[PARIGI]
Qualche giorno fa la ministra della giustizia Nicole Belloubet ha annunciato in un’intervista al quotidiano cattolico La Croix di voler introdurre una soglia d’irresponsabilità penale a tredici anni. Fino ad oggi tale soglia non era prevista in Francia, anche se una serie di ordinanze avevano nel tempo stabilito che al di sotto dei dieci anni non ci fosse responsabilità penale e che a tredici anni il tribunale potesse pronunciarsi per una pena. Se la legge fosse approvata, un tredicenne potrebbe essere riconosciuto responsabile penalmente e essere affidato a dei servizi ri-educativi ma non incorrere in una sanzione penale.
Una proposta che ha suscitato le reazioni positive della magistratura e delle organizzazioni non governative per l’adeguamento del diritto francese alle convenzioni internazionali. Ma l’idea non è piaciuta a tutti, soprattutto alla destra francese che si è scagliata contro la volontà del governo di non voler punire i delinquenti minorenni. Il tema della delinquenza giovanile e dell’atteggiamento della giustizia nei confronti dei minori responsabili di reati è ricorrente nel dibattito politico francese, con la destra francese che ha spesso associato la criminalità minorile alla banlieue.

Al di là dello scontro politico, le cifre sono tuttavia preoccupanti, nonostante la criminalità minorile sia rimasta stabile in questi anni. Secondo il ministero della giustizia, i minori rappresentano un quarto dei responsabili di furti nei domicili privati; il tre per cento degli accusati di omicidio, una percentuale che aumenta fino al nove per cento per aggressione intenzionale. Uno su cinque tra le persone accusate di rapina con un’arma dichiarata è un minore. La loro quota tra gli accusati di furti senza violenza è del 24 per cento. E raggiunge il 35 per cento per rapina violenta senz’armi. Un altro segnale preoccupante: il 27 per cento delle persone fermate per violenza sessuale ha meno di diciotto anni.
E le cifre delle procedure davanti ad un giudice non destano minore inquietudine. Nel 2017, la giustizia minorile si è occupata di 224.900 minori, ovvero il 3,3 per cento di tutta la popolazione francese compresa tra i dieci e i diciassette anni. Per lo più si tratta di minori tra i sedici e i diciassette anni (il 49 per cento), mentre il 42 per cento è compreso tra i tredici e i quindici. Soltanto l’otto per cento ha tra i dieci e i dodici anni e l’uno per cento ha meno di dieci anni. L’85 per cento dei minori è di sesso maschile. Di questi, più di 64.000 minori sono stati processati, il 34 per cento davanti a un tribunale per minori e il due per cento davanti a un giudice istruttore.
Anche se i dati sono rimasti stabili nel tempo, secondo gli esperti del settore qualcosa però è cambiato. La risposta penale è diventata infatti più dura: sono aumentati i ricorsi alla detenzione preventiva e le pene tendono ad essere più lunghe. In controtendenza rispetto a quello che chiedono da anni coloro che si occupano di minori: più mezzi per prevenire la delinquenza minorile ed evitare gli effetti distruttivi non solo della detenzione, ma del procedimento penale in sé. Secondo lo psichiatra infantile Boris Cyrulnik, la detenzione in particolare è la peggiore delle risposte perché:
[…] provoca l’isolamento sensoriale, l’arresto dell’empatia, l’aumento dell’angoscia, rafforza delle relazioni tossiche e genera umiliazione. Una volta usciti di prigione, si può facilmente constatare che il minore non è più in grado di regolare le proprie emozioni.
In effetti, secondo le ricerche di Annie Kensey Abdelmalik Benaouda, il settanta per cento dei minori francesi che escono di prigione rischiano di essere ricondannati nei cinque anni successivi, un tasso più alto degli adulti nelle stesse condizioni (63 per cento).
Adultizzare i minori e pugno duro sono però idee molto diffuse. Non solo nella destra francese. Vedi in Italia.
A marzo la Lega ha depositato una proposta di legge che prevede l’abbassamento del limite dell’imputabilità dei minori da quatordici a dodici anni. Secondo i firmatari del disegno di legge, “un minore di dodici anni di oggi è diverso rispetto al dodicenne di qualche anno fa” e quindi “bisogna aggiornare il codice e considerare la realtà”. Non si tratta della prima volta che in Italia si cerca di abbassare questo limite: già nel 2002 Alfredo Biondi, deputato di Forza Italia, aveva cercato di far votare un disegno di legge in questa direzione.
Spesso alimentati dai casi di cronaca, quest’idea dell’abbassamento dell’età non si basa su dati allarmanti. In realtà sono diminuiti i reati e gli ingressi nel circuito penale (anche se i reati sono diventati più gravi). Anche l’Unione nazionale delle camere minorili ha sottolineato che
Le motivazioni addotte dai proponenti il disegno di legge non trovano alcun supporto sostanziale nei dati ministeriali riguardanti la criminalità minorile in Italia che, come noto, risulta essere stabile se non in leggero calo, grazie ad un sistema di giustizia minorile all’avanguardia, tanto da essere fonte di ispirazione della direttiva 2016/800/UE sul giusto processo minorile europeo.
Ci sono certamente delle situazioni molto preoccupanti in alcuni territori, come la Campania. Tuttavia come sottolineato da Cristina Maggia, presidente del Tribunale per i minorenni di Brescia, queste situazioni emergenziali non devono stimolare
[…] con le emozioni più primitive della collettività, reazioni punitive che nulla hanno a che vedere con l’analisi oggettiva e realistica della situazione, certamente bisognosa di una valutazione globale maggiormente raffinata.
Perché, se vogliamo recuperare i minori, il problema non è l’abbassamento dell’età, secondo le camere minorili ma l’assenza degli strumenti necessari agli operatori per “migliorare l’effettività del sistema giustizia rendendolo più efficace”.

