Stupro. Davvero la castrazione chimica è la soluzione?

È la prevenzione che serve, è un cambio di rotta culturale che investe il senso delle relazioni, dei rapporti di dominanza, di cosa è la violenza. Di cosa è e dovrebbe essere una relazione che si attesta sulla parità. E si comincia da piccoli quando si è nella matrice primaria delle relazioni.
FLAVIA FACCO
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Quando fatti di cronaca richiamano l’attenzione sullo stupro, riemerge la discussione se sia opportuno o meno proporre e imporre la castrazione chimica, con argomentazioni a mio avviso intrise di un sentimento di ritorsione e autoritarismo ben lontano dall’idea che la punizione di un atto di violenza possa contemplare un percorso di cura e di riabilitazione a partire dalla dignità della persona.

Sembra quasi paradossale, ma per poter parlare di stupro correttamente, considero invece necessario e imprescindibile parlare di amore e di sessualità.

La sessualità nella sua natura profonda è qualcosa di primitivo che noi umani abbiamo imparato appunto ad “umanizzare”, ad inscrivere nella cornice di una relazione interpersonale. Non a caso ho usato il termine interpersonale, nel suo senso più semplice, ovvero “tra persone”. E ci tengo a precisare che intendo “Persone” in qualità di “soggetti nella relazione”, fatto oggi non così scontato nelle relazioni.

Le relazioni umane infatti non si configurano tout court come paritarie, né simmetriche, anzi abbiamo innumerevoli esempi di relazioni sbilanciate a carattere up/down, relazioni dove il conflitto presuppone e si fonda non sul confronto tra pari ma sulla prevaricazione.

Nella tragica e dolorosissima evenienza dello stupro possiamo affermare che esso avviene come atto meramente “sessuale” tra due soggetti, due soggetti persone? E’ una evenienza, un fatto interpersonale o piuttosto una questione intrapersonale che ha a che vedere con l’immaginario della persona che agisce lo stupro? Di che tipo di desiderio sessuale si tratta? E’ davvero desiderio sessuale?

La castrazione chimica si fregia di agire anche sull’immaginario, sulle fantasie della persona. E’ davvero possibile modificare chimicamente le fantasie sessuali?

Dobbiamo in prima istanza definire cosa è il desiderio, quello umano.

Possiamo considerare il desiderio su due dimensioni: fisiologica, psicologica. Sul piano fisiologico il desiderio sessuale spinge l’organismo a raggiungere uno stato di piacere. Da un punto di vista psicologico il desiderio è attivato da stimoli affettivi ed immaginari della persona. Il desiderio è una funzione della vita emozionale; attraverso il desiderio il soggetto costruisce un mondo di significati sia riversati che attinti dal proprio ambiente e influenzati dalla cultura di appartenenza e dalla appartenenza sociale. Il desiderio si esprime quindi nella cornice di una incessante mediazione tra natura e cultura, tra individuo e comunità. Come ormai ben sappiamo la biologia e la cultura, il corpo e la mente si permeano a vicenda.

L’essere umano si trova dunque nel corso del suo sviluppo alle prese con il problema di acquisire la capacità di integrare desiderio sessuale e amore. Di evolvere dalla natura alla cultura.

Mitchell [2002] sostiene come molti altri psicoanalisti prima di lui che nella psicologia umana c’è un lato oscuro e che la delicatezza dell’amore romantico non può resistere contro il potere dell’aggressività innata. La sessualità è dunque l’animale presente dentro di noi, ma noi siamo animali sociali. Pertanto la nostra sessualità, l’aggressività, è mediata da fattori sociali e linguistici che la domano, la plasmano.

Sappiamo anche che dopo la rivoluzione sessuale la soddisfazione sessuale è diventata un diritto inalienabile, un valore tanto per gli uomini che per le donne e spesso la possibilità di costruire una relazione viene misurata sulla base di quest’unico standard. Finché la questione è esplicitata nella coppia e nel contesto di una relazione paritaria resta una questione di motivazioni private e soggettive. Ben più complesso è avere a che fare con i sentimenti.

Perché l’amore nella sua natura più profonda non è un contratto risolto, non è per nulla sicuro, ci pone di fronte all’inconoscibilità e imprevedibilità dell’altro. Chi amiamo pur essendo “oggetto” d’amore è al tempo stesso soggetto altro da noi, con i suoi desideri, pensieri, volontà, natura, ambiguità .

Dalla psicologia abbiamo imparato che noi siamo il frutto delle relazioni con gli altri, in primis delle relazioni primarie e non è per nulla scontato che esse siano state sotto l’egida dell’amore. Talvolta possono invece essere state intrise di seduzione perversa, di conflitto irrisolto, di proiezioni disturbanti, di disamore.

Può anche accadere che noi umani sperimentiamo la sessualità come una forza bestiale. Dice Mitchell che essere bestiali suggerisce una disumana mancanza di considerazione per le altre persone, uno sfruttare gli altri per i propri scopi, un uso puramente animale delle altre persone per i propri piaceri. Essere bestiali significa soprattutto depersonalizzare l’altro, liberarsi dalle pretese altrui.

