successo della democrazia, erroneamente sacrificato alle politiche di austerità.

Mentre il cammino giudiziario fa ancora il suo corso, e la crisi continua a mordere e il lavoro a precarizzarsi, l’impegno da affrontare sembra difficile ma le condizioni sono eccezionalmente favorevoli. La Spagna sta rinnovando ogni suo livello amministrativo e la rappresentanza in Europa, una coincidenza rara e favorevole che può facilitare grandi cambiamenti. Aiutati da un altro punto di forza per Sánchez: l’ampia maggioranza assoluta al Senato. In Spagna vige il bicameralismo, seppur non perfetto, e dalla Camera alta passano tutte le riforme e gli atti fondamentali, basti pensare che l’imposizione dell’articolo 155, che commissariò l’autonomia catalana, si fece qui.

A Pedro Sánchez, che ha strenuamente resistito a ogni tentativo di farlo fuori, riuscendo a occupare saldamente il centro del quadro politico, va reso l’onore di essere riuscito in un’impresa che pareva impossibile. Il suo spazio nella storia del Psoe l’ha conquistato con merito. Vedremo in che misura dimostrerà di saper anche costruire una visione del paese, e quindi di entrare nella storia della Spagna democratica.

L’impresa impossibile di Pedro ultima modifica: 2019-04-29T19:05:08+02:00 da ETTORE SINISCALCHI
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