Buona la prima, anzi ottima…

Esce allo scoperto l’intelligenza politica dei veneziani, che da Marghera cominciano a costruire il futuro della loro città, di acqua e di terra. E sì, “un’altra città è possibile”.
MARIO SANTI
Condividi
PDF

Un luogo che sta a metà tra Venezia e Mestre, dove le acque s’insinuano e confondono con la terra e la terra comincia ad affacciarsi in Laguna. Nella Marghera che sposta il suo baricentro dall’industria alla ricerca avanzata. È stato ben scelto il punto d’incontro per l’invito che le associazioni hanno rivolto ai cittadini. Ai veneziani di acqua e di terra. Con una comune volontà di far pesare saperi, pratiche, proposte che nascono e vivono nel territorio nel governo della polis. 

Il padiglione Pegaso del Parco scientifico e tecnologico li ha accolti il 18 maggio 2019, in una piovosa giornata di primavera. 

Ha ospitato (a stento; dopo un po’ non si trovava più posto nei venti tavoli, previsti ognuno per una quindicina di persone; e molte e molti hanno dovuto stare in piedi) ben più di quattrocento persone. Il dato è reale e semmai sottostimato: ai circa 370 che hanno votato ai sondaggi elettronici va aggiunto chi non aveva uno smartphone utilizzabile per votare e più di quaranta persone impegnate nell’organizzazione.

Credo che gli organizzatori possano giustamente rivendicare non solo “un grande successo”, ma anche che “il clima era bellissimo”. E che il merito va al metodo e alle persone che lo hanno saputo praticare (e che alla fine erano tanto stanche quanto soddisfatte).

Ma andiamo con ordine.

Com’è nata la proposta

Tutto nasce da un’idea di alcuni aderenti a Poveglia per tutti. Che si sono chiesti se – e come – si può modificare un orizzonte di governo della città incapace di ascoltare le proposte dei cittadini. Se sia possibile trasformare le centinaia di idee, proposte, azioni di gruppi e associazioni in una visione e in un programma per governare la città. E per invertire radicalmente la tendenza delle amministrazioni a rispondere solo a poteri che questa città usano, ma che con Venezia e soprattutto con i veneziani non hanno un rapporto.

L’impresa pareva difficile, ma non impossibile.

Si poteva tentarla portando in dote il patrimonio più importante che sta alla base della costruzione di quell’esperienza: il metodo partecipativo. Inteso come un processo che punta non a convincermi di qualcosa, ma a consentirmi di capire che quella cosa mi sta a cuore e a farmi muovere per perseguirla, coinvolgendo la comunità per raggiungerla.

Si è partiti condividendo quest’idea con associazioni e persone con le quali si è da tempo lavorato a una “emersione” delle capacità di proposta su grandi temi delle politiche urbane e della qualità della vita in città. Si pensi alle grandi iniziative civiche sulla gestione del patrimonio pubblico (del 15 febbraio 2018); sugli usi civici del beni comuni urbani (del 14 aprile 2018). O al Laboratorio civico sulla residenza, che dopo un anno di lavoro ha portato alla precedente partenza di OCIO.

Poi si è pensato di superare barriera del ponte della Libertà[1].

E si è pensato di dar voce alle proposte positive sul territorio, per capire se da questa base può emergere una visione e una prospettiva programmatica che sia di governo della città.

La città d’acqua, di terra, con il suo bacino metropolitano. 

Si sono scelti tre temi per avviare la discussione non solo sulla “città che vogliamo” ma su “come facciamo per ottenerla”: i “beni comuni”, la “vivibilità della città”, le “pratiche democratiche” necessarie a portare le proposte dei cittadini al governo della città.

Infine si è passati dalla parole ai fatti.

Si è creato un gruppo di “staffette”, volontari che per un paio di mesi sono andati ad incontrare gruppi e associazioni, prima delle terraferma e poi della città insulare, proponendo quei tre “punti di partenza”. E praticando un “ascolto attivo” delle esperienze, delle pratiche, delle proposte degli interlocutori.

