Spagna. Voto europeo e locale, ma l’esito è innanzitutto nazionale

Oltre che per la Ue, elettori alle urne per le municipali e per tutte le autonomie, escluse quelle “storiche”. Il confronto politico è centrato sui temi interni, con lo sguardo alla formazione del governo nazionale e, ancora una volta, dominato dalla questione catalana.
ETTORE SINISCALCHI
Condividi
PDF


La dimensione europea del voto del 26 maggio è in Spagna decisamente in secondo piano. Diversi motivi concorrono a che sia così, a partire dal fatto che l’Europa non è strumento dello scontro politico. Nessun partito la usa come bersaglio o tema della propria propaganda, né strumentalizza l’euro per creare consenso. Le critiche, che pure ci sono, sono tutte nell’ambito della convinzione che il processo di unificazione sia positivo e che la “dimensione” sia ormai quella. Neanche l’arrivo degli ispettori della troika durante la crisi bancaria ha modificato questa percezione di fondo e un partito che si proponesse come euroscettico, o addirittura anti europeo, non troverebbe spazio nel mercato politico. Queste posizioni restano appannaggio di ristrette minoranze, del tutto marginali nel dibattito pubblico. 

A centrare il dibattito sulle questioni nazionali contribuisce poi certamente il fatto che, contemporaneamente, si vota anche per le municipali e per tutte le autonomie, escluse quelle “storiche”, Catalogna, Paese basco e Galizia, oltre alla Comunidad valenciana, per la quale si è già votato il 28 aprile scorso assieme alle generali, e quella Andalusa, che nello scorso dicembre vide la storica conquista da parte delle destre. Sono elezioni di grande importanza, in gioco ci sono città come Madrid e Barcellona, ma la preminenza interna della prossima tornata elettorale dipende soprattutto dal fatto che il voto costituisce la “partita di ritorno” della finale del campionato del governo del paese. Ad aprile ci fu la chiara vittoria socialista senza maggioranza assoluta – che, nel nuovo panorama politico spagnolo, nessuno riconquisterà per lungo tempo a venire – e la costruzione della maggioranza di governo dipenderà dai risultati delle elezioni amministrative che si terranno assieme alle europee. Pedro Sánchez deciderà infatti se governare da solo o in coalizione, e con chi, a seconda del gioco di alleanze che saranno necessarie per costituire le maggioranze di governo nei comuni e nelle autonomie.

Un confronto politico, dunque, centrato sui temi interni, con lo sguardo alla formazione del governo nazionale e, ancora una volta, dominato dalla questione catalana, nella campagna elettorale come nell’avvio della nuova legislatura. Cominciamo da qui. 

Pedro Sánchez a un’iniziativa elettorale del Psoe a Valladolid

UN PERICOLOSO SCONTRO TRA POTERI DELLO STATO

Martedì scorso s’è insediato il nuovo Congresso dei deputati, presieduto dalla socialista catalana Meritxell Batet. Una Camera in cui le donne hanno quasi conquistato la parità, con 166 deputate su 350, pari al 47 per cento, che ne fa, secondo i dati dell’Onu, il Parlamento più egualitario dell’Ue e il quinto del mondo. A monopolizzare l’attenzione del varo della nuova legislatura è stata soprattutto la presenza dei “deputati – prigionieri”, gli indipendentisti sotto processo per il referendum del primo ottobre 2017, incarcerati in attesa di giudizio da oltre un anno e mezzo. Che rappresentanti popolari regolarmente eletti nel Parlamento regionale catalano abbiano passato un così lungo periodo in carcere preventivo, pur se accusati di reati di notevole gravità – anche spropositata, per quanto riguarda l’accusa di ribellione, cioè la sollevazione contro lo stato con violenza organizzata, contestata precedentemente solo ai militari Jaime Milan del Bosch e Antonio Tejero per il tentato golpe del 1981 – rappresenta una criticità della democrazia spagnola. Criticità aumentata dal meccanismo che li vorrebbe mantenere in carcere malgrado l’elezione nel Parlamento nazionale. 

