[ATENE]
Solitamente l’elettore greco affronta le elezioni europee con spirito rilassato. Capita così che partiti piccoli e piccolissimi, personalità strambe e divi di mediocri serial tv siano ritenuti degni di rappresentare il Paese a Strasburgo. Tanto, di quel che si dibatte e si decide nel Parlamento europeo il cittadino greco non saprà mai nulla. Anche volendo, il sistema informativo greco non glielo permetterà. Se proprio insiste, dovrà fare un reportage per conto suo.
Il giornalismo greco non serve a far sapere quello che succede. Serve a far sapere quello che vuole l’editore, il proprietario dell’emittente tv oppure il leader politico amico. Lo stesso vale per i sondaggi pre-elettorali che non ci azzeccano dalle elezioni del lontano 1996. In quelle del 2000 gli exit poll davano per vincente il partito di destra Nuova Democrazia e i sostenitori della destra si riversarono per le strade a festeggiare. La doccia fredda arrivò poco prima di mezzanotte con i risultati definitivi che davano la vittoria ai socialisti del Pasok.

Da allora sempre peggio. Con l’apice nel 2015, l’anno delle tre elezioni, in cui ufficialmente le società demoscopiche si sono affermate come uno dei principali strumenti di propaganda elettorale, subito dopo le televisioni private. Uno dei sondaggisti di allora, Takis Theodorikakos, è attualmente responsabile comunicazioni di Nuova Democrazia. Partito che, ovviamente, tutti i sondaggi danno per vincente, stravincente, più vincente non si può, con dieci, quindici ma anche venti punti di vantaggio. Ci vorrebbe un sondaggio, di quelli veri, per verificare se qualcuno continua a crederci.
Questa lunga premessa perché tutti i colleghi italiani che vengono qui ad Atene la prima cosa che fanno è citare i sondaggi. Per parlare seriamente delle elezioni europee bisogna ignorarli, cancellarli, rimuoverli. Come fanno i greci. I quali, in queste elezioni europee non sono tanto rilassati. I partiti minori in parlamento ne soffriranno.
Un esempio è Vassilis Levendis, personaggio bislacco e improbabile leader dell’Unione dei centristi, partito miracolato nel settembre del 2015 con il 3,4 per cento e nove deputati. Ora non ha alcuna speranza. Lo stesso per Stavros Theodorakis, giornalista televisivo, fondatore e leader di To Potami (Il Fiume) entrato nel parlamento europeo nel 2014 con il 6,6 per cento e due seggi.
I piccoli soffrono perché la polarizzazione è alle stelle e le elezioni sono un derby. Da una parte la sinistra di Syriza al governo e dall’altra la destra all’opposizione. Tertium non datur. Nuova Democrazia insiste nel voler trasformare le europee in un’anticipazione delle elezioni nazionali che sono previste per l’autunno. Quindi le tematiche europee vengono spolverate solo quando sulla stampa di opposizione, cioè al novanta per cento dei quotidiani, qualche “funzionario europeo”, sempre rigorosamente anonimo, esprime “gravi riserve” sulla politica economica del governo.
Oppure quando prende la parola il candidato democristiano per la presidenza della Commissione Manfred Weber, famoso in Grecia per essere stato uno dei più fanatici sostenitori della Grexit e per gli insulti lanciati a raffica contro i ben noti “poltroni del sud Europa”.
Sicuramente il più aggressivo è il leader di Nuova Democrazia Kyriakos Mitsotakis, rampollo di una chiacchieratissima dinastia politica, che non risparmia ingiurie al primo ministro: Tsipras è un bugiardo, un truffatore, un fascista rosso, un anarco-stalinista, un pericolo per le istituzioni, un protettore dei terroristi, un amico di Maduro.
Gli insulti diventano notizie nelle televisioni private e il dibattito politico si trasforma in un’arena in cui grida isteriche coprono e nascondono qualsiasi programma per il futuro del paese.
Nuova Democrazia ha buoni motivi per alzare oltre misura i toni. Un motivo è che si trova in una situazione di grande disagio con il suo elettorato. Mitsotakis ha cooptato al vertice del partito esponenti dell’estrema destra che presto gli hanno preso la mano e trasformato un partito liberale di centrodestra in una riedizione della destra anticomunista degli anni della guerra fredda.

