Jesolo, possibile meta di turismo culturale?

Una serie di sculture di Maestri italiani, installate nelle piazze di Jesolo, prelude a un’auspicabile apertura culturale per la città balneare.
ENNIO POUCHARD
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Sono più di cinque milioni i turisti che ogni anno scelgono di trascorrere le vacanze estive a Jesolo; turisti balneari, ovviamente, ai quali Andrea Vizzini – pittore, scultore (e architetto, filosofo, organizzatore di mostre ed eventi, nonché, da quest’anno, scrittore), qui residente da svariati decenni, lontano dalla natia Trinacria – si propone di infondere interessi artistici, con il tramite dell’Associazione Culturale FAIarte A.P.S. di cui è direttore artistico e nell’ambito del progetto Tempi interessanti per la nostra storia, esplicitamente riferito al tema May you live in interesting times mutuato da Ralph Rugoff per la contemporanea Biennale veneziana, ispirandosi a una parabola ritenuta cinese da qualcuno e smentita da altri.

A Jesolo è radicata la tradizione delle sculture di sabbia, ed è un dato statistico ufficializzato che esse hanno attratto fin dall’inizio schiere di visitatori. Orbene, qualcosa del genere è quanto Vizzini mira a conseguire con una serie di mostre improntate sulla tipologia di quella intitolata JesoloArte (S)cultura in piazza, ora allestita, curata dal critico torinese Alberto Fiz – con il coordinamento organizzativo di Leda Vizzini ed Enrico De Mitri e l’allestimento dello stesso Andrea Vizzini – che comprende bronzi di Giacomo Manzù e Augusto Perez e un granito di Francesco Messina, resi disponibili fino al 20 settembre dal milanese Studio Copernico di Nicola Loi. 

Perché no? Quel che conta è il rigore delle scelte e la professionalità degli organizzatori, che in questo caso è garantita.

Nel panorama dell’arte italiana del secolo scorso i tre artisti esprimono poetiche risalenti rispettivamente a eventi del quotidiano, della mitologia greca e della Genesi biblica, che in parte filtrano dalle loro biografie, qui di seguito delineate essenzialmente.

Partiamo da Messina, il più anziano: nasce a Linguaglossa, nel Catanese, nel 1900, figlio di povera gente, e campa novantacinque anni; studia e vive a Genova fino al 1932, quando si trasferisce stabilmente a Milano. È autore di monumenti tra i più significativi realizzati in quegli anni nel nostro paese, disseminati nei musei più prestigiosi del mondo; per parlare solo di Roma, ricordiamo la Santa Caterina da Siena del Lungotevere di Castel Sant’Angelo (con l’attrice e cantante Maria Sole quale modella), il Monumento a Pio XII nella Basilica di San Pietro e il Cavallo morente della RAI, esposto all’ingresso della sede principale dell’azienda; a Roma è certamente il più familiare per un pubblico di amateur generici. Carlo Carrà ha scritto del fare “semplice e grandioso, e per procedimento idealistico e classico”, che caratterizzava la sua scultura, poiché “in grado di dare vita a forme che restano come immagini ideali”.

La scultura di Messina esposta a Jesolo in piazza Carducci: gli sguardi di Adamo ed Eva (foto Andrea Vizzini)

Manzù, che lo segue per età e dei tre è il più noto, nasce nel 1908 – figlio di un calzolaio e sagrestano bergamasco già padre di altri undici figli – e muore nel 1991; diventa molto presto intagliatore nel legno e, ventenne, durante il servizio militare a Verona, ha l’occasione di avvicinarsi ai calchi per il bronzo. Lo si trova a Parigi nel ’29 e subito dopo a Milano, dove esegue su commissione dell’architetto Giovanni Muzio la decorazione della cappella dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, che finirà per costituire la sua piattaforma di lancio. Nel ’32, infatti, espone in una collettiva della Galleria del Milione, pochi mesi dopo è alla Triennale milanese e nel ’38 dà l’avvio alla serie dei Cardinali, soggetto principe della sua fama; della quale saltiamo il decorso per citare solo la Porta della Morte per la Basilica di San Pietro in Vaticano. Per quel che segue, da lui vissuto tra i leader della grande scultura in Italia, mi soffermo unicamente sul suo ritiro, nel ’64, in una villa nei pressi di Ardea, su un sito oggi ribattezzato Colle Manzù, perché lì l’ho potuto incontrare. 

Abbiamo parlato a lungo, in particolare sul lavoro della fonderia che aveva fatto costruire lì accanto e in quel mentre stava per mettere in opera, appunto, la fusione di uno dei grandi Cardinali. Alla mia proposta di seguire insieme quest’operazione, per me affatto nuova, ha risposto “io non ci vado mai e non permetto a nessuno di andarci; lei però ci vada pure, però si renda conto di essere il primo autorizzato a fotografare l’intero procedimento. Poi mi manderà le foto…”. E così è stato.

Augusto Perez, infine, nato a Messina nel 1929, trasferitosi a Napoli nel 1936 e lì vissuto fino al 2000, studia architettura ma nel ’51 l’abbandona per dedicarsi in esclusiva alla scultura. Diventa assistente di Emilio Greco, è presente alla Quadriennale di Roma, alla Biennale di Venezia, a eventi notevoli come la rassegna negli USA Italy three directions, e ad altri in giro per il mondo. In quel frattempo inventa una forma scultorea dai forti accenti plastico-narrativi con i quali bypassa tutte le tendenze neorealiste del tempo. Quanto ai riconoscimenti ricevuti, forse basta rammentare un sondaggio relativo al Premio Cagli che poneva il suo nome tra i primi cinque artisti italiani, assieme a Burri, Guccione, Schifano e Vedova.