Oriol Junqueras – di Esquerra republicana de Catalunya (Erc) – Jordi Sànchez, Josep Rull e Jordi Turull – di Junts pel Cat (JxCat), la formazione dell’ex presidente catalano Carles Puigdemont riparato all’estero – sono quindi arrivati lunedì mattina al Congresso per registrarsi come parlamentari e poi rientrare immediatamente in carcere (stesso iter per il senatore Raül Romeva, di Erc).

Martedì mattina sono tornati per l’insediamento, il giuramento e le votazioni degli organi di governo della Camera. Il tutto sotto scorta, col divieto di fare dichiarazioni come parlamentari, escluso il giuramento pubblico, e di parlare con la stampa, controllati da agenti che li accompagnavano anche quando andavano in bagno. L’immagine di deputati seguiti e controllati da poliziotti negli spazi delle istituzioni rappresentative dello stato spagnolo mette in scena in tutta la sua portata il pericoloso corto circuito tra poteri, giudiziario e legislativo, col secondo che limita gravemente la libera azione e detta le condizioni del mandato parlamentare. Conflitto amplificato dall’increscioso balletto in atto tra il Congresso e il Tribunale supremo. 

Il 14 maggio il Supremo aveva inviato una comunicazione al Congresso nella quale illustrava la situazione giudiziaria dei neo eletti, negava che questi potessero rivolgere alla Camera una richiesta per esercitare in libertà il loro ufficio di parlamentari, affermando la volontà di voler proseguire nelle attuali condizioni il processo a loro carico. Di fatto il Supremo ha chiesto la sospensione da deputati pretendendo però di dettare al Congresso i confini della sua autonomia decisionale e che questa scelta venisse compiuta dalla Camera. La presidente Meritxell Batet ha risposto mercoledì scorso con una richiesta di chiarimenti, rimettendo al Tribunale la decisione e dichiarando che “la funzione giurisdizionale spetta in esclusiva al potere legislativo”. A questa, giovedì il Tribunale ha risposto sottolineando come il suo ruolo costituzionale non sia quello di “elaborare rapporti”, che spettano semmai agli uffici giuridici del Congresso, elevando la tensione ai limiti dello scontro istituzionale. Un’altra conseguenza della dissennata scelta della politica di delegare alla giustizia la risoluzione di un problema eminentemente politico come il rapporto tra la Catalogna e lo stato spagnolo.

Meritxell Batet

Meritxell Batet avrebbe voluto iniziare un nuovo giro di consultazioni giuridiche. Per questo contava con l’appoggio de la Mesa, l’ufficio di Presidenza del Congresso, anch’esso in perfetta parità dei sessi, frutto di un accordo tra Psoe e Podemos, e si doveva misurare con la dura contrarietà di Ciudadanos (C’s) e Partido Popular (Pp) che richiedevano l’immediata applicazione della sospensione. Pp e C’s, infatti, sono impegnati in una gara a chi è più autoritario stimolata dalla presenza e dai comportamenti di Vox, i cui 24 deputati tentano di sfruttare al massimo la nuova ribalta. Martedì hanno quindi disturbato i giuramenti dei colleghi catalani e baschi, battendo le mani e i piedi per coprirne le voci. Lo scontro a destra rende impossibile che il Parlamento trovi una posizione comune per difendere le prerogative dei rappresentanti popolari rispetto alle pretese dell’ordine giudiziario. Ciudadanos e Pp hanno attaccato duramente la presidente minacciando denunce. Alla fine, Batet e la Mesa hanno deciso di disinnescare il meccanismo proclamando la sospensione da deputati di Junqueras, Sànchez, Rull e Turull, col voto contrario di Unidas Podemos. Il Supremo vince così il braccio di ferro che ha iniziato decidendo di giocare un ruolo non giurisdizionale ma politico. Una vittoria che lede gravemente la divisione dei poteri, fondamento di ogni democrazia evoluta. 

Ma Sànchez, Turull e Rull non pensano di abbandonare di propria volontà e aspettano che arrivi la sospensione, mentre Oriol Junqueras, candidato anche alle europee, aspetta di essere eletto per portare a Bruxelles le contraddizioni tra le istituzioni spagnole. 

