Sciascia. Uno scrittore con l’“hobby” dell’editoria

Per una ventina d’anni e sino alla sua scomparsa, fu una sorta di nume tutelare della Casa Sellerio non solo come autore ma anche e soprattutto come protagonista di un intenso e sistematico lavoro editoriale.
GIORGIO FRASCA POLARA
Condividi
PDF

Un ritratto inedito e insolito, comunque del tutto originale, di Leonardo Sciascia? Eccolo, in questo Leonardo Sciascia scrittore editore, ovvero La felicità di far libri, curato con passione e conoscenza precisa di cose ed eventi, da Salvatore Silvano Nigro. Naturalmente “vestito di blu” come tutti i volumi della Memoria – la collana più celebre (ideata e seguita come una figlia da Leonardo sino a quando lui visse) èdita da Sellerio –, il libro è un momento alto di rimembranze: cadono quest’anno il trentesimo della morte dello scrittore e, insieme, il primo mezzo secolo di vita della casa editrice.

Ma il libro è soprattutto, per i più, una rivelazione. Chi ne legga le trecento e più pagine, e gli straordinari appunti manoscritti reperiti negli archivi di Casa Sellerio, scoprirà che per una ventina d’anni e sino alla sua scomparsa, delle edizioni di Elvira (e per un primo tratto di strada anche di Enzo) Sciascia fu una sorta di nume tutelare non solo come autore ma anche e soprattutto come protagonista di un intenso e sistematico lavoro editoriale. Consigliava (e talora traduceva: dal francese) i testi da pubblicare e, spesso, da riscoprire; scriveva bandelle sempre asciutte ed erudite a risvolto dei libri dalla fisionomia disegnata da Enzo e diventati rapidamente così trendy; inventava altre collane (La civiltà perfezionata, Il divano, La diagonale…); preparava testi redazionali di presentazione che, nei primi tempi, i promotori portavano di libreria in libreria per convincerne i titolari a prenotarne le copie. E preparava modelli contrattuali, e persino scriveva agli editori stranieri, e ai collaboratori, fingendo di essere Elvira Sellerio. In altre parole (è la testimonianza, dall’interno di Casa Sellerio, del mèmore redattore Maurizio Barbato):

Fu lui a fissare lo stile che è rimasto alla casa editrice e che i lettori spesso riconoscono nei nostri tipi quasi più ancora che i titoli. E a dare quell’impronta nel trattare il libro, che può definirsi con parola non azzardata un’etica. Ed il tutto in un’epoca – dalla fine dei Sessanta, il 1969, fino a quando visse, il 1989 – in cui, secondo una battuta, fare libri a Palermo si presentava, agli occhi delle brave persone ragionevoli, come coltivare fichidindia a Milano.

Ecco, il libro è composto proprio degli scritti di Sciascia da copywriter, cioè da scrittore di tutte le parti non d’autore di un libro. Qui sta la originalità (del libro e del suo facitore) e in un certo senso la sorpresa regalata a quanti non avessero avuto né abbiano oggi modo e strumenti per conoscere questo aspetto, sostanzialmente inedito, di Leonardo-imprenditore senza fini di lucro ma per amicizia con i Sellerio e soprattutto (cito ancora Barbato) per salvaguardare o recuperare quella vena di vivacità e forza intellettuale originale posseduta da sempre dalla Sicilia, ma non certo per quello che si usa chiamare amore per la Sicilia, sicilianismo, sicilitudine. Piuttosto, sono parole di Leonardo, “vagando per il mal noto, il poco noto e l’ignoto”, per “non dimenticare certi scrittori, certi testi, certi fatti”: recupero di memoria, di Memoria appunto. Come S. S. Nigro spiega con immagine felicissima, Leonardo

