“Ora tutti uniti per sconfiggere Bibi”. Parla Tamar Zandberg

Per la leader del Meretz l’opposizione a Netanyahu non può presentarsi divisa alle prossime elezioni: basta con i personalismi esasperati e l’incapacità di parlare alle istanze più avanzate di Israele. Per non condannarsi alla marginalità.
UMBERTO DE GIOVANNANGELI
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“Da una sconfitta così bruciante è possibile ripartire se si fa tesoro della lezione che ci è stata impartita e si mettono da parte logiche di fazione e personalismi che hanno provocato solo disastri. Il fallimento di Netanyahu nella formazione di un governo delle destre, ci offre una chance irripetibile. Alle elezioni del 17 settembre la sinistra deve presentarsi unita. Un’unità che deve riguardare anche i partiti arabi”.

A sostenerlo, in questa intervista in esclusiva concessa a ytali è Tamar Zandberg, la leader del Meretz, la sinistra pacifista israeliana.

Israele è in pieno caos politico. Netanyahu non è riuscito a raggranellare i 61 voti necessari per dare vita al suo quinto governo. Cosa c’è alla base di questo fallimento?
Credo che ciò che è avvenuto dal giorno dopo le elezioni del 9 aprile al dibattito fiume che ha portato allo scioglimento della Knesset, rappresenti una delle pagine più oscure e direi anche vergognose nella storia politica d’Israele. Abbiamo assistito ad un vero e proprio mercimonio, con i leader dei partiti ultranazionalisti e ultraortodossi che facevano a gara nell’alzare il prezzo per portare i loro voti a Netanyahu. E sa perché si sentivano di poter fare questo gioco?.

Perché?
Perché sapevano di avere di fronte un politico che ha messo sopra ogni altra cosa i suoi interessi personali. Non si tratta di destra o sinistra, ma di qualcosa che mina nel profondo il sistema democratico d’Israele, quello di cui siamo tutti giustamente orgogliosi. Mai nella storia d’Israele avevamo visto un primo ministro attaccare frontalmente la magistratura e la polizia, perché avevano indagato su affari illegali che chiamavano in causa direttamente il primo ministro. Netanyahu ha imposto la fine della legislatura andando contro anche a una parte del suo stesso partito (il Likud) e ai propositi del capo dello stato (Reuven Rivlin, anch’egli del Likud, ndr) che ha sostenuto a più riprese che avrebbe fatto tutto ciò che era nelle sue prerogative per evitare nuove elezioni.

Era possibile dare l’incarico di tentare di formare un nuovo esecutivo ad un altro politico, magari dello stesso Likud. Ma per Netanyahu questo rappresentava una minaccia mortale, sul piano politico, perché gli avrebbe impedito di essere primo ministro quando il procuratore generale dovrà pronunciarsi sull’incriminazione di Netanyahu per gravi reati di corruzione. Lui tiene in ostaggio il Paese, e la campagna elettorale che si preannuncia sarà, se possibile, ancora più ‘sanguinosa’ di quella degli scorsi mesi.

A far mancare i voti decisivi è stato l’ex ministro della difesa e leader di Ysrael Beiteinu, Avigdor Lieberman. Nella notte della resa dei conti, prima che la Knesset votasse il suo scioglimento, Bibi in diretta televisiva ha accusato il suo ex collaboratore di essere “di sinistra”…
Se non fosse che in gioco c’è il futuro d’Israele, ci sarebbe da ridere. Lieberman e sinistra sono un ossimoro. Stiamo parlando di un politico che si è dimesso accusando Netanyahu di non aver spianato Gaza, che ha chiesto la pena di morte per reati di terrorismo, che pretendeva che per mantenere la cittadinanza un cittadino arabo israeliano dovesse prestare giuramento per la bandiera dello “Stato degli Ebrei”….

Il fatto è che Netanyahu non è riuscito a cannibalizzare i suoi alleati-competitori alla sua destra, nonostante abbia condotto una campagna da super falco sulla sicurezza, l’identità ebraica, persino l’annessione della Giudea e Samaria (i nomi biblici della Cisgiordania occupata, ndr). Ma il gioco non gli è riuscito e i capi dell’ultradestra hanno battuto cassa. Troppo anche per un primo ministro pronto a tutto pur di restare al potere.