Quando vennero sospesi i consiglieri del Parlament catalano questi vennero sostituiti, mantenendo il numero previsto dalla legge, che in Spagna è predefinito. La Mesa del Congresso non ha invece messo in moto meccanismi similari, il che renderà a Sánchez più semplice ottenere i voti necessari per varare un governo senza doversi rivolgere al voto degli indipendentisti. Gli indipendentisti avranno così un utile strumento di propaganda anche se, sia per loro che per il segretario socialista, non dover appoggiare l’esecutivo consente di eliminare dal tavolo un’utile arma di propaganda delle destre che, già dalla campagna per il voto nazionale, parlavano di accordi già conclusi tra il Psoe e i “golpisti catalani” per il varo dell’esecutivo. 

Il conflitto trascinerà con tutta probabilità la Spagna davanti alle Corti europee. Il che avverrà con certezza per il processo in atto, alla cui conclusione le difese adiranno al Tribunale europeo dei diritti umani, ma che ora rischia anche di arrivare alla Corte di Giustizia europea, alla quale pensano di rivolgersi i deputati sospesi, che potrebbe quindi essere chiamata a dirimere questo grave conflitto tra i poteri dello stato spagnolo.

MADRID, BARCELLONA, LE AUTONOMIE.
IL RITORNO DELLA FINALE PER IL GOVERNO DEL PAESE

Tornando al voto di domenica prossima, occorre sottolineare come con esso la Spagna conclude un eccezionale processo di rinnovamento di tutte le sue assemblee rappresentative, a livello nazionale, regionale e delle città, oltre che della rappresentanza nell’Europarlamento. Un processo avvenuto in soli trenta giorni a partire dal 28 aprile scorso. Dei numerosi confronti per il governo delle città, particolarmente significativi sono quelli della capitale, Madrid, e di Barcellona. 

A Madrid la sindaca Manuela Carmena lotta per rinnovare il mandato. In cinque anni di governo ha ottenuto importanti risultati, in particolare nel risanamento del pesantissimo deficit che gravava sul bilancio ma anche nel miglioramento delle condizioni di vivibilità della città, col potenziamento del trasporto pubblico e la limitazione di quello privato, con la conseguente diminuzione dell’inquinamento atmosferico. Eppure la sua maggioranza ha avuto non pochi inciampi, a cominciare dalle dure lotte intestine che hanno funestato Podemos, culminate con l’abbandono del co-fondatore Iñigo Errejon, passato in Más Madrid, la nuova lista della sindaca (che, per la bizzarra applicazione dei regolamenti da parte della Giunta elettorale, non ha potuto usufruire degli spazi di propaganda garantiti, dalle televisioni alle tabelle per i manifesti elettorali, in quanto considerata, appunto, una “nuova” formazione politica). I sondaggi dànno Carmena in lieve vantaggio ma il rinnovo del mandato resta appeso a diversi fattori. Il risultato del Psoe, alleato di governo dato ancora in calo nella capitale, in controtendenza col dato nazionale, che presenta come candidato sindaco Ángel Gabilondo; quello di Unidas Podemos (Up), che presenta come candidata Isabel Serra (assieme a Izquierda Unida e Madrid en Pie), i cui elettori sembrano guardare in buona parte alla lista della sindaca ma che con la battaglia contro Uber a fianco dei tassisti madrileni è riuscita a conquistarsi un importante pacchetto di voti che ne ha arginato l’emorragia; la presenza di altre liste di sinistra, col rischio di disperdere voti preziosi senza riuscire a eleggere consiglieri.

Poi c’è l’incognita del risultato complessivo delle destre, che in campagna hanno esplicitato il progetto di governo a tre. Alle politiche hanno conquistato il 54 per cento dei voti ma il risultato non sembra automaticamente ripetibile nelle amministrative. Pesa la caduta dei popolari ma un’altra grande incognita è quella del risultato di C’s. Gli elettori degli arancioni non sembrano gradire il ritorno del sistema di corruzione del Pp al governo della città, né l’alleanza con Vox, e in buona parte potrebbero orientarsi per un “voto utile” che premi il buon governo, scegliendo proprio la lista della sindaca. 