i libri li pensava vestiti. E, fedele nelle scelte, un disegno di Maccari fece indossare nel 1976 all’antologia La noia e l’offesa – Il fascismo e gli scrittori siciliani. (…) Per le copertine della collana La civiltà perfezionata sceglieva gli incisori. Commissionava le acqueforti. Proponeva i soggetti. E li circoscriveva. A Leonardo Castellani spedì addirittura due fotografie di luoghi stendhaliani, come appoggio di memoria per l’incisione destinata alle Lezioni su Stendhal di Tomasi di Lampedusa. Per la copertina de Il procuratore della Giudea di Anatole France (uno dei primissimi volumi della Memoria, ndr) “se non l’immagine della lunetta erotica di Piazza Armerina, qualche particolare di uno dei dipinti diciamo biblici di Gustave Moreau” suggeriva a Elvira Sellerio, e aggiungeva, ad accompagnatura, e tra parentesi di discrezione, “Vale, si capisce, come timido suggerimento”.

A proposito del livello e della passione che Sciascia metteva nel lavoro parallelo di editore, se è giusto notare – come fa ancora Nigro – che i suoi

risvolti e note editoriali, come tutta la sua scrittura hanno spesso nervature citazionistiche (…) sono di naturale disinvoltura, di pulita rapidità e svagatezza. Non hanno le unghie dipinte. E soggiacciono alla severità di un rigore geometrico;

è ancora più significativo rilevare (c’è la documentazione scritta, a macchina da scrivere, in caratteri maiuscoli) che lo stesso impegno portava Sciascia a proporre agli autori (a certi autori per i quali usava particolare riguardo) una costellazione di titolazioni possibili (ben sette per un libro di Gianfranco Dioguardi, alla fine titolato Viaggio nella mente barocca. Baltasar Graciàn ovvero le astuzie dell’astuzia), poi usata come traccia e scaletta pe la stesura del risvolto. E per il titolo della collana-principe che poi prese il nome di Memoria, Leonardo aveva in mente ben otto varianti.

Né posso tacere di un assoluto capolavoro cui Sciascia lavorò per anni e tenne sempre molto (e che Casa Sellerio ha rieditato anche in tempi relativamente recenti), e parlo di quei quattro grandi e densi volumi dal titolo icastico: Delle cose di Sicilia, Testi inediti o rari (1980-1986). Quei testi (per ciascuno dei quali Leonardo scrisse una accurata nota che è ha per sé un grande valore intrinseco, tale quanto il brano cui si riferisce)

vogliono essere – avvertiva Sciascia nella presentazione del primo volume –, con sufficiente estravaganza, con scarti e scatti in cui hanno parte anche l’ironia, l’impazienza, le idiosincrasie, gli umori e i malumori, una specie di biblioteca storica e letteraria di Sicilia: una raccolta di testi poco noti, inediti o mai tradotti in italiano, che insieme concorrano a una immagine della nostra regione non scontata, non convenzionale, fatta di richiami sottili ma tenaci, di referenze e riferimenti inconsueti ma pertinenti…

E spiega infatti Nigro nel presentare una silloge dell’antologia che:

La predilezione di Sciascia per questa antologia in cui raccoglieva e ripensava (ecco l’estravaganza! ndr) tante delle sue fonti storiche sulla Sicilia, è testimonianza delle peculiari prose che presentano ciascuno dei brani pubblicati: così dense e ricche di lavorata erudizione che, nel loro insieme, stringono il lettore come in un libro a sé. Un libro di Sciascia, naturalmente.

Grande successo, ovunque e comunque, del lavoro editoriale di Sciascia (o di quanti, dopo la prima settantina di volumi della Memoria, scrissero le bandelle ma sempre con il successivo controllo di Leonardo, sin che visse)? Quasi sempre. C’è qualche eccezione, e di una di queste ne sofferse – non per colpa di Sciascia e men che mai di Casa Sellerio – la compagna di Togliatti, Nilde Iotti. Che conservava religiosamente le 28 pagine manoscritte (con inchiostro verde, secondo l’uso del segretario del Pci) del poi famoso Memoriale destinato a segnalare ai massimi dirigenti del Pcus, e a Kruscev in particolare, una serie di preoccupazioni dei comunisti italiani. Togliatti, che finì di scrivere la memoria poche ore prima di esser colto da un fatale ictus, vi affermava in modo compiuto, netto, non filtrato da diplomatismi, il pensiero del Pci di fronte a quella che si presentava (sino ad allora) come la più grave crisi del movimento comunista internazionale, paragonabile, storicamente, solo alla scissione della II Internazionale. 

