Andrei avanti volentieri a parlarvi di un’infinità di altre cose che mi sono successe e che ho scoperto nella mia vita, dei miei programmi e delle mie speranze, di sogni e di realtà… È stato bello chiacchierare con voi, ma adesso devo proprio lasciarvi: mi stanno aspettando per le prove di Aida alla Scala.
Sono le ultime parole dell’autobiografia di Franco Zeffirelli pubblicata da Mondadori nel 2006. Cinquecentoventi pagine di storia e vita di un grande regista, di un controverso intellettuale, di un uomo che a 96 anni è morto lasciando l’Italia priva di uno dei maggiori protagonisti e testimoni del suo mondo culturale del Novecento. Figlio di un commerciante fedifrago, che non volle riconoscerlo, e di una donna che ancor giovane passò a miglior vita, Zeffirelli era un fiorentino Doc, animato fin da giovane da una quasi maniacale anglofilia. Omosessuale dichiarato ma “platonicamente” innamorato di alcune donne, tra le quali la sua amica di sempre Maria Callas, Zeffirelli passò l’infanzia e l’adolescenza tra un orfanatrofio e la casa di una zia. Poi alla scuola d’arte drammatica e quindi a Milano dove lavorò con Luchino Visconti (“un aristocratico dal sesso facile”) col quale ebbe una lunga relazione sentimentale. La passione per il disegno, nel quale eccelleva, si manifestò fin da allora sviluppandosi poi nella serie di disegni di scena per la Scala e la Royal Opera House di Londra. Un misto di scenari barocchi con cupe tonalità forse ispirate da scenografie wagneriane.

Intorno a lei – scrive poi il regista ricordando il soprano greco -americano – a parte la leggenda che stava incarnando, si era raccolto il fior fiore dell’opinione colta… (Quella con Renata Tebaldi) fu una battaglia incandescente e senza esclusione di colpi. La vecchia guardia faceva capo al clan di Toscanini che aveva lanciato la Tebaldi con il concerto di riapertura della Scala nel 1946.
Le memorie del grande regista sono una carrellata di ricordi con protagonisti i maggiori ballerini (da Nureiev a Barishnikov) di cantanti, di registi e attori (da Laurence Olivier a Judy Dench, agli immancabili Richard Burton e Liz Taylor, che il regista volle come protagonisti della shakespeariana “Bisbetica ”). Nella sua villa di Positano era un viavai di ospiti e la sua casa era diventata il buen retiro di molti protagonisti del cinema e del teatro inglese e americano.
Era un incanto vedere come attori, cantanti, scrittori e teste coronate, si ritrovassero felicemente in quella sorta di nido comune – ricorda Zeffirelli -. Gregory Peck mangiava con gli Olivier, Claudette Colbert celebrava il suo ottantesimo compleanno, e c’erano Liza Minnelli, Domingo, Nureiev, la principessa Margaret, Anna Magnani, le sorelle Kessler (puntualissime ogni anno con il loro bagaglio di barzellette), Maggie Smith, Sting, Bernstein, Kleiber, Carla Fracci… Wow, la lista è interminabile….

Popolarissimo in Italia, Zeffirelli lo era ancor più, probabilmente, nel mondo anglosassone dove fin dai tempi della sua trasposizione cinematografica di “Romeo e Giulietta” (film del 1968 con Olivia Hussey e Leonard Whiting, con musiche di Nino Rota) fu celebrato e premiato.
Molti i ricordi su celebri direttori d’orchestra, da Toscanini a Von Karajan, da Carlo Maria Giulini a Riccardo Muti.
Muti ha in testa un solo traguardo, annotava Zeffirelli, che assorbe tutta la sua creatività: affermare ad ogni costo il proprio genio, che ampiamente gli va riconosciuto, ma che purtroppo non vuole accettare limitazioni, critiche, rivalità di alcun genere.
Sorprende, invece, il suo ricordo del grande direttore austriaco che, dopo la guerra, aveva avuto delle noie per le sue asserite, trascorse simpatie filonaziste. Noto seduttore, oltre che appassionato di auto sportive, Karajan non voleva sentir parlare di Maria Callas.
Avevamo fatto due opere in passato, tra cui una memorabile Lucia di Lammermoor alla Scala e a Vienna, scrive Zeffirelli, ma poi Karajan aveva pubblicamente paragonato la voce di Maria allo stridere d’un coltello su un piatto: gli faceva venire la pelle d’oca.
Anticonformista, vanitoso, instancabile, Zeffirelli era una voce fuori dal coro (degli intellettuali) anche per le sue idee politiche che lo vedevano sempre arroccato su posizioni decisamente conservatrici. Antifascista ma sempre fedele alla “destra”, fu anche molto amico di Silvio Berlusconi e parlamentare eletto nelle liste di Forza Italia.
Come vecchio e leale amico, e come intellettuale dichiaratamente anticomunista quale sono e sono sempre stato, fui io uno dei primi personaggi a cui (Berlusconi) si rivolse,
ricorda Zeffirelli.
Come regista cinematografico fu esaltato e criticato.
Ci piace qui ricordare un suo bellissimo film del ’96, “Jane Eyre”, tratto dal romanzo di Charlotte Bronte, con l’enigmatica Charlotte Gainsbourg nella parte dell’infelice protagonista. Con la sua scomparsa si conclude definitivamente l’epoca d’oro del cinema italiano.

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