Perez, la Sfinge, particolare della Porta esposta a Jesolo in piazza Drago (foto Ennio Pouchard)

“Tre Maestri della scultura italiani” sono definiti nella letteratura della mostra di Vizzini; eppure – lo credereste? – ne ho parlato con alcuni giovani presumibilmente colti che ho incontrato in questi giorni a Jesolo, nessuno dei quali ha mostrato di conoscere non dico la loro storia, ma almeno i loro nomi. A ragione Alberto Fiz ricorda che Francesco Messina, nell’autobiografia Poveri giorni (1974), inseriva questa previsione: “Il pensiero che più mi sgomenta è la quasi certezza che uomini come me saranno assai presto considerati fossili preistorici”. Il che DEVE spingerci a insistere su queste iniziative: benemerite semplicemente perché arrendersi a un tale diffuso disinteresse, che non è solo storico, bensì parte vitale di quello che siamo tutti noi, porta a contribuire al disfacimento del bene imponderabile dell’eredità culturale che ci è stata lasciata.

Dopo questo cumulo di premesse passiamo alla mostra, che si snoda tra piazza Marconi per Manzù, piazza Carducci per Messina e piazza Drago per Perez.

Manzù è presente primieramente con uno dei suoi maestosi Cardinali, in una versione del 1983 che lo raffigura seduto.

Manzù, il Cardinale esposto a Jesolo, in piazza Marconi (foto Andrea Vizzini)

Ma la naturale pulsione dell’artista di penetrare il senso della vita quotidiana riemerge lì di fronte, nei tre bronzi minori delle asettiche Gemelle del 1970 e delle due civettuole versioni (prima metà anni Ottanta) di Tebe, la giovane modella prediletta, vista seduta su una sedia e accovacciata in poltrona in un’aura di innocente sensualità.

Fiz trova in esse un fil rouge con la ricerca in cui era stata coinvolta fin dagli anni quaranta “la moglie-musa Inge”.

L’arte di Messina si esprime nell’Adamo ed Eva in granito rosa (1970); opera priva di tutti i consueti attributi dell’albero, mela e serpente, consta di due innamorati nudi, strettamente abbracciati. Alla rielaborazione metodica di questo tema l’artista si era dedicato sin dal 1947.

Messina, Adamo ed Eva, esposta a Jesolo in piazza Carducci (foto Andrea Vizzini ed Ennio Pouchard)

Per il curatore “guardano estasiati verso l’alto”, mentre a mio avviso il loro è uno sguardo fisso lateralmente su un quid che sa di tenebroso, di un temuto occulto: la cacciata dal Paradiso terrestre?

Monumentale è il portale di Perez in bronzo nero La notte (Edipo e la Sfinge), in cui “si attua un vertiginoso processo di rimando da immagine a immagine” (Fiz). L’imponente struttura, larga più di quattro metri, rappresenta anzitutto – secondo me – il varco insuperabile verso un futuro costruito sul patto della Sfinge: rispondi al quesito o muori. 

C’è un catenaccio che sigilla la porta, bloccato al centro da una mano, che priva com’è di qualsiasi riferimento si può identificare con il mistero. La scena si presenta con la Sfinge sul lato estremo sinistro, assisa su un pilastro, cui si contrappone, all’estrema destra del monumento, la figura intera, alta quasi quanto l’opera, di Edipo, plasticamente possente e visto di schiena. Perez crea un’esaltazione drammatica del racconto: che non si conclude con la morte della Sfinge e il trionfo di lui, ma prosegue verso la tragedia che lo attende, quando, trionfante, sposa la regina che costituiva il suo premio, per scoprire solo dopo di esserne il figlio.

La grandezza di Perez è nell’aver saputo concentrare tale cumulo di argomenti e significati in forme che di quel tutto non sono che un duro simbolo carcerario. 

In Italia, frattanto, correvano i tempi del postmoderno, del digitale, dell’eclettismo formale più scatenato.

Perez, la grande porta La notte (Edipo e la Sfinge) esposta a Jesolo in piazza Drago (foto Ennio Pouchard)

Altre due sculture ugualmente aspre, Terrae motus e Kronos, godono del privilegio di essere situate, tra zampilli d’acqua, sullo spiazzo antistante le svettanti Torri gemelle (erette nel 2012 dall’architetto veneziano Maurizio Ghezzo, in conformità al Masterplan di Kenzo Tange), il cui nitore formale esalta per contrasto i temi della forza di natura e dell’inarrestabile fluire del tempo elaborati dallo scultore.

Perez, Terrae Motus e Kronos, esposti a Jesolo in piazza Drago (foto Andrea Vizzini ed Ennio Pouchard)

Per concludere cito ancora Fiz:

La Notte, dunque, è il luogo della scultura da cui si apre l’esposizione di Jesolo dove ciascuno sceglie il suo percorso in un dedalo di vie e la storia s’incrocia con l’attualità.

Jesolo, possibile meta di turismo culturale? ultima modifica: 2019-06-27T13:07:02+02:00 da ENNIO POUCHARD
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