La campagna è stata centrata sui temi della sicurezza urbana, dei servizi e della casa, tra le principali preoccupazioni degli spagnoli residenti nelle grandi città. Malgrado le iniziative della giunta, che ha aumentato l’offerta di affitti calmierati e fatto partire un piano di costruzione di nuovi alloggi pubblici, i risultati sono ancora poco evidenti. Le divisioni tra i partiti, e quelle al loro interno, hanno poi indebolito l’impatto dell’azione di governo. Carmena sconta la differenza tra le promesse elettorali e le reali realizzazioni, la bocciatura da parte del Costituzionale di alcune iniziative legislative di carattere sociale e, paradossalmente, il suo forte carattere e la sua autonomia dai partiti. La volontà di portare avanti, seppur dopo un ridimensionamento, un grande progetto residenziale speculativo alle porte della capitale, è stata utilizzata da Up per distanziarsi in campagna dalla sindaca e, soprattutto, per attaccare Errejon, insinuando la subalternità di entrambi alla grande rendita dei suoli e dell’immobiliare. Carmena è quindi favorita nei sondaggi, che però riflettono anche una debolezza che non costituisce una garanzia di vittoria.

Madrid vota anche per il rinnovo della regione, il distretto della capitale, della quale le sinistre pregustano una storica conquista. Lo scenario è comparabile a quello cittadino ma l’ultima legislatura, costellata dagli scandali, pare prefigurare per il Pp che governava in solitario una sconfitta di portata tale da non consentire la prosecuzione del governo neanche in alleanza con C’s e Vox.

Ada Colau, in un disegno di Luis Grañena (CTXT)

A Barcellona è la sindaca Ada Colau a mettere in gioco la sua esperienza di governo. Rispetto a cinque anni fa deve vedersela con i socialisti catalani del Psc in netta ripresa, proprio nelle zone dove la lista En Comù di Colau aveva intercettato gran parte dei voti socialisti. Nel “cinturone rosso” degli ex quartieri operai che circondano Barcellona il Psc potrebbe ora recuperare, raddoppiando voti e seggi. Ma il partito dato per vincitore dai sondaggi è Esquerra republicana de Catalunya, che pare destinata a continuare la marcia trionfale iniziata con le scorse politiche. La formazione presenta come sindaco Ernest Maragall – fratello di Pascual, storico sindaco della città dal 1982 al 1997 e poi presidente della Generalitat dal 2003 al 2006, ora ritiratosi dalla vita pubblica perché ammalato di Alzheimer. Ernest proviene dal Psc, nel quale ha rappresentato l’ala nazionalista nella divisione feroce che ha travolto il partito nel primo decennio del 2000, fino a spaccarlo. Lo ha abbandonato nel 2012 per proporre una nuova formazione nazionalista di sinistra per poi approdare, nel 2017, nelle fila dei repubblicani. Difficile sembra invece essere la prospettiva di JxCat, data ancora in discesa, a sancire la vittoria di Erc nella dura guerra tra gli alleati nel governo della Generalitat per la supremazia del campo indipendentista. 

Manuel Vallas al Mercat d’Hostafrancs, Barcellona

Sul fronte del centrodestra, il Pp sembra destinato a non ottenere rappresentanza, come anche Vox, mentre Ciudadanos sembra dover abbandonare le velleità espresse con la candidatura dell’ex capo del governo francese, Manuel Valls, che già il risultato delle generali aveva pesantemente ridimensionato. La svolta a destra di Ciudadanos viene pagata dal partito proprio laddove è iniziata la marcia trionfale che, da piccola formazione locale, lo ha convertito nella quarta forza del paese: quella Catalogna che, intimorita dall’auge del nazionalismo catalano in crescita anche nel Psc, gli aveva dato fiducia ed è ora delusa dalla scelta di Rivera di sposare il nazionalismo centralista in opposizione a quello catalano. Una delusione che neanche la figura di Manuel Valls sembra riuscire ad arginare.

In una città il cui volto è stato in pochi anni trasfigurato dal turismo di massa e low cost, espellendo in gran numero i suoi abitanti dai quartieri a maggiore vocazione turistica e facendo esplodere il prezzo degli affitti, la casa e il contenimento dell’economia speculativa del turismo sono stati al centro della campagna elettorale. La donna che è arrivata al governo della città passando proprio dalla lotta contro gli sfratti non è riuscita, ma non era possibile, a risolvere il problema abitativo.

