Il rompicapo di Cacciari per riconquistare Venezia

L’idea di un’intesa Pd-M5S, che il filosofo caldeggia da tempo, a livello nazionale, potrebbe essere messa alla prova nelle elezioni per il sindaco 2020. Peccato che manchi il candidato adatto. Mentre il sindaco uscente, che pur è insidiato dalla Lega salviniana, resta forte in mancanza di un serio sfidante a sinistra.
BÄRBEL SCHMIDT
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Se il suo scopo era quello di épater le bourgeois della politica, mettendoci pure sopra il carico da undici dell’inesistenza di un candidato adeguato alla carica di sindaco tra le file del Pd, il gioco gli è riuscito solo in parte. In primo luogo perché nessuno che sia sano di mente potrebbe affidare la partita contro l’outsider Brugnaro il prossimo anno a un Pellicani o a un Ferrazzi qualunque. E i diretti interessati, che fortunatamente di una qualche salute mentale ancora godono, se pur nel loro intimo sognano, sono i primi a esserne convinti.

Tanta acqua è passata, nelle stanze del partito che fu di maggioranza, dai tempi in cui, giunto il rovinoso fallimento del poi prescritto Giorgio Orsoni, vissuto da una parte della città come una liberazione, i capi bastone facevano il bello e cattivo tempo. E Pierpaolo Baretta sognava di prendersi la corona senza il fastidioso sguazzo nella palude delle primarie, sottraendosi poi al confronto con Felice Casson, troppo saldo in sella all’onda giustizialista come il Dottor Stranamore alla sua bomba. 

Timoroso di uscirne a pezzi, Pierpaolo Baretta in seguito ebbe a pentirsi quando ormai i giochi erano fatti, e il destino segnato. La tragedia che ne sarebbe derivata alle porte.  

Quanto deve essere costato a Michele Mognato, allora in parlamento, giurare sostegno a Casson, sordo ai buoni consigli. Ricordando sulla pelle la piaga del 2005 di Massimo Cacciari sindaco col voto della destra, cui seguì il lungo esilio della sparuta pattuglia di naufraghi piddini in un consiglio comunale pullulante di margherite.  

Per non dimenticare Marco Stradiotto, allora segretario provinciale del partito, che delle primarie aveva visto i limiti e fatto di tutto per evitarle intuendo cosa poi sarebbe accaduto. E tra settembre e ottobre del 2014, convinto che le divisioni nella parte moderata del Pd avrebbero portato alla sconfitta, propone a Luigi Brugnaro, al fine di neutralizzare un potenziale avversario, di cercarsi il voto del popolo del centrosinistra contro Felice Casson.

Grande elettore del Pd alle regionali del 2010 e alle europee del 2014, l’idea di fare il sindaco allora a Brugnaro anche piacque, salvo chiedere, inascoltato, che gli fosse risparmiato il confronto con Felice, che con tutta probabilità ispirava pure a lui timore. La vicenda si sa com’è andata. Verificata l’inconsistenza dell’agnello sacrificale Pellicani, scese in campo lui, il Berlusconi in sedicesimo, ultima diga contro il magistrato, ma questa volta dall’altra parte del campo e per inaugurare un tragitto destinato a mettere in luce un altro aspetto del suo DNA berlusconiano, il carattere padronale del suo governo. 

Uomo solo al comando, con l’aggravante che in lui il ragionamento economico appiattisce e oscura quello della politica, realizza un modo di governare che umilia il centro sinistra e chiude ogni ambito al dialogo, sparando ad alzo zero sulle Municipalità, i parlamentini eletti in cui avrebbe potuto tenere viva la fiammella del dialogo. E infila una sequela di errori politici, come quello, marchiano, dell’alleanza con Giorgia Meloni pensato in chiave anti Lega, la quale poco a poco diventa la sua ossessione. 

E lentamente rende chiara la volontà di abbandonare quella strada che avrebbe potuto assicurargli quello spessore trasversale con cui spesso ha dato aria alla bocca, senza finire per chiudersi i ponti con i resti del centro sinistra, come ora è avvenuto. Compreso quello che stando ai numeri nemmeno è poco, proveniente dal Pd, che l’ha votato la volta scorsa. E che ora rischia di perdere per essere richiamato dal fascino del fronte ampio in costruzione sull’altra sponda. E che forse sarebbe ancora disposto a votarlo come male minore in caso di un suo ballottaggio con la Lega. Ma a che prezzo, caro Luigi Brugnaro!

