Tina Anselmi. Un riconoscimento alle donne partigiane

Nel libro autobiografico “La Gabriella in bicicletta. La mia Resistenza raccontata ai ragazzi” ripercorre sotto forma di domande e risposte date alla nipote il suo impegno al tempo della lotta partigiana contro il nazifascismo.
BARBARA MARENGO
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Dai Gabriella, pedala, pedala da quel giorno del 1944, quando a Bassano del Grappa i nazifascisti costrinsero gli studenti ad assistere all’impiccagione di trentuno prigionieri, per rappresaglia: a seguito di quel crimine Tina Anselmi, che frequentava l’istituto magistrale, diventa staffetta partigiana con il nome di Gabriella e fino alla fine della sua vita, nel novembre 2016, s’impegna e si batte per gli ideali democratici della nazione.

Il libro autobiografico La Gabriella in bicicletta. La mia Resistenza raccontata ai ragazzi (Manni edizioni) ripercorre sotto forma di domande e risposte date alla nipote l’impegno della Anselmi al tempo della lotta partigiana contro il nazifascismo, e presenta una serie di testimonianze, lettere di condannati a morte, fotografie e cenni biografici di personalità perseguitate e uccise durante il ventennio di dittatura.

Un impegno che da quel lontano e cupo 1944 portò la Gabriella a scendere dalla bicicletta, a farsi riconoscere con il suo nome vero, Tina, e diventare la prima donna ministro nel 1976, dopo aver presieduto la Commissione d’inchiesta sulla P2: un cammino e un impegno costante, dopo una laurea conseguita presso l’università del Sacro Cuore a Milano, incarichi da sindacalista, deputata tra le fila della Democrazia cristiana dal 1968.

Come ministro del lavoro e della previdenza giura il 30 luglio 1976 davanti al presidente della repubblica Giovanni Leone: dopo 836 ministri uomini avvicendati in trentasei governi, è una Tina sorridente vestita con un abito fantasia che appone la firma sui documenti ufficiali, una Tina che ammicca dalla foto in bianco e nero, con la messa in piega a onde, sola donna circondata da maschi. Poteva essere appena scesa dalla sua bicicletta, la Tina un tempo Gabriella, che la mattina di buonora pedalava tra le strade bianche del Veneto, per portare messaggi e tenere i contatti con le formazioni partigiane tra Bassano del Grappa e Castelfranco Veneto. E poi a scuola, per non perdere le lezioni, tutto all’insaputa della famiglia, ragazza determinata che capì in quei momenti la necessità di impegnarsi in prima persona.

Chissà se nella sua mente di diciassettenne in un mondo dominato dalla guerra e da uomini feroci si faceva già strada la consapevolezza della dignità femminile e del valore della presenza delle donne nella Resistenza, un pensiero che sfociò nell’impegno politico grazie a lei nella legge sulle pari opportunità, nella riforma del servizio sanitario nazionale, nell’impegno nelle commissioni lavoro e previdenza, igiene e sanità, affari sociali. Tina Anselmi a Roma, nei lunghi corridoi della sede della Democrazia Cristiana in Piazza del Gesù, ci metteva poco a ritornare la Gabriella in bicicletta che faceva lo slalom tra le pattuglie naziste, non meno pericolose dei palazzi delle istituzioni.

Una madre della nostra Repubblica, le donne italiane devono molto a lei, devono esserle profondamente grate,

scrive Laura Boldrini nella prefazione del volume: Tina che madre non è mai stata ha lasciato una bella eredità, e la chiacchierata che propone nel libro è una maniera profonda e facile al tempo stesso per mettere tanti puntini su tante “i”.

Il dialogo con la nipote permette alla Anselmi di spiegare e ripercorrere gli anni della dittatura fascista, descrivendo il clima che si respirava in Italia man mano che provvedimenti sempre più restrittivi investivano la società: sull’onda del malcontento per la “vittoria mutilata” dopo il primo conflitto mondiale, dopo la promulgazione delle leggi razziali, l’indottrinamento a forza di slogan, la censura della stampa, il dilagare della violenza e la restrizione delle liberà individuali, la Anselmi spiega come lei, ragazza, studiasse la dottrina del fascismo pedissequamente salvo poi accorgersi

[…] a cosa portava quella dottrina, i suoi effetti pratici, quando abbiamo visto applicato il diritto di perseguitare gli oppositori e di ammazzarli, di uccidere i malati di mente… di bruciare la gente nei forni crematori, quando abbiamo udito i lamenti dalle carrozze piombate che deportavano i nostri soldati in Germania, allora abbiamo rifiutato, ho rifiutato e combattuto un regime politico che legittimava le cose più terribili in nome dello stato.

La scintilla che fece emergere queste consapevolezze fu l’episodio dell’impiccagione dei 31 giovani nel viale di Bassano:

[…] bisognava agire per far finire la guerra, creare le condizioni migliori perché nella pace l’Italia potesse riprendere il cammino sulla strada della democrazia.