Un’esplorazione ampia che ha coinvolto dalle associazioni che lavorano su memoria a storia della città alle remiere, dagli ambientalisti alle bocciofile, da Marghera libera e pensante a quartieri in movimento a Mestre, dagli scout cattolici agli atei dell’UAAR. Gruppi e associazioni che possono esser un tramite per arrivare a parlare con i cittadini, che sono il destinatario delle proposta.

Questo lavoro ha consentito di definire materiali di base e di costruire rapporti per fare un ulteriore passo. Per estendere e dare visibilità alla pratica di ascolto attivo della città è stata realizzata l’assemblea cittadina del 18 maggio 2019 – gestita col metodo partecipato dell’electronic town meeting.

L’obiettivo è quello di “definire una visione e un programma”, nati dai cittadini e “portarli al governo della città”. E assicurare il controllo degli elettori sugli eletti, ma anche la partecipazione attiva dei cittadini al governo della città. 

Non, quindi, “fare una lista”. Potrebbe essere necessario, come punto di arrivo, non certamente di partenza. Se gli schieramenti in campo non saranno in grado di garantire la realizzazione di quel programma con quel metodo. E se il percorso avviato sarà stato capace non solo di costruire un programma, ma di coinvolgere la città nella sua pratica a tutti i livelli, compreso quello istituzionale.

La scommessa vinta del 18 maggio:
l’Electronic Town Meeting e i suoi esiti

Presentazione 

Per dare la parola alla città è stato scelto il metodo dell’electronic town meeting.Venti tavoli gestiti da venti facilitatori. Dovevano esserci quindici persone per tavolo, si è andati un po’ oltre.

I contenuti salienti delle discussioni (su ognuno dei tre macro-temi beni comuni, vivibilità, pratiche di democrazia, affrontati nell’ordine) sono stati riportati dai facilitatori via computer a un tavolo di redazione. Qui c’erano cinque persone, ognuna delle quali sistemava gli input ricevuti da quattro facilitatori per passarli ad altri due redattori che assemblavano il tutto per la versione finale di tre report.

Ogni report veniva prodotto e illustrato a voce da un redattore sul maxi schermo visibile da tutti i tavoli. Tra i tavoli si muovevano alcune persone di supporto (una ogni tre-quattro tavoli) che si sono occupate di portare messaggi tra i tavoli e tra questi e la redazione; chiamare a raccolta i partecipanti e/o redistribuirli tra i tavoli.

La discussione su ciascun tema è stata intercalata dalle domande/sondaggio cui ogni partecipante poteva rispondere dal suo smartphone, mediante l’accesso a un semplice indirizzo web. Così i partecipanti hanno risposto cliccando col dito sulla risposta preferita. Il programma elaborava e forniva i risultati, che venivano poi forniti in diretta, letti e mostrati sullo schermo (visibile da tutti i tavoli). Questa lettura immediata dei risultati di ciascun sondaggio ha fornito ai partecipanti conoscenze aggiuntive e spunti per le discussioni. 

Se si aggiungono gli altri ruoli che hanno consentito di gestire questo grande gioco di società – che si è rivelato assieme serissimo e divertente – arriviamo a 46 persone impegnate tra facilitatori, supporto ai tavoli, redazione speaker, coordinamento generale, network, fotografi, mangia/bevi e baby sitting.

Il meeting era organizzato per dare a tutti la possibilità di partecipare con agio e conforto. E così è stato [2].

Cosa n’è uscito

Gli organizzatori presenteranno in modo organico la quantità e la qualità dei dati emersi da questa “consultazione popolare” con un “documento di posizionamento” con il loro giudizio sulla giornata e sulle prospettive che ha aperto, facendo i conti anche con le criticità emerse.

Resta il fatto, assolutamente innovativo, che questa metodologia permette a tutti di conoscere in tempo reale i risultati delle discussione. È stato così possibile disporre di quanto emerso dalla discussione nei tavoli sui beni comuni, sulla vivibilità e sulle pratiche di democrazia, con i risultati dei relativi sondaggi. 