Così, a Brugnaro, prigioniero delle proprie scelte, non rimane che salvinizzarsi sempre più, umiliandosi a tal punto da imitare il Capitano, fino a indossare la maglietta della Municipale durante le sue ronde di propaganda notturna in terraferma. Preoccupato di vedere vanificata la sua riconferma dalla tentazione leghista, che al momento nel partito è prevalente, di fargli lo sgambetto con un proprio candidato.

Magari solo per la voglia di contarsi al primo turno, e forse schierando l’inquietante e giovanissimo deputato Alex Bazzaro, cocco di Matteo Salvini, come si racconta. Per poi convergere al secondo da una posizione di forza. Ma a che prezzo, caro Luigi Brugnaro! Con in più una sinistra cittadina che a livello di numeri non sta potenzialmente poi tanto male, e che, in una battaglia di certo difficilissima che la veda tutta unita, potrebbe evitare, di essere lei la vittima. 

L’ex sindaco Giorgio Orsoni con il sindaco attuale Luigi Brugnaro

Pare che il sindaco, pur tra le incombenti preoccupazioni, pensi di avere ancora lui il mazzo in mano, e forse alla fine dei conti non ha torto. Lo confermerebbe anche un fatto di recente accaduto, che lo ha visto consigliare a Luciana Colle, sua vice politicamente inesistente, e al suo assessore alla mobilità, lo scafato Renato Boraso, di iscriversi alla Lega. Deve aver pensato di mettere in atto un’astuta mossa, il sindaco, che ai suoi occhi è in grado di brugnarizzarla, magari pensando anche di comprarsela, se necessario, in seguito. 

Luigi Brugnaro con Renato Boraso

Ma in questo caso forse ha sopravalutato le sue forze e soprattutto dimenticato i limiti di proprietà che vanta nei confronti del suo assessore, uomo di lungo corso nella politica cittadina, già presidente del consiglio comunale ai tempi dell’ultima giunta Cacciari, che personalmente vedrebbe bene al Quirinale. Non essendogli venuto il sospetto che in questo caso, con un partito a sua disposizione e con quelle percentuali poi, avrebbe potuto essere lui tentato di soffiargli la corona, e farsi suo avversario.

Tanto per dire che non sembra essere il ragionamento politico che sta alla base della prassi di Brugnaro, quanto il rapporto di clan, di cui lui si riconosce naturalmente capo indiscusso. Sottovalutando i rischi delle ambizioni covate in segreto nel seno della parentela, l’ambito più infido in cui uno possa operare. E se la sua proposta andava bene con la Colle, di cui Brugnaro è il ventriloquo come lo è di tutti i soldatini di cui dispone in maggioranza, mal si presta invece con Boraso. Per carità, di certo non un Platone della politica. Uomo che può vantare le buone soppresse che produce per le quali va anche famoso, ma che il peggio della politica, con il suo contenuto ricattatorio, lo conosce eccome.

Detto ciò, non rimane che parlare delle chance della sinistra. Se nella sua pars destruens Massimo Cacciari al recente dibattito di Mestre più di tanto scalpore non ha fatto, è con quella construens che qualche reazione ha suscitato. Quella che propone l’esperimento del laboratorio in grado di mettere in difficoltà i 5Stelle con un centrosinistra capace di parlare quasi il loro linguaggio. Fino a incantare, e forse arruolare, quel candidato trombato alle politiche, il giudice Antonino Abrami, che gode di un rapporto privilegiato con Luigi Di Maio e Roberto Fico.

Antonino Abrami

Che i 5Stelle nazionali, scontata l’inesistenza politica di quelli locali, avrebbero dovuto benedire fin da subito, nel disegno di Cacciari, costringendo il Pd a uscire allo scoperto e mangiare la minestra. O saltare dalla finestra e smarcarsi. Col rischio che tutto finisce qui. Un’idea che l’ex sindaco coltiva da tanto, sulla base della contiguità dei temi che accomunano grillini e Pd, un territorio comune sul quale costruire scenari politici nuovi che la scelta renziana del popcorn ha invece escluso, sospingendo i 5Stelle verso l’abbraccio mortale con Salvini. E che con la nuova segreteria di Zingaretti, se mai batterà alla fine un colpo, si potrebbe invece riaprire. 