Parole chiare, semplici, lungimiranti che portarono la Tina a diventare partigiana. L’avventura inizia tra le colline venete, con un contatto con il comandate della formazione che si stava costituendo, in tutto il Nord Italia e non solo, mentre gli Alleati avanzavano da sud e i tedeschi con la neocostituita Repubblica di Salò ferocemente reprimevano ogni azione di Resistenza.

Tina Anselmi giura come ministro del lavoro nel governo Andreotti III (1976)

Dopo l’8 settembre 1943 la storia che la Anselmi spiega alla nipote è quella della Resistenza e degli uomini che anticiparono già negli anni venti e trenta il rifiuto della dittatura di Mussolini, e che pagarono con la vita: Giacomo Matteotti, Piero Gobetti, Giovanni Amendola, Antonio Gramsci, Emilio Lussu, Carlo e Nello Rosselli, don Giovanni Minzoni, Sandro Pertini.

“Eravamo tutti molto giovani”, racconta la partigiana Gabriella, e questo colpisce oltremodo il nostro modo di pensare al fatto di avere diciassette anni ed essere in guerra in prima linea, avere fame, paura, freddo, amici e conoscenti morti al fronte, prigionieri in Germania o altrove, amici ebrei cacciati da scuola e deportati perché “non ariani”, come due compagne di classe della Tina che incredula non arrivava a capire questa esclusione.

Il racconto si fa epico, quando Tina descrive alla nipote il rischio corso mentre trasportava una pesante valigia con una trasmittente da consegnare ad una formazione partigiana: per non far tardi a scuola (sic) la Gabriella in bicicletta si fa dare un passaggio da un camion carico di tedeschi, bici compresa, incoscienza della gioventù. 

Per cambiare il mondo bisognava esserci: senza partecipazione non c’è democrazia.

La Tina spiega attraverso le lettere dei condannati a morte il concetto di “esserci”, 

[…] come devono esserci tutti i cittadini per costruire la democrazia e pubblica una bella serie di fotografie scattate durante la lotta partigiana, con giovani spavaldi e sorridenti assieme a documentazioni di tragiche fucilazioni.

“Zia, c’erano molte donne nella Resistenza?”. Bellissima domanda, bellissima risposta:

[…] le donne nella guerra partigiana sono state fondamentali. Io dico che la qualità della politica sarebbe migliore se ci fossero più donne accanto agli uomini a gestire i problemi del Paese.

Convinte di combattere per conquistare la pace, le donne partigiane ricevono attraverso questo volume un omaggio e un riconoscimento, come tutrici della memoria e responsabili di trasmettere il messaggio alle nuove generazioni: quello che Tina Anselmi ha fatto incessantemente, parlando nelle scuole e raccontando, ricordando ed alimentando gli ideali di libertà e di pace.

Una giovane Tina Anselmi

Da leggere tutto d’un fiato senza saltare un capitolo, La Gabriella in bicicletta va consigliato a giovani e meno giovani per un’attenta analisi muniti di matita per sottolineare il capitolo relativo alle leggi razziali:

[…] tra la mattina e la sera del 22 agosto 1938 tutti gli ebrei d’Italia ricevettero la visita di un rilevatore incaricato di identificarli, cessarono di essere italiani o stranieri e diventarono ebrei, più soli e meno uguali.

“Sarà mica una malattia infettiva” esclama la Tina bambina di fronte all’assenza improvvisa di Esther e Ruth, compagne alle elementari. Peggio, leggendo la trentina di righe che descrivono l’esclusione degli ebrei dalla vita civile, primo passo verso la deportazione. Un manuale in tempi di rigurgiti di nazionalismo e di esclusione.

Tina Anselmi. Un riconoscimento alle donne partigiane ultima modifica: 2019-05-14T12:53:20+02:00 da BARBARA MARENGO
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1 commento

Pierluigi Visci 15 Maggio 2019 a 12:54

Una recensione molto bella e particolarmente significativa in queste settimane di amnesia su fascismo e antifascismo, schiene diritte sui diritti civili, politici, umani e scorciatoie di ignoranti reazionari. Faccio solo notare alla brillante autrice due passaggi che lasciano dubbi: 1) qual riporta la nomina a ministro, prima donna ministro nella storia d’Italia (non solo della Repubblica) nel 1976 era prima di assumere la presidenza della commissione d’inchiesta sulla P2 (fine 1981). Anzi: dopo la P2 non ha più avuto ruoli di rilievo (si ricorda la presidenza di una commissione parlamentare per l’accertamento dei beni degli ebrei sottratti dopo la promulgazione delle leggi razziali). 2) nell’elenco degli antifascisti che sacrificarono la vita come Amendola o i fratelli Rosselli, c’e’ Anche il nome di Pertini. Perseguitato, incarcerato, ma non ucciso (sara’ Presidente della Repubblica proprio dopo Leone nelle cui mani la partigiana Gabriella giuro’ da ministro). Questo solo per pignoleria rispetto a un testo bello e importante su un libro altrettanto bello e importante. Pierluigi Visci

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