Il numero di nuove abitazioni “protette” è stato minore rispetto alle promesse elettorali, la limitazione della costruzione di nuovi alberghi e la loro dislocazione in zone diverse della città ha solo in parte limitato il peso dell’invasione del turismo sulla città, la guerra ai B&B illegali ha iniziato a ottenere qualche risultato, recuperando entrate fiscali ma non riuscendo a invertire la crescita del prezzo delle abitazioni. Tra gli attivi spiccano le politiche sociali e i servizi, finanziati al massimo dei limiti imposti dalle necessità di bilancio, lo sviluppo imponente delle piste ciclabili e della mobilità in sharing, dalle biciclette pubbliche agli altri tanti mezzi messi nelle strade da aziende private. L’incognita di un elettorato che già nelle scorse politiche si è mostrato in parte disposto a tornare ai socialisti pesa sulle aspettative della sindaca, che è forse il personaggio politico spagnolo maggiormente conosciuto e apprezzato all’estero.

Arrivare primi costituisce una sicura ipoteca sul governo della città. Questa volta potrebbe toccare a Erc, che più che a un governo con gli altri partiti nazionalisti, e dando per scontata la contrarietà socialista a appoggiare un governo “indipendentista”, potrebbe guardare a un’alleanza coi Comunes di Colau, che resterebbe al governo ma in posizione subalterna. L’escalation nazionalista e la deriva indipendentista rischiano di schiacciare l’esperienza del governo di Ada Colau, comunque non esente da errori, come la rottura dell’accordo col Psc che ha notevolmente indebolito l’azione di governo. Ma anche cinque anni fa i sondaggi la davano indietro e Colau ottenne il cinque per cento in più rispetto a quelli più favorevoli. La partita di Barcellona è, quindi, ancora aperta e incerta. 

Altre importanti città a cui guardare, anche per le conseguenze sulla formazione del governo nazionale, sono Valencia, dove le sinistre sono date in netto vantaggio; Siviglia, dove socialisti e sinistra dovrebbero confermare il governo, aumentando in voti e seggi; Bilbao, la capitale economica e, di fatto, politica dei Paesi baschi, dove il Partito nazionalista basco potrebbe conquistare la maggioranza assoluta, o comunque proseguire l’accordo di governo coi socialisti; Saragozza, capoluogo dell’Aragona, dove le divisioni a sinistra rischiano di essere scontate gravemente nelle urne ma, proiettando il Psoe in testa alle intenzioni di voto, potrebbero consentire il prosieguo del governo delle sinistre a parti invertite, coi socialisti a guidare e le liste della nuova sinistra in appoggio; lo stesso scenario, il passaggio della guida del governo dalle sinistre di En Marea al Psoe, potrebbe realizzarsi a La Coruña, in Galizia.

Il voto di domenica ha per la Spagna un valore che supera sia la dimensione europea che quelle amministrative, pur tanto importanti. Dal risultato dipenderà il governo nazionale che Pedro Sánchez costruirà, se tenterà la strada del monocolore di minoranza o quella di una più organica alleanza con Podemos, magari anche con l’appoggio dei nazionalisti baschi. Gli spagnoli voteranno per le città, le regioni, l’Europa ma soprattutto per imboccare una strada che archivi il confronto tra opposti nazionalismi. E per provare a costruire le premesse per quel cammino di riforme di ampia portata, necessarie per superare la crisi della Spagna delle Autonomie, la costruzione con cui la neonata democrazia, che usciva da quarant’anni di feroce e ottusa dittatura franchista, ha rappresentato la caratteristica plurinazionale della Spagna. La Costituzione del 1978, che ormai sta stretta alla Spagna contemporanea, necessita di profondi ritocchi. È questa la sfida che hanno davanti a sé Sánchez e tutto il sistema politico spagnolo, questa è la reale posta in gioco del voto spagnolo di domenica prossima.

Spagna. Voto europeo e locale, ma l’esito è innanzitutto nazionale ultima modifica: 2019-05-25T13:51:35+02:00 da ETTORE SINISCALCHI
Iscriviti alla newsletter di ytali.
Sostienici
DONA IL TUO 5 PER MILLE A YTALI
Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!

POTREBBE INTERESSARTI ANCHE:

Lascia un commento