Ma su Antonino Abrami, intanto, tutto pare finito qui. Se nessun segno di vita è giunto da Roma, a livello locale la sua candidatura è parsa non in grado di spingersi oltre il centrosinistra. Un po’ per la figura del personaggio, poco incline a scaldare i cuori, un po’ per l’evanescenza del suo operato. Qualcosa anche per i suoi rapporti con il Consorzio Venezia Nuova, dalle cui casse 297mila euro sono transitati alla sua Accademia Internazionale di Scienze Ambientali. 

Se l’uscita di Massimo Cacciari ha segnato un suo ritorno d’interesse ai problemi cittadini, dopo che anni fa aveva solennemente dichiarato di non volerne più sapere, e questa è forse la notizia, da più parti si è risposto suggerendo di invertire i termini, che l’ex sindaco ha inopinatamente confuso partendo dal cappello. 

In altre parole da quella che dovrebbe essere la fine di un lungo processo che veda tutto il centro sinistra parlarsi con una giusta dose di umiltà, a cominciare dai partiti organizzati fino al mondo rappresentato dalle associazioni, che ha dato segni inopinati di vitalità. Che dal fallimento della politica e della sinistra in fattispecie, potrebbero pensare di avere la verità in tasca, pensandosi come tutto, e non come una parte, per quanto importante, della faccenda. 

Un processo che porti all’individuazione delle idee forti, e che solo alla fine giunga all’individuazione di una figura, donna o uomo, che di quelle idee possa essere interprete e rappresentare questo grande schieramento e quindi la città. Che richieda anche una riflessione autocritica a certa sinistra, che ha sempre posto al centro la questione del lavoro e dello sviluppo in termini più propri al secolo passato, e che per tanti versi fa di Brugnaro il suo più conseguente continuatore con la sua “filosofia del fare”.

Che di fronte alla drammaticità dei temi che vive Venezia, dal turismo incontrollabile alle grandi navi, non ha saputo giungere a scelte chiare che mettano in primo piano l’ambiente, dato che viviamo in una città e abbiamo un porto tra i più inquinati. Al di là delle soluzioni tecniche che alla fine saranno proposte per le elezioni del 2020, liste civiche, di partito o altro, quel che conta è che tutto il centro sinistra deve essere unito fin dal primo turno, e che devono emergere chiaramente i punti irrinunciabili su cui un governo alternativo a Brugnaro si propone. 

Luigi Brugnaro al Salone nautico di Venezia

La voglia di candidarsi a sinistra contro Brugnaro in città scarseggia. Il che è una spia della difficoltà della battaglia, ma anche della poca chiarezza dei punti programmatici su cui pensare uno sviluppo alternativo per Venezia. Se il centro sinistra saprà far intravedere una città diversa, riqualificata nelle sue funzioni, vivificata nella sua residenzialità, con un turismo controllato, e sarà capace di far pesare il suo progetto come ultima chance data alla città per la sua sopravvivenza, riuscirà anche mobilitare a suo sostegno la cittadinanza. E in questa prospettiva, l’uscita di Cacciari rischia invece di ricalcare i vecchi schemi, per quanto animata da un disegno politico di ampio respiro. 

La sfida in gioco per il centro sinistra è che serve un progetto radicale, netto, che sappia esprimere che cosa vuole fare in alternativa a Brugnaro, ormai chiaramente orientato a svuotare Venezia delle sue funzioni di città a favore del suo impiego economico. Forse è questo il linguaggio giusto da usare anche con i 5Stelle, non quello delle sacrestie del potere che sarebbe opportuno lasciarci alle spalle. 

Se alla fine del lungo percorso si riuscirà a formularlo, bene. Altrimenti tanto vale che lasciamo pure che governi Luigi Brugnaro, di certo più bravo di molti a procedere sulla scorta di quella cultura dello sviluppo propria del Novecento produttrice dei disastri che abbiamo sotto gli occhi. Una cultura che per Venezia comporta ormai il rischio della sua sparizione, di cui anche certa sinistra tentennante farebbe bene quanto prima a liberarsi per tornare a parlare con voce chiara e autonoma alla città, uscendo finalmente dal rapporto ancillare che la lega all’ingombrante primo cittadino.

Il rompicapo di Cacciari per riconquistare Venezia ultima modifica: 2019-06-21T20:30:40+02:00 da BÄRBEL SCHMIDT
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