Oltre la Biennale, testo e linguaggio

Una mostra per ricordare che la Biennale, pur senza volerlo, toglie visibilità alla vivace vita artistica veneziana.
FRANCO AVICOLLI
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La mostra collettiva “Oltre la Biennale, testo e linguaggio” riunisce opere di venti artisti veneziani. Il titolo non ha intenzioni polemiche e neppure mira a proporre un qualche paragone con la blasonata mostra veneziana. Si limita solo a constatare la dipendenza di Venezia e specialmente del mondo variegato delle arti dalla Biennale. Tuttavia, il ricorso referenziale all’ente può essere inteso anche come paradosso utile per richiamare l’attenzione sul fatto che ai pittori e agli artisti veneziani la Biennale non riserva uno spazio per diritto di appartenenza alla città che, forse, richiederebbe una riflessione, se non altro dovuta alla speciale condizione di Venezia di soggetto e oggetto storico di più arti e, quindi, protagonista di un fare di cui andrebbe data testimonianza anche nell’attualità e per il bene della cultura pittorica che sicuramente merita maggiore attenzione.

La kermesse è stata inaugurata lo scorso sabato 22 giugno presso lo Spazio Micromega Arte e Cultura (Mac) che opera senza fini di lucro, dal pittore Vincenzo Eulisse che alla Biennale di Venezia ha esposto in più occasioni. Erano presenti artisti affermati, critici, storici dell’arte e i giovani artisti che hanno aderito all’iniziativa, consapevoli delle sempre più scarse occasioni espositive.


Questo aspetto riporta di nuovo alla Biennale che, pur senza proporselo, toglie visibilità alla vita artistica veneziana molto diffusa e vivace anche nel presente e nel solco di un ruolo storico e simbolico della città. E ciò riconduce al processo di espropriazione – e il sentimento che ne deriva – molto diffuso a Venezia anche tra i “cultori della materia”, cioè tra coloro che ai vari livelli frequentano il mondo delle attività artistiche dovendo assistere non solo alla scomparsa delle gallerie d’arte, ma delle attività artigianali non solo collaterali e dei luoghi dove la pittura, la scultura e le arti visive, in generale, realizzavano anche una funzione associativa e di scambio di idee. 

Con “Oltre la Biennale, testo e linguaggio”, il Mac vuole essere un’occasione di visibilità e, nello stesso tempo, cercare di costruire un percorso qualitativamente autoselettivo attraverso la ricomposizione tra testo e linguaggio, più semplice all’esterno delle regole di mercato che condizionano l’attività artistica troppo circoscritta al giudizio accademico che accomuna arte e attività correlate con effetti che spingono potenzialmente la creatività in un esclusivo ambito professionale.

A tal fine e in modo esemplificativo, mi piace, ricordare almeno due degli espositori che hanno trovato posto presso il Mac, in virtù del loro modo appassionato e originale di cercare e trovare la vita in una materia e in una oggettistica esclusa anch’essa per essere frammento di qualche corpo eccessivamente condizionato al valore d’uso. Mi riferisco a Francesco Pastega e a Maurizio Bucca (nell’immagine d’apertura una sua opera) che sono particolarmente rappresentativi di quel senso dell’espropriazione che aleggia nella città sempre più ridotta al valore d’uso.

Francesco Pastega ama la barca con cui vive in connubio quasi vitale. Egli sente l’emozione del corpo che galleggia e, insieme, rimane compatto per effetto della pressione esercitata dall’acqua. Domandarsi del perché della passione e del desiderio che l’accompagna è un esercizio affascinante, perché il desiderio è domanda e viaggio ed è ricerca. Francesco ama credere che la barca galleggi per magia e che nell’unicità dei molti pezzi di cui è composta, essa sia una fonte di ispirazione per l’assemblaggio vitale dei corpi che, se rimanessero nella propria solitudine di pezzi, sarebbero relegati all’esterno di un sistema di relazioni di cui la barca che galleggia è un esempio.

E allora egli prende i pezzi inerti nella loro solitudine e li mette in condizione di parlare fra di loro compenetrando l’uno con l’altro nel silenzio delle crepe, nelle semplici fessure che lui vede come chiavi di una qualche porta nascosta che si apre su una forma e su una nuova vita. È simile al procedimento che mette assieme le lettere dell’alfabeto le cui possibili combinazioni prendono significato per una percentuale inferiore all’uno per cento.

Ma in tutto ciò accade che i pezzi destinati alla fine, trovino una loro possibilità di essere altro nel loro valore metaforico di un mondo che si cerca in una specie di moto perpetuo che sfida il limite senza diventare senso compiuto, ma solo una sua possibilità permanente. Un po’ come avviene con la cultura che ricombinando tra di loro i saperi scrive un nuovo messaggio di futuro e di speranza.

Maurizio Bucca, dal suo canto, interviene su materiali da imballaggio, ferro, e su una materia che nel sentire comune sta diventando sempre più un incubo, su quella plastica alimentatrice degli incubi di un mondo dove l’invasione appare come una forza inarrestabile e indistruttibile, generatrice perciò di paure incontrollabili.

Bucca affronta direttamente il pericolo avendo scoperto che esso è parte consustanziale del ciclo pernicioso che circoscrive il valore della cosa al suo uso. Egli prende allora la plastica e letteralmente la rimodella con la fiamma ossidrica o con altre fonti di calore e altri strumenti meccanici, la addomestica dandole forma e la sottrae, così, al processo inesorabile che riduce ogni cosa ad un valore circoscritto al suo uso. Le forme colorate che escono dall’azione del calore sembrano sorridere dopo la metamorfosi e nella nuova veste che affronta, metaforicamente vittoriosa, un mondo che non riesce a dare alle cose un senso oltre il loro uso.

La fiamma ossidrica diventa una specie di alito che riporta in vita ciò che fino a qualche istante prima veniva percepito come pericolo, come materia morta dannosa di cui è difficile liberarsi, un senso entrato nella quotidianità con l’unica valenza negativa data alla plastica. Maurizio interviene su di essa e la riafferma in quanto materia e come valore che può essere permanente se liberato dal suo valore d’uso.

Con Bucca, Eulisse e Pastega espongono Andreina Battel, Bruno Blenner, Roberto Cannata, Sissi Di Martino, Bruno Grossi, Florian Grott, Antonio Giancaterino, Jerka, Silvestro Lodi, Serena Nono, Patrizia Pegoraro, Jei Romanelli,  Carlo Tessarolo e Andrea Pagnacco venuto da Basilea per l’occasione. Nella circostanza ha avuto modo e piacere di dire che ogni volta che torna alla sua città natale, viene colpito dalla qualità e quantità di artisti o aspiranti artisti, riecheggiando un dire frequente di Eulisse che lamenta spesso l’assenza di visibilità dei numerosi giovani di talento che frequentano l’Accademia delle Belle Arti di Venezia. 

La mostra è aperta al pubblico dal venerdì alla domenica e dalle 18,00 alle 20,00 e per accedere bisogna suonare il campanello. Attende il maestro Vincenzo Eulisse.

Oltre la Biennale, testo e linguaggio ultima modifica: 2019-06-25T17:54:30+02:00 da FRANCO AVICOLLI
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