Indios. Le scuse, le deve Madrid. Ma anche il Messico

La Corona spagnola dovrebbe riconoscere che la struttura politica della quale è erede ha provocato la Conquista, causa di morte e devastazione per i popoli indigeni. Ma è anche indispensabile che lo Stato messicano non s’opponga all’organizzazione autonoma e ai diritti dei popoli originari e che questi li esercitino pienamente.
JORGE FERNÁNDEZ SOUZA
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[CITTÀ DEL MESSICO]

Il 5 maggio si è commemorato in Messico il centocinquantasettesimo anniversario della battaglia di Puebla, nella quale le truppe messicane hanno sconfitto l’esercito invasore francese. Nella commemorazione a Coahuila, nel nord del Paese, il presidente López Obrador ha affermato che durante i trecento anni di dominazione spagnola in Messico, quello che allora era un vice regno non fu mai visitato da un re di Spagna, il che avrebbe dimostrato il disprezzo della monarchia nei confronti di quel suo possedimento. 

Il richiamo si somma alla richiesta di scuse che negli ultimi giorni di marzo lo stesso López Obrador ha fatto al Regno di Spagna per la distruzione dei villaggi e civilizzazioni indigeni durante la conquista. La petizione, che in pratica richiedeva un riconoscimento dei crimini e sopraffazioni commessi, è stata respinta dal governo spagnolo. 
Fino a che punto era pertinente questa richiesta? La risposta dipende in gran misura da chi erano i soggetti di allora, durante la conquista, e da chi lo sono nell’attualità. 

La conquista di quello che ora è il Messico fu portata a termine da soldati e da colonizzatori spagnoli, distruggendo le organizzazioni sociali indigene e provocando la morte di milioni di persone di quelle società. La vittoria s’ottenne in buona misura grazie alle divisioni dei popoli: il caso più famoso fu la sconfitta dell’impero Mexica, con la caduta di México Tenochtitlan conseguita in gran parte grazie alla collaborazione di popoli diversi dagli aztechi, come i tlaxcaltecas (principalmente), gli otomíes o i totonacos.

In altre parole, il soggetto offeso, distrutto e oppresso dai conquistatori spagnoli non fu il Messico come Paese, che allora non esisteva, ma un insieme di popoli e civilizzazioni indigene, con differenti culture e lingue delle quali oggigiorno ne sopravvivono più di sessanta con differenti numeri di persone che le parlano.

L’epoca coloniale s’estende dal XVI al XIX secolo, con l’indipendenza del Messico nel 1821. La dominazione spagnola non s’è prodotta allo stesso tempo in tutto l’attuale territorio messicano, poiché se è vero che Tenochtitlan è caduta nel 1521, altre popolazioni furono sottomesse posteriormente, e almeno dal 1519 già si delineava l’avanzata ispanica.

In ogni caso, anche con la differenza di tempo nell’instaurarsi del dominio spagnolo, la costante fu che i conquistatori, i loro eredi creoli e gli europei che giunsero in seguito, dominarono le popolazioni indigene e sfruttarono le loro ricchezze naturali e la loro forza lavoro. Certamente ci furono dirigenti e “grandi” indigeni che si schierarono al lato dei dominatori e che si videro favoriti con quel dominio. Però essere creolo o bianco era nella stessa maniera sinonimo di dominante e sfruttatore (per quanto fossero poveri), essere indio è stato sinonimo di dominato e sfruttato. 

L’equazione è continuata dopo l’indipendenza. I bianchi e i meticci con minore identificazione indigena hanno predominato sopra gli indigeni e i meticci più vicini all’originario. Dalla Rivoluzione del 1910 le cose si sono trasformate parzialmente, ma la relazione che si stabilì a partire dell’inizio della Colonia sussiste in non pochi ambiti.

In quest’ottica, se le scuse si dovessero presentare per la devastazione delle popolazioni, per il razzismo, la dominazione e lo sfruttamento, i soggetti che dovrebbero discolparsi sono vari: la Corona e lo Stato spagnoli, perché fu questa entità politica quella che nei secoli passati ha sostenuto la colonizzazione e s’è approfittata di essa a costo della morte e la distruzione sopra gli indigeni, per quanto da allora ci siano stati cambiamenti dinastici, due periodi repubblicani e la dittatura franchista, il che segna una configurazione differente rispetto a quella del tempo della Conquista. Lo Stato spagnolo dovrebbe porgere le scuse  anche a nome della società spagnola, molti membri della quale realizzarono la Conquista e s’impossessarono di ricchezze grazie alla colonizzazione e allo sfruttamento degli indigeni, sfruttamento che continuò durante tutto il periodo coloniale. 

Però alla stessa maniera dovrebbe discolparsi con le popolazioni indigene lo Stato messicano, che dall’inizio della sua esistenza nel 1821 ha continuato a favorire il loro soggiogamento e che nonostante abbia annunciato dal secolo XX politiche a favore di questi popoli, in pratica non è stato efficiente nel rispondere alle loro rivendicazioni; e anche la società messicana il cui razzismo e classismo nei confronti dell’indigeno non ha cessato di manifestarsi in varie forme. 