Qui tocco solo alcuni elementi che mi hanno colpito, e che possono aiutare a capire come andare avanti. Con una premessa importate: lo scopo della giornata era “sentire la città”, non “definire una linea”, scegliendo una o l’altra tra opzioni diverse sottoposte ai partecipanti. 

Discussioni e sondaggi (che partivano dagli elementi raccolti del lavoro di esplorazione delle staffette) sono servite perciò a raccogliere le opinioni di tutti, dando dignità anche a quelle di minor peso, per poter portare avanti la discussione in modo articolato e inclusivo. 

Ero convinto che il successo della giornata si sarebbe giocato su due dati.

1. la partecipazione complessiva.

Le 450 persone reali sono un ottima base di partenza. Buono anche il giudizio dei partecipanti: l’81 per cento è tra molto e abbastanza soddisfatto della metodologia utilizzata; il 91 per cento giudica molto o abbastanza importanti i temi discussi per il futuro della città.

2. la partecipazione delle due città.

Qui il giudizio è che la partenza è positiva ma c’è da lavorare.

È vero che solo il trentun per cento dei presenti veniva dalla città di terra (più un cinque per cento dai comuni della cintura). Ma si tratta sempre di più di un centinaio di presenze, ampiamente rappresentative di un tessuto associativo che consentirà ulteriori coinvolgimenti. E che già ora pone l’attenzione su temi comuni, anche quelli che sembravano solo di una delle due parti di città; si pensi al turismo che ormai toglie spazi di vivibilità anche a Mestre, oltre che in città storica.

Era presente uno spaccato di città che è un buon punto di partenza per un progetto di elaborazione programmatica: istruito, che lavora, in gran parte attivo in associazioni, con interessi prevalenti in campo culturale, della cittadinanza e dei diritti, ambientale e politico, ma anche del volontariato.


C’è da dire che le domande proposte scontavano il fatto di poter ammettere una sola risposta, il che a giudizio di molti nei tavoli comprimeva non poco le possibilità di espressione su temi da tutti avvertiti come articolati e complessi.

Con questo limite, a me paiono comunque significative alcune risposte. 

Come quelle sulla percezione dei beni comuni, che ha visto come i più gettonati in termini relativi “i complessi edilizi o naturalistici in via di alienazione” e pone “la redazione di un progetto di riuso economicamente sostenibile anche attraverso l’auto costruzione” come prima risposta possibile nell’eventualità che una amministrazione voglia mettere in vendita un bene prezioso per la città.

Sulla vivibilità della città sono emerse idee chiare su come rendere il turismo più sostenibile, con una netta concentrazione sulla difesa delle residenza (con due terzi delle risposte suddivise equamente tra “limitare fortemente le presenze” e “mantenere un buon numero di alloggi riservati ai residenti”).

E appare interessante che alla domanda su cosa renda (oggi) più sostenibile la vita in città prevalga nettamente il senso di comunità seguito a distanza dalla qualità dei servizi e dal senso di cultura civica.

La stessa domanda è stata posta alla fine (con gli elementi acquisiti nella discussione), era perciò su cosa “potrebbe rendere un domani” migliore la vita in città. Sempre in testa troviamo il senso di comunità, ma con un minor margine; ed emergono altri elementi su cui puntare, tra i quali acquistano peso la disponibilità di case e le opportunità di lavoro.

Tra le pratiche di democrazia da perseguire per un cambiamento della città molta attenzione viene posta alla riarticolazione tra livelli istituzionali (tra quartieri, Municipalità, Comune, Città Metropolitana), dove si concentra quasi un terzo delle risposte. Molto numerose sono anche quelle concentrate sulle occasioni di partecipazione.

Il giudizi sull’esperienza 

Dai pareri dei presenti a fine evento e dai post a commento che hanno subito invaso i social si coglie una grande soddisfazione, sia per il fatto di aver ridato la parola ai cittadini sia per un metodo che ha consentito un confronto ampio. Certo, molti lo avrebbero voluto più approfondito e sono emerse alcune criticità:

“Modalità troppo rapida, non permette l’approfondimento dovuto per affrontare dettagliatamente questi temi”;

“I temi sono troppo circoscritti”;

”Manca il tema delle sicurezza (è troppo presente nel dibattito pubblico per non affrontarlo)”.