Si conferma quindi che un atto bestiale, essere bestiali equivalga a non identificarsi, a non pensare, e che sia dunque un difetto cognitivo-affettivo piuttosto che un eccesso biologico. Possiamo allora pensare di curare un deficit cognitivo-affettivo costruendo artificiosamente un deficit biologico? Possiamo pensare di curare, di avviare pentimento e redenzione agendo la castrazione chimica che ricorda più la legge del taglione che una cura?

La civiltà, il progresso filosofico, pedagogico, ci ha insegnato che i reati puniti tendono a ripetersi se non si è avviato un vero processo riabilitativo.

La mia convinzione è che alla base del comportamento dello stupratore non ci sia un eccesso di eccitazione, una biologia come forza scatenante e propulsiva verso l’azione, che giustificherebbe e quindi invocherebbe come “cura” o come “punizione” la castrazione chimica, quanto piuttosto un difetto cognitivo-affettivo che caso mai può servirsi strumentalmente di uno stato di eccitamento per tradursi in azione.

Detto meglio, è la rappresentazione dell’altro da sé, (che sia uomo, donna, bambino/a) che precede lo stupro, che lo informa. Rappresentazione che prevede che l’altro non può e non deve essere considerato “soggetto umano”. L’altro è oggetto tramite il quale pervenire all’affermazione reiterata e immodificata del proprio essere, del proprio bisogno di dominanza, di sopraffazione, di sottomettere l’altro.

Per lo stupratore è impossibile costruire un noi, fosse anche questo “noi” istituito nella cornice di un piacere licenzioso, fine a se stesso , frettolosamente consumato in se stesso e dal quale facilmente ci si affranca.

Lo stupro avviene come atto che deve negare la possibilità di contaminare il proprio sé con l’altro, di aprirsi al diverso da sé, nella commistione della relazione, lasciandosi penetrare da ciò che di soggettivo l’altro da sé ha da spartire e condividere, da ciò che di umano l’altro “è”. Alla base dello stupro c’è l’impossibilità, il patologico rifiuto di incontrare l’altro nella sua alterità, nella sua imprevedibilità, nella sua possibilità e nel suo potere di porsi in maniera simmetrica nella relazione, di attestarsi come soggetto nella relazione, soggetto che può pronunciarsi sul proprio desiderio o di contro assenza di desiderio.

Lo stupro, ben analizzato, è paradossalmente, anche sul piano della natura, la negazione suprema della natura intrinseca della sessualità, del suo scopo filogenetico e ontogenetico. La sessualità è prima che ogni altra cosa unione con il diverso da sé, è incontro fisico ed emozionale con il diverso da sé. La sessualità è un taglio, una fenditura attraverso la quale due differenze si compenetrano, si mescolano e danno vita a qualcosa di nuovo.

Nello stupro nulla di umano si mescola. Chi stupra si pone come un soggetto inviolabile, impenetrabile, corazzato dentro rigidi confini che non consentono nessuna relazione di scambio. L’alterità, la specificità dell’altro è sentita come rischiosa, come elemento che può rendere vulnerabili.

Se abbiamo capito e siamo convinti che lo stupro non è un fatto biologico, non è un atto di libidine, ma un fatto culturale distorto, come tale dobbiamo occuparcene.

Immaginiamo che uno stupratore venga chimicamente castrato. Oltre ad infliggere un danno fisico in quanto la castrazione chimica ha effetti collaterali gravi, non ultimo l’osteoporosi, rimettiamo in scena esattamente il copione, lo script dello stupratore. Ovvero attestiamo e validiamo come “cura” un rapporto di dominanza, caratterizzato da violenza fisica e psicologica. Sarebbe come curare una frattura spezzando le ossa.

E’ la prevenzione che serve, è un cambio di rotta culturale che investe il senso delle relazioni, dei rapporti di dominanza, di cosa è la violenza. Di cosa è e dovrebbe essere una relazione che si attesta sulla parità. E si comincia da piccoli quando si è nella matrice primaria delle relazioni.

Ha senso quindi proporre la castrazione chimica? Io non credo poiché sarebbe come guardare il dito quando dovremmo guardare la luna.

Ha senso punire? Certo che sì se la punizione si declina come un percorso riabilitativo verso la redenzione.

A mio avviso c’è bisogno di una terapia del profondo che consenta di avviare un processo di assunzione di responsabilità riguardo al proprio agire umano.

Il lavoro sarà lungo in quanto si tratta di costruire non solo e non tanto un pentimento. Certo bisogna salvaguardarsi da un pentimento che potrebbe facilmente slittare su una mimesi strumentale dello stesso per ottenere un facile perdono in sede di giudizio.

Ciò che andrebbe messo in campo è l’avvio di un vero lavoro di costruzione nel reo della capacità di identificarsi con l’altro, della assunzione del senso e del significato della diversità, di cosa è davvero una relazione con l’umano, ovvero relazione intersoggettiva, che si da tra umani con due diverse soggettività . Occuparsi dunque delle mancanze (in chi ha commesso il reato) che non di rado si sono costruite nel contesto di relazioni primarie disfunzionali, spesso seduttive e perverse e che destinano ad altrettanta perversione se non curate.

E questo con la chimica non ha proprio niente a che fare.

Stupro. Davvero la castrazione chimica è la soluzione? ultima modifica: 2019-06-07T17:31:25+02:00 da FLAVIA FACCO
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