Il 30 aprile 2017 Dubai presenta l’omonimo carattere tipografico, una font Microsoft disponibile in 23 lingue, capace d’integrare l’alfabeto arabo con quello romano. Considerando il globale proliferare di azioni analoghe, Dubai Font può sembrare a un primo sguardo una tra le inflazionate strategie in bilico tra brand design e promozione turistica. Si osservano alcuni degli elaborati che hanno costituito la campagna di lancio della font – in questo caso lo spot trasmesso su un volo della compagnia aerea di bandiera dell’Emirato arabo di Dubai – per lasciarsi incuriosire dalla vicenda, ampliare gli orizzonti dell’indagine e riflettere sul significato e sul valore del pay off “From Dubai to the World” e del claim “Express You”.
Nonostante le abbondanti, talvolta retoriche, critiche che pongono l’accento sull’appariscente dissonanza tra il messaggio della campagna e la realtà sociale e politica degli Emirati Arabi Uniti – che come buona parte del Medio Oriente, per ciò che interessa questa riflessione, deve confrontarsi con un significante tasso di analfabetismo –, è interessante indagare la scelta di affidare a un carattere tipografico il ruolo di ambasciatore della nuova identità turistica, oltre che istituzionale, della città.
Per provare a comprendere l’obiettivo strategico della campagna, centrata sul progetto del carattere tipografico, è utile sapere che il lancio di Dubai Font è stato accompagnato dai tweet dello sceicco Hamdan bin Mohammed, principe di Dubai, che tra le altre cose afferma:
Dubai Font contributes to creating an attractive business environment that will boost emirate’s economy. [Dubai Font contribuisce a creare un ambiente attraente per gli affari che darà grande impulso all’economia dell’emirato].
Lo sceicco ribadisce così la flessione della città verso il settore terziario, necessario cambio di rotta dovuto alla più o meno recente consapevolezza dello scarso valore competitivo di Dubai nell’estrazione petrolifera, core business dei Paesi vicini.
Dalla fine degli anni Novanta infatti i proventi del petrolio sono in buona parte investiti in resort e attrazioni per il turismo, e a partire dagli anni Duemila Dubai s’adopera per conquistare il titolo di principale scalo aereo globale – traguardo raggiunto nel 2014 – e conseguentemente aprirsi, se non consacrarsi, al turismo business e leisure. La città, già nel 2016, superò Roma nelle classifiche del turismo internazionale e, in concomitanza dell’Expo Universale che ospiterà nel 2020, Dubai si propone di raggiungere le vette di Macao, Hong Kong o Singapore, conclamate città-resort asiatiche. Altro dato utile a questa indagine è la percentuale di popolazione autoctona: solo il dieci per cento della popolazione stabile di Dubai, in favore di una nutrita e attiva percentuale di expat.
L’origine di questo pattern culturale – particolarmente eterogeneo per il Medio Oriente – va ricercata nella natura stessa della città: a seguito della scissione nel 1830 da Abu Dhabi, il villaggio che fu visse di commercio finché nel 1966 fu trovato il petrolio, circostanza che diede inizio alla fondazione di Dubai come sistema internazionale, con ciò che ne consegue.
In che modo si è dunque giunti al progetto di Dubai Font come ambasciatore, tassello di una strategia reputazionale focalizzata sulla simultanea generazione e narrazione di contenuti, strategia di content marketing e public diplomacy, oltre che di branding?
Affidare a un carattere tipografico, ancor prima che alla campagna che lo promuove, il compito di introdurre e veicolare nuovi contenuti, si può dichiarare una scelta contemporanea, modalità adottata da alcune tra le più innovative realtà territoriali in termini di comunicazione – Eindhoven, Seattle, Stoccolma per citarne alcune.
Dubai è infatti una tra le prime città ad avere la sua font, laddove la maggior parte delle capitali globali restano avvolte in una patina “corporate” e ancorate al codice visivo dominato dal marchio, codice mutuato dal marketing commerciale che generalmente interpreta la realtà territoriale come prodotto, organizzandola in un sistema visivo rigido – per quanto si parli spesso di identità dinamica – accentrato dal marchio. In quest’ottica, scegliere di essere presenti attraverso una font, uno strumento al servizio della complessità dell’identità territoriale che rappresenta e racconta, significa lasciare il più ampio spazio alla dinamicità che contraddistingue, in questo caso specifico, la contemporaneità e presumibilmente il prossimo futuro di Dubai.
Il type designer a cui è stato affidato lo studio della font è la libanese Nadine Chahine, Arabic Specialist di Monotype, che a partire dal suo coinvolgimento nel progetto – unica donna tra i testimonial e i promotori dell’iniziativa – contribuisce alla generazione di contenuto. Nadine al lancio della font dichiara:
The openness and harmony of the people in the UAE, the essence of Dubai and its vision to become the quintessential modern Arab city were our source of inspiration to design the Dubai Font [L’apertura e l’armonia della gente degli Emirati, l’essenza di Dubai e la sua visione tesa a diventare la quintessenza della moderna città araba sono state le fonti d’ispirazione per disegnare il Dubai Font].
Non si è trattato solamente di creare un carattere tipografico di qualità, ma di creare uno strumento di espressione empatico, rivolto alle molteplici comunità e culture che definiscono la realtà sociale contemporanea di Dubai.
Così a Dubai Font è assegnato il compito di riposizionare la città nell’immaginario comune, di esprimere i valori centrali della campagna – tolerance, respect, modern, tradition, solo per citarne alcuni – avvalendosi della sintesi formale dei suoi caratteri, privi di dettagli dominanti. Non vi sono preponderanze tra le dimensioni verticale e orizzontale del carattere – che tende al quadrato –; la modulazione del tratto è presente – sia per ottimizzarlo otticamente sia per avvicinare la versione latina a quella araba, codice visivo che necessita di maggiore modulazione rispetto all’alfabeto latino –, ma non particolarmente evidente, se pur tenda ad ammorbidirne le forme; la crenatura tra le lettere è ampia – esasperata quando il carattere è impiegato nella campagna – e la font è proposta in quattro pesi armonici e misurati – light, regular, medium e bold – così che nel suo utilizzo il carattere non può che apparire leggero e arioso.