Un secondo motivo che scoraggia ogni dibattito sui contenuti è che il programma economico e sociale di Nuova Democrazia è proprio impresentabile, in quanto sembra dettato dal Fmi. Prevede l’abolizione delle otto ore lavorative, settimana lavorativa di sette giorni, l’affidamento del sistema pensionistico alle società di assicurazioni, la privatizzazione del sistema sanitario pubblico e anche dell’istruzione universitaria. Proposte che il precedente governo della destra, quello di Antonis Samaras, ha cercato di applicare negli anni bui della troika (2012-2014) con risultati disastrosi.
Oggi quindi la situazione è paradossale: Mitsotakis ogni tanto qualche accenno al suo programma lo deve fare, specialmente quando parla agli imprenditori o ai diplomatici stranieri. Salvo poi smentire quello che ha appena detto.
La destra greca quindi è l’unica in Europa che si presenta su posizioni estremiste, ultranazionaliste e xenofobe nello stesso tempo in cui condivide in pieno la filosofia neoliberista e di austerità dell’eurozona.
Tsipras in questa situazione non si trova a dover affrontare un’opposizione conservatrice. Si trova a lottare contro un sistema informativo messo totalmente a disposizione della destra. Una lotta non per convincere gli elettori ma per informarli. Perché, se potesse, il governo avrebbe molte cose da dire. Da quando, l’estate scorsa, la Grecia è uscita dal controllo dei creditori, è iniziata la ricostruzione del paese dalle macerie.
Il pil ha un tasso di crescita del due per cento, tra i più alti in Europa (ma era crollato del 25 per cento), la disoccupazione è scesa al 19 per cento (era al 26 per cento), i bond greci sono tornati ai mercati a tassi fisiologici (attorno al 3,5 per cento). Gli indici favorevoli e gli spettacolari avanzi primari (3,1 per cento l’anno scorso) si traducono in piccoli passi per la ricostruzione dello stato sociale distrutto dalla troika. Ricostruito alla grande il sistema sanitario nazionale, con migliaia di investimenti e di nuove assunzioni, ripristinati i contratti collettivi di lavoro, aumentata la retribuzione minima da 545 a 650 euro, riportata la tredicesima alle pensioni, mentre si considera di annullare almeno una parte dei complessivamente dodici miliardi di euro tagli imposti dalla troika.

È vero che Tsipras paga duramente in termini di immagine la faciloneria con cui ha affrontato i creditori subito dopo la sua vittoria alle elezioni di gennaio 2015. Le sue promesse di allora, in cui non mancavano forti elementi di populismo, sono tuttora usate come elemento di polemica. Le elezioni del settembre 2015, dopo la dura sconfitta e la firma di un nuovo (il terzo) piano di austerità, l’hanno confermato al governo, malgrado la dolorosa scissione di Syriza. Ora quelle elezioni sono rimosse dal dibattito pubblico. E si nasconde il fatto che da allora Tsipras ha proseguito sulla strada del realismo europeista, aprendo un dialogo con il Pse e raggruppando nella sua lista per Strasburgo molti socialisti provenienti dal Pasok, ora ridotto a vivacchiare con un misero sei per cento e una leadership insignificante.
Di tutto questo in Grecia non ne parla. Mentre scrivo queste righe le notizie che dominano il panorama televisivo sono due. La prima riguarda il fatto che durante il Ferragosto del 2018 Tsipras e la sua famiglia hanno passato tre giorni nello yacht di una sua collaboratrice volontaria e non retribuita. La seconda il fatto che il vice ministro della Salute si deve dimettere perché è maleducato, in quanto ha osato polemizzare con un candidato invalido di Nuova Democrazia. Europa? Non sappiamo cosa sia.

Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!