Israele, a proposito di elezioni… E di letture politiche un po’ troppo superficiali. Come quelle che raccontavano del “trionfo” di “Re Bibi”. Ma la realtà è un po’ più complessa e problematica. Tant’è che a più di un mese e mezzo ormai dalle elezioni (anticipate) del 9 aprile, il politico che intende passare alla storia come il premier più longevo d’Israele (cinque governi guidati, se realizza il prossimo, più che David Ben Gurion, il padre-fondatore dello stato d’Israele) si trova a dover fare i conti con partiti e partitini di destra, estrema, che alzano il prezzo per permettere a Netanyahu di raggiungere almeno i 61 voti, su 120, necessari per poter far passare il suo esecutivo alla Knesset.
E per un sempre più nervoso premier in carica e incaricato le spine sono molte di più dei petali, perché i colloqui imbastiti in queste settimane post voto delineano uno scenario che più che a un nuovo governo sembra indicare la via di nuove elezioni.
Per Netanyahu è una corsa contro il tempo. Entro questa settimana, infatti, il leader del Likud deve sciogliere le riserve davanti al capo dello stato, Reuven Rivlin. Netanyahu continua a dichiarare di essere contrario a trascinare il paese in un’altra elezione, “ma sembra che ci sia qualcuno che lo vuole”. E il primo indiziato è colui che con le sue polemiche dimissioni da ministro della difesa aveva aperto la strada alle elezioni anticipate: Avigdor Lieberman.

Con i cinque seggi raggranellati il 9 aprile, Ysrael Beitenu, il partito russofono di Lieberman, è decisivo per raggiungere i fatidici 61 voti. Le trattative, a oggi, non hanno dato l’esito sperato da “Bibi”. Rigettando gli ultimi appelli all’unità della destra, Lieberman ha fatto sapere che non farà un passo indietro e di essere pronto ad andare a nuove elezioni. “Avigdor il russo”:
Non saremo partner in un governo dalla halacha (la legge religiosa ebraica, ndr). Siamo stati chiari sul fatto che non abbiamo intenzione di compromettere i nostri valori, non è una vendetta ma una questione di principio.
Lieberman nega che dietro la sua resistenza vi siano motivi politici segreti (leggi poltrone di prima fila nel nuovo esecutivo), sostenendo che la disputa riguarda esclusivamente il disegno di legge che impone la leva nelle Idf (le Forze di difesa israeliane).
Ma anche fosse questa la vera ragione del braccio di ferro in atto, non sarebbe cosa di poco conto, visto che altre forze di destra che Netanyahu intende imbarcare nel nuovo governo, a questa legge si pongono decisamente: è il caso di Shas, il partito ultraortodosso sefardita (otto seggi) e di Torah-Unita (sette). E poi c’è l’Unione dei partiti di destra (cinque seggi) che ha annunciato fuoco e fiamme al solo vagheggiare la possibilità che il nuovo governo dovesse prendere in considerazione la possibilità di un mini-stato palestinese, adombrata dal “Deal of the Century” di Donald Trump.
Dopo che i colloqui di coalizione tra Netanyahu e Lieberman sono finiti in un vicolo cieco, l’attuale ministro delle Finanze, Moshe Kahlon ha ribadito in interviste e dichiarazioni pubbliche che per lui un governo che non ha una maggioranza sarebbe inutile. Kahlon guida un altro partito di destra, Kulanu, che alla Knesset conta quattro seggi. Ma i problemi per “Bibi” non finiscono qui.
A ricordarglielo sono i diecimila israeliani scesi in piazza, sabato scorso, a Tel Aviv per “difendere la democrazia in Israele” e per protestare contro l’eventuale futura coalizione di governo che potrebbe, secondo l’opposizione, premere per una legge che garantisca al premier una sorta di immunità dalle accuse di corruzione. “Non ti lasceremo essere Erdoğan”, ha tuonato Yair Lapid, leader, assieme all’ex capo di stato maggiore Benny Gantz, di Blue and White, il partito centrista che il 9 aprile ha ottenuto 35 seggi, solo uno in meno del Likud – paragonando Netanyahu al presidente turco.