Secondo Susanna Marietti dell’associazione Antigone però questo ddl corrisponde perfettamente alla logica più generale con cui questo governo affronta i problemi della giustizia: le misure detentive devono essere il principale strumento dell’azione penale.
Abbiamo visto quello che è successo con la riforma penitenziaria: nel passaggio dal vecchio al nuovo governo è stato cancellato dalla riforma tutto ciò che riguardava l’ampliamento di una pena differente da quella carceraria, dell’area di tutte le misure alternative alla detenzione, perché per questo governo il carcere è l’unica pena possibile. Secondo questa logica bisogna usare le politiche penali il più possibile e all’interno delle politiche penali bisogna usare la pena carceraria, mentre è come se non ne esistessero altre.
Mentre le Lega prosegue in questa sua lotta, il Movimento cinque stelle tace. Forse perché tema sensibile per i cittadini e troppo costoso in termini di consenso elettorale. Forse perché non è unito sul tema. Il presidente della Camera dei deputati Roberto Fico però è intervenuto. E non ha propriamente appoggiato la proposta di legge. Fico infatti ha dichiarato durante un convegno tenutosi a Napoli:
Siamo sempre allo stesso punto dobbiamo combattere la dispersione scolastica, dobbiamo far sì che tutti i nostri figli, che sono i figli di questa città e non solo, possano andare a scuola a tempo pieno, ci devono essere luoghi dove ci sia davvero un esercito di assistenti sociali, di operatori del sociale, dove le scuole sono aperte, in collaborazione con i Comuni, con le municipalità, con le associazioni, con le parrocchie, con tutte quelle attività che fanno sì che il quartiere diventi formativo e sicuro.
Una tendenza diversa si riscontra negli Stati Uniti che contano su uno dei sistemi di incarcerazione meno attenti alla rieducazione e il paese occidentale col più alto tasso di minori in carcere. Molte città e alcuni stati hanno infatti cominciato a chiudere i carceri minorili. Accade a Minneapolis, nel New Jersey, in Arkansas, nell’Upstate New York, a Durango nel Colorado. E qualche giorno fa è stata la volta di San Francisco.
La città del Golden Gate ha infatti dato il via ad un processo legislativo che dovrebbe portare alla chiusura delle carceri minorili della città nel 2021. Nei prossimi mesi un gruppo di lavoro formato da funzionari comunali, esperti di giustizia minorile e da persone impegnate nel sociale dovranno individuare delle alternative utili ai minori incarcerati. Inoltre si è deciso che parte dei finanziamenti diretti al sistema delle carceri minorili della città siano allocati a programmi di recupero e di supporto psicologico per i minori coinvolti in procedimenti giudiziari.

Molto del merito dell’azione va al movimento Dreams behind bars fellows, un gruppo di studio composto da persone che hanno sperimentato il carcere minorile. In diciotto mesi hanno raccolto tutta una serie di prove che mettevano in dubbio l’efficacia dell’azione carceraria. Il gruppo di studio ha infatti scoperto che da un punto di vista finanziario il sistema era inefficiente: circa il 75 per cento degli spazi previsti dalle carceri minorili di San Francisco rimane vuoto.
Inoltre hanno potuto verificare che il sistema carcerario minorile istituzionalizza la marginalizzazione di africani-americani e latinos, che rappresentano il gran numero di minori presenti nelle carceri della città. In particolare la popolazione africano-americana – che costituisce solo il cinque per cento di tutta la popolazione minorenne di San Francisco – rappresenta il sessanta per cento di tutta la popolazione carceraria nelle prigioni per minorenni.

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