Queste le principali critiche emerse, e vanno tenute presenti nella rivisitazione dell’esperienza. Anche se può essere che in parte vengano da chi è abituato a portare una posizione definita (spesso con interventi lunghi che sfiniscono le platee…) e qui si è trovato a fare un esercizio utile ad affinare le capacità di sintesi del proprio pensiero e di ascolto degli altri. Perché questi sono i presupposti della costruzione partecipata di qualsiasi percorso.

Perché non solo nella discussione è prevalsa la proposta sulla protesta, ma anche la convinzione che essa è possibile solo con un impegno in prima persona.

È emersa anche una motivazione, che andrebbe considerata seriamente per l’evoluzione del percorso. Più di qualcuno ha sostenuto che questa città prima ancora che di soluzioni per i singoli problemi (di alcuni dei quali si è cominciato a discutere) ha un forte bisogno a monte. Serve una “visione”, un’idea di futuro e del dove si vuole andare. E questa visione deve guidare sia le proposte di governo della città sia l’agire dei cittadini.

E adesso?

Credo si possa legittimamente dire “buona la prima”[3]. 450 presenze qualificano l’esordio di un “progetto”, o come è più corretto dire di un “processo”, per arrivare a definire un “programma per la città” e per portarlo a “vincere le elezioni”. 

Ancor di più perché non si era chiamati ad assistere alla presentazione di proposte o di candidati, ma a portare idee sulle quali impegnare tutti a lavorare in prima persona. Con un metodo partecipativo di cui si sono potute apprezzare le potenzialità e sul quale il consenso è stato unanime. 

Si era detto all’inizio che si lavorava senza poter né voler arrivare a conclusioni. Si tratta ora di capire come andare avanti. Perché su una cosa gli organizzatori sono stati molto chiari: l’iniziativa era all’insegna del “Ce n’est qu’un debut”. 

Era solo un inizio, che doveva valutare se ci fossero le condizioni per proseguire. Ebbene, sembra che si passerà al “continuons le combat”. Che si siano verificate la condizioni per andare avanti.

Le forme e i modi scaturiranno dalla riflessione degli organizzatori, che alla fine si sono impegnati a creare le condizioni per rivedersi entro un mese e valutare in modo egualmente partecipato come passare dai risultati del “primo sondaggio” allo sviluppo del percorso.

Come e dove ce lo faranno sapere.

E c’è da nutrire una legittima aspettativa e curiosità su quale forma di discussione partecipata saranno in grado di proporre questa volta… 


[1] Per i non veneziani: è quello che unisce la Venezia insulare alla terraferma.
[2] Chi scrive è stato impegnato nel ruolo di facilitatore. Devo dire che me ne restano due impressioni, credo comuni a chi ha fatto questa esperienza. La possibilità di condividere con molti altri la soddisfazione di aver portato a termine nel modo migliore un’esperienza che ci eravamo prospettati come molto impegnativa e che siamo riusciti a gestire con l’impegno e la leggerezza necessari. Il sentire che essa è stata per me (e penso un po’ per tutti) molto auto formativa. Ne va dato merito ad Andrea Mariotto, unico nome che ho voluto citare in questa nota. Per la competenza e la passione con la quale ha proposto e coordinato nel modo migliore un percorso impegnativo, specie se gestito tutto da volontari.
[3] Gli organizzatori hanno fatto trasparire la loro soddisfazione con il primo post praticamente alla chiusura dei lavori.

Servizio fotografico di Andrea Merola

Buona la prima, anzi ottima… ultima modifica: 2019-05-20T13:19:46+02:00 da MARIO SANTI
Iscriviti alla newsletter di ytali.
Sostienici
DONA IL TUO 5 PER MILLE A YTALI
Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!

POTREBBE INTERESSARTI ANCHE:

Lascia un commento