A oggi è prematuro valutare l’efficacia della campagna e comprenderne gli eventuali risvolti economici; Dubai Font è tuttavia un’occasione per tornare a riflettere e porsi alcune domande relativamente alle potenzialità del progetto grafico nella comunicazione del territorio.
Azioni analoghe hanno dato risultati soddisfacenti in ambiti differenti – si pensi a Divenire, il carattere tipografico disegnato nel 2013 da Luciano Perondi per il Partito democratico commissionato da FF3300, l’agenzia che ha curato la campagna, o al San Francisco, introdotto nel 2015 da Apple – e il trend dei bespoke font sembra avere lunga vita. D’altronde la stessa RTA Dubai, la rete di trasporti cittadina, nel 2016 rinnovò la sua intera comunicazione con una font progettato ad hoc grazie alla collaborazione delle agenzie 29LT e Wolff Olins.

Ma può un carattere tipografico raccontare un’identità territoriale? Può influire sulla percezione individuale e collettiva al punto di veicolare significati e valori, oltre alla semantica propria del linguaggio? Un carattere tipografico può in effetti contribuire, in una certa misura, alla narrazione del valore territoriale – e non solo. Questo avviene sia quando progettato come strumento utile, supporto adeguato, capace di garantire il corretto fluire di contenuti e la loro accessibilità al più ampio pubblico, sia quando nella sua anatomia s’intravedono metafore e citazioni formali – si pensi in questo caso specifico alle aperture generose, alla sinuosità delle aste curve, alla morbidezza degli occhielli e agli altri elementi anatomici citati in precedenza.
La stessa type designer Nadine Chahine ha affermato:
We also needed to maintain a reference to the pen movement, but keep it subtle because it’s a sans serif, and it’s not too calligraphic. [Dovevamo anche mantenere un riferimento al movimento della penna, ma sottile, perché è un sans serif, e non è troppo calligrafico].
E ancora:
There’s a calmness in the design, in both the Latin and even more so in the Arabic. It needed that peacefulness [C’è una certa calma nel disegno, sia nel latino sia nell’arabo. Aveva bisogno di quel senso di pace].
Intenzioni e scelte progettuali chiare, orientate non solo verso l’accessibilità della font ma anche verso la possibilità di rafforzare il messaggio che la città di Dubai rivolge al mondo.

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