Kristine McDivitt Tompkins, presidente della Thompkins Conservation, la fondazione creata assieme al marito Douglas morto per assideramento nel 2015 in seguito al rovesciamento del suo kayak nelle acque gelide del lago General Carrera nel Cile del sud, ha consegnato nei giorni scorsi 407mila ettari di boschi, montagne e laghi della Patagonia al popolo cileno.
Lasciate le cariche nelle imprese Patagonia e The North Face negli anni Novanta grazie alle quali erano stati a lungo protagonisti del vestiario casual e sportivo mondiale, i due si erano dedicati all’acquisto di terre nelle estreme regioni del sud cileno con lo scopo di trasformarle in parchi nazionali da donare in seguito allo Stato.

Nata all’indomani della fine del regime di Augusto Pinochet, caratterizzatosi per le ampie privatizzazioni delle terre della Patagonia e del sud cileno a scapito delle popolazioni indigene mapuche, la Fondazione ha destato all’inizio più di qualche sospetto nel Paese, finché non si è capito che si trattava di una cosa del tutto diversa rispetto alle attività che altri gruppi, in primo luogo la famiglia Benetton, stavano conducendo nel cono sud dell’America Latina.
Contrariamente agli scopi di sfruttamento economico che hanno portato all’acquisto di terreni da parte d’investitori come appunto i citati Benetton, negli anni Douglas e Kristine Tompkins si sono distinti mettendo in atto un vasto programma di donazioni, chiedendo in cambio una precisa presa di responsabilità da parte dello Stato cileno.

Anche nel caso dell’ultima donazione, il servizio forestale del Paese avrà l’onere di amministrare i due parchi nazionali recentemente creati, quelli di Pumalín e di Patagonia, fornendo il personale necessario al mantenimento e alla sorveglianza.
Per consentire la creazione di risorse che possano mantenere in vita le nuove realtà, lo Stato dovrà anche sovrintendere all’infrastruttura turistica, dando in concessione gli alberghi e i camping che sono stati costruiti per favorire un turismo sostenibile e la visita di territori caratterizzati dalle alte vette andine innevate e da fitti boschi, habitat dei condor e dei puma di montagna.
Il progetto, ha dichiarato Kristine Tompinks in un comunicato diffuso dalla Tompinks Conservation, giunge dopo anni di lavoro che hanno portato all’accordo con lo Stato cileno poco dopo la morte di Douglas, grazie al quale si compie finalmente il sogno che Pumalín e Patagonia siano parchi nazionali. E premia lo sforzo intrapreso dalla Fondazione per creare nuovi parchi al fine di salvaguardare la biodiversità, recuperare le terre degradate, reintrodurre specie animali e vegetali assenti, favorire la sensibilità per l’ambiente, promuovendo, infine, l’agricoltura biologica.
Originariamente basata a San Francisco, negli anni Novanta, la Fondazione ha aperto uffici a Puerto Montt, Chaitén, Pillán, El Amarillo e nel Parque Patagonia, mentre le sedi principali sono a Puerto Varas in Cile e a Buenos Aires in Argentina, dove è impegnata nel recupero della vita silvestre nella regione delle terre umide di Iberá.
Il lavoro ha consentito alla Fondazione di proteggere una quantità di terra pari a più di un milione trecentomila ettari, nei quali sono da conteggiare i terreni donati da organizzazioni affini affiliate a Tompkins Conservation, nella convinzione che restituire alla terra il suo stato naturale significa aiutare la natura affinché i siti degradati possano recuperare il loro stato originario.

Un fatto che è considerato indispensabile per prevenire l’estinzione di altre specie a causa della presenza umana, oltre che alla base dello stesso benessere dell’uomo. Un’attività di recupero della vita silvestre su larga scala, una restaurazione ecologica a un livello globale, per le quali la lingua inglese ha coniato il nome di rewilding, che corrisponde appunto al recupero dello stato naturale di un luogo reinserendo le specie scomparse in un sistema funzionale creato attraverso tecniche di ripristino attivo e passivo, costantemente monitorato.
Il lungo processo che porta al recupero di un habitat sicuro, prevede a un certo stadio l’introduzione delle specie assenti nell’ecosistema, e culmina quando queste raggiungono un numero d’individui sufficiente a garantire le loro funzioni ecologiche normali, con cui il progetto di recupero della natura si può definire a tutti gli effetti concluso.

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