Venezia. Ora di cambiare rotta

Dire no alle grandi navi in laguna e al turismo fuori controllo significa implicitamente dire anche sì, ma a qualcosa di diverso, vitale, positivo. Sì a qualcosa di buono per tutti.
ELISABETTA TIVERON
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Nel mio intervento all’interno del libro La Venezia che vorrei. Parole e pratiche per una città felice*, riportavo un mio pensiero costante, rivolto alla mia città e al mondo intero:

Venezia che diventa modello di equilibrio, che non rifiuta il turismo ma lo riporta ad una dimensione accettabile. Come? Con qualche piccolo sacrificio, con più senso di responsabilità, con volontà vera di combattere gli interessi delle lobby legate al turismo, invece che farci comunella. Rinunciando ad un po’ di guadagno immediato, o a brevissimo termine, al fine di ottenere vivibilità – e anche un beneficio economico – sul lungo periodo. Vale per i singoli, per i gruppi di interesse, per le stesse amministrazioni pubbliche. Perché il turista si stancherà presto di mordere e fuggire, di avere tutto a portata di mano, tutto sempre e comunque accessibile; di visitare luoghi rovinati, completamente svuotati di vita vera; e noi ci ritroveremo con un mondo usato e gettato, che nessuno vorrà più. Noi, che siamo a nostra volta, di tanto in tanto, turisti – quindi richiesti di qualche piccola rinuncia sull’altro fronte, quello delle pretese.

In questi giorni di acceso dibattito sulla questione grandi navi, dopo l’incidente occorso in banchina a San Basilio lo scorso 2 giugno, continuo a chiedermi perché. Perché si debba accettare ciò che è inaccettabile. Perché non si possa dire no, tutti, non soltanto noi “soliti rompiscatole”.  

La questione, vale la pena di ripeterlo ancora una volta, non riguarda soltanto il passaggio delle navi all’interno della città storica, ma il loro accesso in laguna (quindi non soltanto quelle da crociera, ma anche le tantissime imbarcazioni che operano nel porto commerciale. Se il porto di Venezia è il più inquinato d’Italia, lo è per una somma di cause: ci sarà da lavorare sodo per chi si candida ad amministrare la città).

Chi da anni sostiene che la laguna di Venezia non può continuare ad essere martoriata dal traffico eccessivo, dal passaggio di navi di ogni stazza e tonnellaggio, dallo scavo di canali, chi sostiene che questo ambiente unico, fragilissimo, protetto per secoli, ha già pagato un prezzo altissimo allo sviluppo economico, nei decenni di Porto Marghera, e che l’industria oggi più redditizia, quella turistica, deve essere contenuta, ripensata, affinché non si dia a questo meraviglioso spazio di acqua e di terra il colpo di grazia, non lo fa perché ci trova gusto ad opporsi a prescindere.

Il Novecento è stato il secolo del boom economico, ha permesso a migliaia di persone di uscire dall’incubo della fame, ma non è certo brillato per lungimiranza. I progetti venivano pensati e realizzati senza valutare (inizialmente per inesperienza, successivamente per interesse) l’impatto a medio e lungo termine.

Va bene, ok, è successo, è andata così. Ma nessuno ci obbliga a continuare su quella strada. Ora sappiamo, non siamo più inesperti; inoltre, non usciamo da guerre che richiedono di fare sacrifici anche sul piano ambientale al fine di stare meglio, non siamo braccati dalla fame (ma dal suo contrario, in una buona fetta di pianeta).

Abbiamo il potere e il dovere di cambiare rotta, di fare un passo indietro oggi al fine di farne due, tre, dieci in avanti domani.

Altri siti: città, borghi di mare, isole, che come Venezia accolgono navi da crociera e sono presi d’assalto da masse di turisti (crocieristi e non), cominciano a non vederne di buon occhio le ricadute, negative, sull’ambiente e sulla vita di chi ci vive, in quei luoghi, e a prendere contromisure.

Venezia, se non si ripensa, rischia di trovarsi immersa in un pantano anacronistico, da cui sarà sempre più complicato uscire. Venezia e la sua laguna, le sue isole, la gronda lagunare con gli insediamenti urbani che ancora attendono di essere bonificati ma che nel frattempo vengono ri-cementificati con destinazione alberghiera, i fiumi che solcano questa fascia di terraferma fino alla distesa d’acqua. Dire no significa implicitamente dire anche sì, ma a qualcosa di diverso, vitale, positivo. Sì a qualcosa di buono per tutti.

*La Venezia che vorrei. Parole e pratiche per una città felice, a cura di Cristiano Dorigo e Elisabetta Tiveron, autori vari, Helvetia Editrice, 2018.

Le foto sono tratte dall’account twitter @NoGrandiNaviVe

Venezia. Ora di cambiare rotta ultima modifica: 2019-06-09T16:39:06+02:00 da ELISABETTA TIVERON
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