In altre parole, se la Monarchia e la società spagnola dovrebbero discolparsi per quanto è successo tra il 1519 e il 1821 (o riconoscerlo pubblicamente come forma di scusa), la società e lo Stato messicano dovrebbero farlo per il loro operato nei confronti dei popoli originari da quando il Messico s’è reso indipendente fino ad ora. L’unica scusa che non si potrebbe chiedere è quella dei popoli e governi indigeni che prima della Conquista oppressero altri, perché, se è vero che continuano a esistere culturalmente come soggetti, non sono più integrati nelle forme sociali, politiche e militari in cui stavano prima di essere resi vassalli dai conquistatori e dai loro alleati. 

In tutti i casi, se ci sta che lo Stato spagnolo riconosca che in secoli anteriori ha causato gravi danni alle civilizzazioni indigene, sarebbe più pertinente che lo Stato messicano riconoscesse che il suo debito verso i popoli originari  permane e che assumesse il rispetto dei loro diritti.

Tuttavia, fino ad ora non sembra che ci sia una simile intenzione. Quando si verifica una confusione che conduce il presidente del Messico a chiedere alla Stato spagnolo che chieda scusa per quanto è successo nei tre secoli della sua dominazione, mentre attualmente lo Stato messicano continua a mercanteggiare e inoltre disconosce i diritti dei popoli indigeni.

Esempi chiari sono le consulte indigene. Secondo la Risoluzione 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIT), i popoli indigeni hanno il diritto di essere consultati riguardo qualsiasi progetto che possa danneggiare i loro beni territoriali. La Risoluzione è parte della legislazione messicana, perché è stata sottoscritta dallo Stato messicano. Senza dubbio, nel caso del Treno Maya progettato con fini turistici e per trasportare passeggeri e merci attraverso Stati con ampia presenza di popolazione indigena come Tabasco, Chiapas, Campeche, Quintana Roo y Yucatán, l’inizio del progetto è stato annunciato dalla presidenza della repubblica senza che si preveda di fare una consultazione con le misure e formalità che assicurino il rispetto della Risoluzione 169 della OIT.

Allo stesso modo s’è annunciato riguardo la costruzione della ferrovia che attraverserebbe l’istmo di Tehuantepec negli Stati di Oaxaca e Veracruz, dove sono insediate comunità indigene zapotecas e pure zoques e huaves. 

In entrambi i casi sono state fatte simulazioni di consultazioni, che non hanno raccolto l’opinione reale e maggioritaria dei popoli originari né hanno rispettato i propositi della Risoluzione 169 della OIT.

Altro esempio è quello della Idroelettrica di Huesca, nello Stato di Morelos, la cui costruzione è associata a un gasdotto che passerebbe anche per parte degli Stati di Puebla e Tlaxcala. Comunità indigene nahuas di questi tre Stati, in particolare di Morelos, hanno manifestato il loro disaccordo con il progetto, e il governo ha organizzato una consultazione che non ha per nulla rispettato i diritti tutelati dalla stessa Risoluzione della OIT. Il problema si è aggravato perché giorni prima della consultazione è stato assassinato Samir Flores, un leader indigeno oppositore della Idroelettrica. Gli oppositori hanno presentato dei ricorsi giuridici per invalidare la consultazione e per impedire che serva di base perché il progetto si metta in marcia, argomentando l’illegalità della stessa consultazione. 

D’altra parte, sebbene i diritti indigeni siano riconosciuti nella Costituzione messicana, ci sono elementi pendenti, come lo stesso diritto alla consultazione che non esiste nella Costituzione (per quanto sia nella Risoluzione della OIT) o quello della condizione giuridica dei popoli e comunità indigene che ancora non appartengono costituzionalmente e legalmente a una categoria che gli permetta di avanzare nell’esercizio dei loro diritti (dato che non sono riconosciute come entità di diritto pubblico). 

Tutto ciò, senza che si stia mettendo in atto una politica effettiva di riconoscimento dei diritti dei popoli originari che assicuri loro l’esercizio della piena determinazione. Per raggiungere livelli accettabili di sviluppo economico sostenibile, politico, di educazione e rispetto delle loro culture. 

Con questo panorama brevemente descritto, è chiaro che più che preoccuparsi per le scuse dello Stato o della Monarchia di Spagna, bisognerebbe lottare per i diritti dei popoli indigeni attuali e che dallo Stato messicano si rispettassero e favorissero questi diritti. 

Non sarebbe troppo che la Corona spagnola riconoscesse (con scuse o senza) che la struttura politica della quale è erede ha provocato la Conquista che ha causato morte e devastazione ai popoli indigeni del Messico (e dell’America), con conseguenze che fino ad ora si prolungano, di fatto continuate dai poteri e società locali.  Tuttavia, dato che i soggetti di cinquecento anni fa sono solo parzialmente gli stessi di ora, ciò che è indispensabile è che lo Stato messicano non s’opponga all’organizzazione autonoma e ai diritti dei popoli originari e che questi li esercitino pienamente. 

traduzione di Claudio Madricardo

versione originale in spagnolo

Indios. Le scuse, le deve Madrid. Ma anche il Messico ultima modifica: 2019-05-23T20:21:37+02:00 da JORGE FERNÁNDEZ SOUZA
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