Ma esiste un’alternativa non di destra oggi in Israele? Netanyahu avrà pur fallito, anche se già in passato ha dimostrato più volte di saper risorgere dalle ceneri. Lei ha fatto riferimento al voto del 9 Aprile: un voto che ha segnato una débacle senza precedenti per la sinistra israeliana: il suo partito, il Meretz, ha superato a fatica la soglia di sbarramento per eleggere parlamentari (3,64 per cento, 4 seggi ), mentre il Labour, il partito dei padri fondatori dello stato d’Israele, è crollato al minimo storico (4,46 per cento, 6 seggi). In queste condizioni, la sinistra può pensare di essere un’alternativa credibile alle destre, con o senza Netanyahu?
Se guardiamo ai numeri, la risposta appare scontata, in negativo. Ma non è così se sapremo trarre le dovute conseguenze dalla lezione che ci è stata impartita. Una sinistra che si presenta divisa, segnata da personalismi esasperati, incapace di rappresentare le istanze più avanzate del Paese, è una sinistra che si autocondanna alla marginalità se non all’estinzione. Ma non si tratta di un destino ineluttabile. E non lo dico per inguaribile ottimismo o per uno spirito di sopravvivenza. Solo qualche mese prima del voto legislativo, gli israeliani hanno votato per eleggere le municipalità, un test elettorale che ha riguardato tutte le più grandi città.

Ebbene, in queste elezioni candidati di sinistra o progressisti hanno vinto a Tel Aviv, ad Haifa e in altri importanti centri del Paese. Lo hanno fatto puntando su nomi nuovi, su programmi sociali che puntavano sulle periferie, sulla casa ai giovani, sulla difesa dei diritti delle ragazze madri. Erano liste unitarie che esprimevano un bisogno di unità dal basso. Indicazioni totalmente disattese nelle politiche. Ci siamo presentati divisi, ognuno convinto di poter contare su un voto di appartenenza ideologica che non esiste più. Abbiamo subito l’agenda delle destre e lo abbiamo pagato a carissimo prezzo. Ora, però, il fallimento di Netanyahu offre una chance insperata che va sfruttata per il bene d’Israele.

Buone intenzioni, non c’è dubbio. Ma perché non dovrebbero restare nel libro dei sogni di una sinistra ripiegata su se stessa?
Perché non avremo altre prove d’appello. L’unità non è più un’opzione, è una via obbligata. Come Meretz, faremo tutto ciò che possibile per raggiungerla.

Da cosa ripartire?
Dalla grande manifestazione che due sabati fa ha visto decine di migliaia di persone riempire Piazza Rabin a Tel Aviv. Una manifestazione unitaria non solo sul palco, con la presenza dei leader di tutte le forze politiche di centro e di sinistra, ma soprattutto in piazza. Un’unità che deve riguardare anche i partiti arabi, la cui partecipazione al governo non deve essere più un tabù.

Tamar Zandberg con Bernie Sanders

Dal palco tutti i leader intervenuti hanno messo l’accento sull’emergenza democratica legata alla persona di Netanyahu. C’è chi ha affermato che Israele non vuole un dittatore alla turca. Ma non è un errore personalizzare lo scontro?
È Netanyahu ad aver ‘personalizzato’ la politica in Israele. Prendendola in ostaggio, trasformando le elezioni in un referendum sulla sua persona, come se essere primo ministro lo ponesse sopra la legge. Le stesse trattative per la formazione del governo si sono ridotte a una sorta di scambio: estorsione in cambio di immunità, visto che nel programma del nuovo esecutivo dove esserci una legge che limitava pesantemente i poteri della Corte suprema e concedeva una sorta di immunità al primo ministro. Questo si chiama attacco allo stato di diritto. L’alternativa alle destre parte da quella piazza e dalla volontà di non smantellare il sistema democratico.

Dalla campagna elettorale è praticamente scomparsa la questione palestinese. Ma un governo alternativo alle destre può negarne l’esistenza. Su questo il leader di Blue and White (il partito centrista che il 9 aprile ha conquistato 35 seggi, solo uno in meno del Likud), l’ex capo di stato maggiore dell’esercito, Benny Gantz, è stato quanto meno reticente.
Tutti in Israele, compreso Netanyahu, sa che la questione palestinese è ineludibile e che la sicurezza d’Israele non può fondarsi sull’esercizio della forza. L’alternativa alla negoziazione di uno stato palestinese non è il mantenimento dello status quo, ma una istituzionalizzazione dell’apartheid nei Territori. Del partito di Gantz fanno parte generali che sanno bene che un compromesso con i palestinesi è inevitabile, se non oggi in un futuro ravvicinato. Per comprenderne le ragioni bisogna parlare con i demografi piuttosto che con i diplomatici…. Non vedo un’alternativa credibile e praticabile ad una soluzione a due Stati. A Gantz dico: discutiamone.

“Ora tutti uniti per sconfiggere Bibi”. Parla Tamar Zandberg ultima modifica: 2019-06-04T10:07:38+02:00 da UMBERTO DE GIOVANNANGELI
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