Alla manifestazione hanno partecipato quasi tutti i partiti di opposizione, una rarità in un paese politicamente frammentato come Israele. “Sono qui per manifestare contro le leggi che Bibi Netanyahu ha detto di voler passare”, dice un manifestante a Radio Israele. E ha aggiunto:
Ha detto che riformerà Israele, da uno stato democratico a una sorta di dittatura, come quella che abbiamo in Turchia o in Russia, dove i funzionari e i politici sono al di sopra della legge.
Per Tamar Zandberg, la leader del Meretz, la sinistra pacifista israeliana (quattro seggi),
Quest’unità d’intenti non deve vivere solo in una manifestazione ma essere la base per una opposizione intransigente, in parlamento e nel Paese, per difendere il nostro bene più prezioso: la democrazia e lo stato di diritto.
Una linea condivisa dallo stesso Lapid e confermata a ytali:
Sin dal primo momento, immediatamente dopo l’annuncio dei risultati del voto, avevamo affermato che la lettura trionfalistica data da Netanyahu e dai suoi seguaci era destinata a essere smentita dai fatti. Perché per governare, Netanyahu deve tenere assieme forze estremiste mosse, peraltro, da insaziabili appetiti di potere. Le trattative in corso offrono un’immagine pietosa dei protagonisti: colpi bassi, richieste di poltrone ministeriali, veti e contro veti. Su quale programma dovrebbe reggersi un siffatto governo, ammesso che possa nascere, non è dato saperlo.
E conclude Lapid:
Per questo è necessario costruire da subito un fronte democratico che dimostri di privilegiare il bene d’Israele agli interessi personali o di fazione.
“King Bibi” è un docufilm di Dan Shadur
In questa situazione particolarmente ingarbugliata, Bibi gioca la carta a lui più congeniale: quella della minaccia esterna. Sistemi di difesa aerea siriani hanno sparato a un jet israeliano che effettuava un volo di routine nel nord Israele. L’ha fatto sapere l’esercito israeliano, secondo cui il proiettile della difesa aerea è ricaduto all’interno del territorio siriano e la missione è stata portata a compimento.
In risposta l’esercito ha colpito la postazione da cui sono partiti i colpi.
L’esercito israeliano ha poi detto “di giudicare ogni minaccia contro i propri velivoli con grande severità e di aver preso misure per difenderli”, ha aggiunto il portavoce militare.
E sull’incidente è piombato come un falco il premier, nonché ministro della difesa ad interim:
L’esercito siriano ha tentato senza riuscirci di attaccare un aereo israeliano e Israele ha una politica di tolleranza zero riguardo agli attacchi contro il proprio territorio e i propri militari e risponderà con forza e ferocia.
Forza. Ferocia. Concetti cari a “Mr Sicurezza”, ma che non l’aiutano a raggiungere quota 61. Per restare in sella, Netanyahu ha condotto una campagna elettorale dai toni fortissimi, radicalizzando a destra le posizioni del Likud non solo sul conflitto con i palestinesi, ma sull’identità d’Israele, sulla minaccia dell’“invasione” di migranti, sul pericolo di mettere il destino dello stato degli ebrei in mano alla minoranza araba (il “popolo cancellato”).
Su questo terreno, Netanyahu ha retto recuperando a destra, ma senza fare quel pieno che gli avrebbe permesso di non essere dipendente dai voti di partititi ancora più a destra di lui. Partiti che vogliono capitalizzare i loro quattro, cinque, otto seggi, sapendo che possono essere quelli decisivi per far nascere il quinto governo Netanyahu. E allora alzano il prezzo, trasformando le trattative in un “suk” dove ogni voto parlamentare ha un costo.

Dice a ytali il professor Zeev Sternhell, il più autorevole a affermato storico israeliano:
La politica non è mai stata poesia, e nella mia ormai lunga vita di alleanze fondate sullo scambio di poltrone o di finanziamenti ne ho viste tante. Ma qui siamo di fronte a vero e proprio mercimonio, e i protagonisti non fanno nulla per nasconderlo. Una conferma in più di ciò che penso da tempo sul degrado della politica nel mio Paese.
E così, nel giro di nemmeno due mesi, il “trionfo” può trasformarsi in fallimento.
Dall’altare alla polvere. È l’incubo di “Re Bibi”.
Nell’immagine d’apertura la provocazione di un artista israeliano, Itai Zalait, che ha installato clandestinamente, in piazza Rabin a Tel Aviv, un’enorme statua dorata che rappresenta il premier Benjamin Netanyahu. Gruppi di manifestanti hanno poi abbattuto l’opera che è stata rapidamente rimossa dalle autorità del comune della capitale. (7 dicembre 2016)

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