Modi stravince, parlando alla “pancia” dell’India

Vittoria storica del primo ministro e del suo partito, il Bharatiya Janata Party. Duramente sconfitti non solo l’Indian Congress Party guidato da Rahul Gandhi, ma anche i partiti regionali che da tre decenni dominavano la scena politica indiana.
BENIAMINO NATALE
Condividi
PDF

Narendra Modi è l’India, l’India è Narendra Modi. Il primo ministro ha portato il suo partito, il Bharatiya Janata Party (partito del popolo indiano), a stravincere le elezioni per il parlamento, sbaragliando non solo l’Indian Congress Party guidato da Rahul Gandhi, ma anche i partiti regionali che da tre decenni dominavano la scena politica indiana. Significativi sono i buoni risultati del BJP nel West Bengal e nell’Odisha – gli Stati dell’est nei quali era inesistente – e nell’Uttar Pradesh, l’enorme Stato settentrionale che storicamente detta le scadenze politiche a tutto il Paese.

Qui il partito di Modi ha sconfitto l’alleanza tra le due forti formazioni locali, il Samajvady Party di Akilesh Yadav e il Bahujan Samaj Party, che hanno basato sul casteismo il loro successo. Rahul, esponente di turno della dinastia Nehru-Gandhi, che da sempre regna sul partito, ha addirittura perso il “seggio di famiglia” di Amethi, sconfitto dalla candidata del BJP. Un disastro senza precedenti che tuttavia potrebbe ancora non bastare a mettere in discussione il dogma fondamentale del Partito del Congresso, secondo il quale si può vincere solo se si è guidati da un membro della dinastia.

Il BJP  ha addirittura aumentato i suoi seggi in parlamento: è intorno ai 300 su 542, e potrà governare senza problemi per i prossimi cinque anni. Il Congress rimane fermo intorno ai cinquanta seggi, cioè al livello bassissimo delle elezioni precedenti, quelle del 2014.

Lavoratori dei campi in West Bengal, sostenitori ed elettori di Modi

Dopo questi risultati non ci possono essere dubbi sul fatto che Modi e i dirigenti locali del BJP – che sono immersi fino al collo nell’ideologia nazionalista e integralista della loro formazione madre, la filo-nazista Rashtriya Swayamsevak Sang (Organizzazione dei Volontari Nazionali), provengono in larga parte dalle lower middle class, parlano male inglese, considerano non solo i musulmani e i cristiani, ma anche i buddhisti “traditori” dell’hinduismo – rappresentano l’India meglio di Rahul e dei suoi collaboratori – cosmopoliti, che parlano un inglese perfetto e che sono in contatto costante col resto del mondo, ma evidentemente sono lontani dalla realtà nella quale vive la maggioranza della popolazione. O, almeno, che Modi e i suoi hanno trovato il linguaggio giusto col quale parlare “alla pancia” dei circa novecento milioni di elettori che in sei settimane di votazioni hanno dato vita a quello che è stato chiamato “il piu’ grande esercizio di democrazia del mondo”.

Ma chi è Narendra Modi? Nato nel 1950 in una famiglia di piccoli commercianti del Gujarat, il premier indiano è un esponente tipico della RSS, un “soldato” degli integralisti secondo i quali gli indiani nascono hindu e tutti i seguaci  di altre religioni sono “convertiti” che devono essere riportati all’ovile, con le buone e con le cattive. Per risolvere il problema di musulmani, la RSS ha spesso fatto riferimento alla “soluzione finale” escogitata dai nazisti per gli ebrei. Non per niente nei suoi cinque anni di governo si sono verificati numerosi casi di linciaggio di musulmani accusati su basi estremamente labili di consumare o commerciare la carne dei bovini, animali considerati sacri dagli hindu.  

Il suo status civile non è chiaro: è emerso che è stato sposato quando aveva diciassette anni in un “arranged marriage” , un matrimonio combinato, a una donna chiamata Jashobaden, che ha abbandonato dopo pochi anni e che ha da allora ignorato. Da quando è adulto non si hanno notizie delle sue relazioni col sesso femminile. La rinuncia, in particolare quella al piacere sessuale, è un valore che per qualche ragione è tenuto in alta considerazione dagli hindu. 

Modi non è certo il primo uomo politico indiano ad usarla per guadagnare in popolarità: ricordiamo che Mohandas Gandhi, detto il “mahatma” amava pubblicizzare il fatto che dormiva accanto alle sue giovani nipoti respingendo con successo ogni “tentazione”. 

Eletto “chief minister” – cioè capo del governo dello Stato – del Gujarat nel 2001 – si è fatto una fama di modernizzatore, favorendo anni di crescita economica. Ma non ha mai dimenticato la sua fedeltà all’RSS e ai suoi “ideali”. Nel 2002, durante un’esplosione scontri e attentati tra hindu e musulmani, prese apertamente le parti degli hindu. In particolare è accusato per il massacro della Gulbarg Society, nel distretto di Chamanpura della città di Ahmedabad, dove decine di musulmani furono uccisi in modo barbaro da squadracce di integralisti hindu. Secondo numerosi testimoni, gli assassini disponevano di elenchi di cittadini musulmani con nomi e indirizzi forniti dall’amministrazione locale.

