Ci si può sposare per passione, ma si resta insieme per la conversazione. Come tanti, troppi, altri ho perso la testa per Venezia la prima volta che ho messo piede fuori dalla Stazione di Santa Lucia. Sono ritornato per anni, tutte le volte che mi era possibile, anche se ogni volta per un tempo talmente breve da risultare frustrante. Tuttavia, quella brevità ha mantenuto viva la mia passione per la bellezza fisica della città.

Poi mi è stato commissionato una specie di lavoro da sogno – scrivere una guida della città – e sono venuto, e rimasto, per diversi mesi. Tanto che dopo poche settimane, persino Piazza San Marco mi era divenuta abituale, sempre bellissima, ma ormai parte della mia normalità. Per mantenere vivace l’amore fui obbligato a coinvolgere quelle persone che abitavano la città, e fu così che cominciai delle conversazioni che proseguono ancora oggi.

Nessun altro abita la propria città come fanno i veneziani. Nonostante il loro modo di vivere sia minacciato, ci sono ancora migliaia di loro che tengono insieme i resti di un grande impero, e non mi riferisco alle chiese e ai palazzi. Dalla venerazione per la voga fino alle parole arabe e greco-bizantine che ancora insaporiscono il dialetto veneto, la vita quotidiana è ancora declinata dalle strade del commercio che l’hanno resa grande. Ed è solo grazie a un colpo di fortuna – un contesto ambientale che la circonda in modo da renderla difficilmente agibile – che la città è aiutata nel preservare quella cultura in un modo che le moderne Roma, Milano e Firenze non fanno. A Venezia sei costretto a vivere più lentamente. Sei costretto al costante contatto con i vicini visto che ogni tragitto è prevalentemente a piedi. Attraversare la città camminando è un’incarnazione in tempo reale in quel tipo di connessioni che Facebook tenta di imitare.
Sfortunatamente, quella medievale infrastruttura “acquea” è anche una minaccia esistenziale alla cultura di Venezia. Ed è dura per cinquantamila residenti abitare una città con trenta milioni di stranieri che vi fluttuano dentro e fuori ogni anno.

Dream of Venice in Black and White , il libro di fotografie pubblicato da JoAnn Locktov, con una incantevole e sensibile introduzione di Tiziano Scarpa, approfondisce il vissuto di Venezia. Quale nota esperta della città e fondatrice di Bella Figura Publications, Locktov ha scelto tra i lavori di più di 50 fotografi di dieci differenti nazionalità. Eppure è riuscita a mantenere un ritratto coerente e molto intimo della città e delle sue genti.
Molte delle fotografie sembrano estrapolate da un film neorealista realizzato da un regista particolarmente dotato. E nessuna di queste fotografie potrebbe essere stata fatta in un altro luogo. È affascinante ritrovarsi nel non saper dire quale foto sia di oggi, e quale sia stata fatta a metà del Ventesimo secolo dal maestro Gianni Berengo Gardin. Nel sovrapporre lavori di epoche diverse, Locktov ci permette di guardare due volte, in modo da farci comprendere se stiamo sbirciando nel presente o nel passato. Naturalmente è una metafora perfetta (se questa è la parola appropriata) per Venezia in sé, dove strane cose possono accadere nel tempo.

La sensibile introduzione al libro del veneziano Tiziano Scarpa – vincitore del prestigioso premio Strega – sembra investigare nel particolare tessuto di vita sociale di Venezia. Fa della città la sua casa in cui ogni due per tre metà – se non più – dei residenti sono temporanei, presenziano solo per qualche giorno. La crescita delle proposte d’affitto di appartamenti on line non fa che accelerare questa strana mescolanza, con i turisti che si muovono sempre più frequentemente tra gli spazi residenziali. Lui accetta tutto ciò, come un qualcosa di inevitabile, ma sa anche che c’è un prezzo da pagare.
Chi abita a Venezia tutto l’anno, tutti gli anni della sua vita, ha a che fare con la sua gravità, i suoi problemi, e con i doveri che comportano,
scrive Scarpa. In altre parole, sono loro che rendono la città vera. Non ci sono difficoltà a Disneyland. Ed è la che si sta scivolando.

Chiede Scarpa al lettore non veneziano:
E allora, cosa puoi fare, tu? Forse, un modo paradossale di aiutare questa città può essere quello di non venirci proprio. Restare a casa propria, a sfogliare i libri di fotografie come queste, che abitano la città delicatamente, sfiorandola con la loro carezza leggera, fatta di splendide immagini.

Non posso promettere che starò lontano da Venezia. Per essere sinceri so che non lo farò. Ma posso fare del mio meglio per abitare la città con delicatezza, immaginando che chiunque si imbatta nel bellissimo libro di Locktov, nella prosa come nelle fotografie, sarà invogliato a fare lo stesso.
L’immagine di copertina è di Cristina Vatielli (2017)
links:
Dream of Venice in Black and White
(traduzione di Manuela Cattaneo della Volta)

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