C’era il conflitto aperto tra Urss e Cina, con la malcelata intenzione di una scomunica del partito cinese (da qui il “no” del Pci ad un vertice mondiale); c’era un’evidente involuzione dei caratteri del regime sovietico dopo il rinnovamento impresso dal XX e dal XXII congresso. C’era una manifesta difficoltà dei pc del mondo capitalistico… Ed ecco allora nel Memoriale esprimere un’esigenza di chiarezza, in uno spirito – oh quanto indigesto per i sovietici – che coniugava unità e autonomia, internazionalismo e policentrismo, solidarietà con l’Urss e critica dei gravi limiti del regime.

Chiesi a Iotti di proporre a Elvira Sellerio di pubblicare non solo il testo, peraltro già noto, della memoria, ma anche la riproduzione anastatica del manoscritto: la grandissima parte delle integrazioni, delle correzioni, delle cancellature (singole parole, o frasi, o interi capoversi eliminati del resto con tratti così lievi della penna da scoprire perfettamente sotto la versione originale) mi sembravano di grande interesse non solo per storici e filologi per cogliere non solo le classiche finezze togliattiane ma anche un corredo molto significativo di accentuazioni e/o di attenuazioni. Elvira fu pronta a raccogliere il suggerimento, consapevole della importanza non solo politica ma anche documentale del manoscritto èdito per la prima volta. E i testi uscirono nell’88, nella Memoria, con il n. 176, un anno prima della scomparsa di Leonardo. E fu un successo, con un’isperata messe di impegnatissime recensioni: di tutti. Un po’ meno proprio dell’Unità che definì l’operazione sì “intelligente” e “utile”, tuttavia non sottacendo lo “stupore” che Togliatti fosse “finito con persone di tutt’altro genere”, da Tolstoi a Teresa D’Avila, e dunque tra “chicche archeologiche”.

E pensare che nella bandella del volumetto, Sciascia o chi per lui (ma l’ispirazione è sicuramente sua, un indizio è nella citazione) aveva ricordato che Benedetto Croce definiva

Anni che ci chiamano “di pace” quelli che non offrono spettacolo di guerre e rivoluzioni ma che mostrano il loro moto e il loro dramma a chi ripone queste cose unicamente negli urti fragorosi e nei grossi fatti appariscenti, e anzi cerca il vero moto e il vero dramma negli intelletti e nei cuori.

E aggiungeva il risvolto:

E, come spesso con i documenti degli anni che si chiamano di pace, a rileggerlo oggi dà più il senso della distanza, del lavoro che si è compiuto o del cammino che si è percorso da allora (…) Ma è proprio in questa differenza, tra ciò che un momento umano è, e ciò che la storia lo chiama a diventare, che si gioca il vero moto e il vero dramma che cerchiamo nei documenti della storia.

Già, “chicche archeologiche”…

YTALI RINGRAZIA SENTITAMENTE GLI EREDI SCIASCIA E LA CASA EDITRICE SELLERIO PER AVER AUTORIZZATO A PUBBLICARE ALCUNI APPUNTI DI LEONARDO SCIASCIA, TRATTI DA
Leonardo Sciascia scrittore editore, ovvero La felicità di far libri

Sciascia. Uno scrittore con l’“hobby” dell’editoria ultima modifica: 2019-06-13T17:09:57+02:00 da GIORGIO FRASCA POLARA
Iscriviti alla newsletter di ytali.
Sostienici
DONA IL TUO 5 PER MILLE A YTALI
Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!

POTREBBE INTERESSARTI ANCHE:

1 commento

Francesco Damato 13 Giugno 2019 a 18:35

Bellissimo!

Reply

Lascia un commento