Tra le vittime ci fu l’esponente del Congress Party Ehsan Jafri, che fu prelevato dalla sua abitazione e letteralmente fatto a pezzi e poi bruciato ancora vivo sotto gli occhi della moglie e della figlia. Modi è stato assolto dall’aver ordinato il massacro da un’indagine di dubbia credibilità di uno Special Investigation Team nominato dalla Corte suprema, ma certamente non è stato capace di mettere fine ai massacri e di garantire l’ordine pubblico. Una caserma della polizia si trova e meno di un chilometro da Chamapura e altri testimoni hanno affermato di aver chiesto ripetutamente e invano un intervento degli agenti contro gli squadristi hindu, che hanno potuto compiere in piena tranquillità l’ orrendo massacro. 

In totale più di mille persone, in maggioranza musulmani, persero la vita nei moti del Gujarat del 2002. Queste circostanze, lungi dallo scalfirla, hanno di fatto rafforzato la popolarità di Modi.

Nei primi cinque anni del suo mandato, il premier ha lanciato misure economiche controverse e molti economisti affermano che gli anni di crescita dell’ economia a tassi tra il sei e il sette per cento annuo sono finiti. I critici gli rimproverano di non aver mantenuto le promesse di aumentare i posti di lavoro per i giovani e di risolvere la crisi dell’agricoltura. 

Ma le elezioni del 2019 non si sono combattute sull’economia: sono state un referendum su Modi, che come abbiamo visto l’ha stravinto. A questo risultato ha certamente contribuito l’ assenza di un leader alternativo credibile. Il fallimento più grande è quello registrato da Rahul Gandhi.

Nato nel 1970 da Rajiv Gandhi e dall’ italiana (di nascita, ma indiana di adozione) Sonia Maino, Rahul ha studiato e lavorato all’estero prima di indossare il mantello di leader del Congress, croce e delizia dei membri della famiglia. Come Modi, è  scapolo, ma sotto sotto è sospettato di essere gay. Quali che siano i suoi gusti sessuali, Rahul si è dimostrato un pessimo dirigente politico. Ha cercato di accusare Modi di corruzione senza mai fornirne prove credibili e non ha trovato uno slogan da contrapporre al premier, che con un intelligente colpo mediatico a poche settimane dal voto si è dichiarato “chowkidar” della Nazione (quella del “chowkidar”, cioè  una guardia privata che controlla l’accesso a una casa o a un complesso residenziale, è un’ istituzione molto popolare in India). 

E ha fatto anche di peggio.

Quando il 26 febbraio scorso l’aviazione indiana ha lanciato un raid contro un campo di terroristi islamici in Pakistan in risposta all’ennesimo attentato anti-indiano, Rahul ha reagito dando credibilità alle dichiarazioni dei pakistani secondo le quali i jet indiano avevano colpito solo alberi e uccelli. Anche quando sono emerse notizie credibili sull’efficacia dell’attacco grazie a testimoniane raccolte dalla giornalista e studiosa italiana Francesca Marino e pubblicate dalla rivista indiana Firstpost, Rahul e il Congress hanno continuato ad alimentare i dubbi sui risultati dell’attacco, che secondo testimoni oculari avrebbe colpito in pieno un campo di addestramento del Jaish-e-Mohammad, il gruppo terrorista che aveva rivendicato l’attentato di Pulwana nel quale erano stati uccisi 46 soldati indiani.

In India, anche tra i sostenitori del Congress, è radicata l’opinione che la sorella Priyanka sarebbe molto più efficace di lui come guida del partito. Però, Priyanka è sposata e nella “cultura” del partito è fortemente diffuso il timore che suo marito – l’imprenditore di medio livello Robert Vadra – e la sua famiglia potrebbero impadronirsi del Congress sottraendolo ai Nehru-Gandhi. Questo pregiudizio è stato sufficiente per impedire al partito di giocare in modo deciso la carta Priyanka – anche se, col senno di poi, possiamo dire che difficilmente sarebbe stata sufficiente a sconfiggere Modi.

Anche molti leader regionali con aspirazioni nazionali escono a pezzi dal confronto coi il trionfante BJP: in primo luogo Mayawati e Akilesh Yadav nell’Uttar Pradesh. I due sono stati gli alfieri del “casteismo” che a partire dagli anni Novanta del secondo scorso ha dominato la politica indiana. Si tratta di una politica – spesso erroneamente confusa con una battaglia per la giustizia sociale – che si fonda sulla difesa a tutti i costi degli interessi di un gruppo sociale, di solito una casta, promettendo privilegi veri o presunti a partire dalla “reservation” di posti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche. Se si confronta la quantità di posti disponibili in queste amministrazioni – poche decine in ogni dato momento – con quella degli elettori – decine di milioni – risulta chiaro che si tratta più che altro di un espediente retorico, che comunque ha funzionato bene per quasi tre decenni.

Un colpo terribile, l’ha subito anche la bengalese Mamata Banerjee, una scissionista del Congresso che dopo aver sottratto il West Bengal alla sinistra arcaica del Partito comunista marxista ha fatto il secondo miracolo di presiedere al boom alla destra integralista. Nello Stato, la cui capitale è Calcutta, il BJP da partito considerato “estraneo” è oggi il secondo (ha vinto in 18 seggi) e tallona da vicino il Trinamul Congress di Mamata (22 seggi): non è irrealistico pensare che in futuro potrà governare anche il “rosso” Bengala.

Modi stravince, parlando alla “pancia” dell’India ultima modifica: 2019-05-24T16:57:03+02:00 da BENIAMINO NATALE
Iscriviti alla newsletter di ytali.
Sostienici
DONA IL TUO 5 PER MILLE A YTALI
Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!

POTREBBE INTERESSARTI ANCHE:

Lascia un commento