Farebbe bene Matteo Renzi a leggere, se non l’ha già fatto, l’ultimo libro di Giandomenico Crapis che lo riguarda direttamente. Crapis, studioso ed esperto di televisione e cultura di massa, nonché autore di diversi libri sulla materia, in Matteo Renzi dal pop al flop. Ascesa e declino di una leadership televisiva, questo il titolo del libro pubblicato da Mimesis quest’anno nella collana Eterotopie, in cento pagine ricostruisce con puntualità e documentazione la fulminea carriera di Renzi: dall’affermazione come personaggio pubblico nazionale fino alla conquista della segreteria del Pd e subito dopo del governo, passando poi per la breve luna di miele con l’opinione pubblica e come, con altrettanta rapidità, egli sia arrivato prima alla sconfitta al referendum costituzionale e dopo nelle elezioni politiche del 4 marzo 2018.

Il tutto attraverso una comunicazione debordante e ipertrofica, fatta di presenze televisive e sui social, che dopo averne favorito l’affermazione si è presto trasformata nel suo contrario, accelerandone appunto il declino.
Il libro dovrebbero leggerlo attentamente anche gli attuali inquilini di palazzo Chigi, ed in particolare l’altro Matteo (Salvini), pericolosamente avviati, nella stessa spasmodica ricerca del consenso e smania di comunicare, sulla stessa china.
Pescando a piene mani tra le citazioni scoppiettanti del ex leader del Pd e ex presidente del Consiglio, ripercorrendo le tappe del suo cammino fin dal suo esordio come presidente della provincia di Firenze e poi da sindaco del capoluogo toscano, emergono i tic e i punti deboli del personaggio e tutti i limiti di una stagione politica, con i suoi equivoci ed errori.
La tesi di Crapis è appunto che
Renzi sia arrivato come un uragano sulla politica e sulla comunicazione italiana, facendo a sinistra l’operazione che aveva fatto Silvio Berlusconi vent’anni prima sull’altro versante: quella cioè di imprimere alla politica una fortissima torsione in direzione della comunicazione, fino a farne il nucleo essenziale delle sue strategie.
Certo il libro non spiega, ma non era questa la sua intenzione, come tutto questo sia stato possibile e cioè quali errori, sottovalutazioni e sconfitte del precedente gruppo dirigente del Pd abbiano portato uno come Renzi, non come un corpo estraneo ma come la naturale conclusione di un processo, alla guida del partito fino a diventarne per diversi anni il dominus.
Insomma se la parola d’ordine della “rottamazione” di un intero gruppo dirigente è arrivata ad essere così popolare ed efficace non è certo merito esclusivo di Matteo Renzi il quale fin dall’inizio non va per il sottile:
Non faccio distinzioni tra D’Alema, Veltroni, Bersani… Basta. È il momento della rottamazione. Senza incentivi.
dice in un’intervista a Repubblica il 29 ottobre del 2010, come il libro ricorda.
Non c’è dubbio, quindi, che sia questo il clima che già a pochi anni dalla nascita si respira nel Pd. Renzi ne approfitta immediatamente utilizzando ogni carica che assume come trampolino di lancio per il passaggio successivo. Anche in questo caso il libro di Crapis mette in luce come questi aspetti fossero già all’epoca motivo di perplessità e preoccupazione e di conseguente presa di distanza anche da parte di alcuni suoi compagni di strada, oltre che di chi vi si opponeva, senza che tutto ciò provochi né una riflessione in lui né una consapevolezza nell’opinione pubblica.
La “velocità”, spesso a prescindere dai contenuti, diventa la chiave di volta dell’azione politica del leader e capo del governo che coniuga con un’occupazione sistematica tutti gli spazi televisivi e un’ansia della comunicazione, ricostruiti passo dopo passo nel saggio, facendoci capire anche quanto ci fossimo assuefatti.
Solo ora, a distanza di qualche tempo e riguardando il tutto nel suo insieme, se ne comprende meglio l’esagerazione e assume un carattere paradossale la giustificazione adottata nei primi giorni, successivi alla sconfitta, da Renzi e dal suo entourage, basata sul “non essere stati capaci di comunicare” o sul “non essere stati compresi” a sufficienza.
Accanto alla velocità, ricorda Crapis, c’è poi il racconto ottimistico (anche contro la realtà) che l’avvicina a Berlusconi, come lo stesso Renzi riconosce, per esempio, in un’intervista alle Invasioni Barbariche, anche questa citata nel libro. Quell’ottimismo che lo porta a inveire contro “gufi e rosiconi”, considerando tali tutti quelli che non aderivano acriticamente alla sua “narrazione”.
Come se non bastasse il libro ricorda come il Renzi che tuona contro “il fuoco amico”, additandolo come unico reale motivo della sua sconfitta, in realtà sia sempre stato impegnato a fondare le proprie fortune sulla guerra ai propri compagni di partito (dal repentino passaggio da presidente della provincia a sindaco di Firenze, a scapito di Lapo Pistelli, al famoso hashtag #Enricostaisereno rivolto a Letta alla vigilia della sua estromissione da palazzo Chigi, alla “rottamazione” che abbiamo ricordato). Alla lunga tutti autogol.
Come l’annuncio, nel caso di sconfitta al referendum costituzionale, a lasciare la politica subito smentito dai fatti. Fa impressione rileggere oggi le dichiarazioni di quel tempo, come quelle rilasciate al Foglio il 2 giugno 2016:
Io sono fiducioso che vinceremo bene. Ma se ciò non avvenisse, che resto a fare in politica? Non sono come gli altri, io. Se il referendum andrà male continuerò a seguire la politica come cittadino libero e informato, ma cambierò mestiere. Vuole uno slogan semplice? O cambio l’Italia o cambio mestiere.
La conclusione più generale del libro è che
la leadership odierna oltre a rischiare di bruciare al fuoco della velocità, è insidiata spesso dall’assenza di un terreno solido su cui poggiare.
Considerazione certamente valida per Renzi e il renzismo, ma monito altrettanto valido per tutti quelli che ne hanno preso il posto al governo o ambiscono a farlo.

Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!