In un’epoca in cui la Storia e la memoria sono sempre più considerate inutili, superflue e quindi da non coltivare, la casa editrice Zolfo, con coraggio, ha ridato alle stampe il libro di Michele Pantaleone Il sasso in bocca. Come la mafia conquistò l’Italia, pubblicato nel 1970 e da tempo introvabile in libreria. All’epoca della sua uscita fu un best seller, come ricorda nella prefazione a questa edizione Gaetano Savatteri, scrittore e giornalista siciliano, preceduto, qualche mese prima, da un film documentario di successo, per la regia di Giuseppe Ferrara, dallo stesso titolo, di cui si riporta una testimonianza nella parte finale del volume. Alla fine degli anni Sessanta e nei primi anni Settanta l’attenzione dell’Italia era concentrata su tutt’altro.
Il movimento degli studenti e degli operai infiammava il Paese, la strategia della tensione messa in atto per contrastarli, con la complicità di settori deviati dello Stato, diede corso a stragi terribili mietendo vittime innocenti, cercando di diffondere la paura e alimentando un clima di confusione. Di mafia si parlava poco o nulla, quel poco relegato nelle cronache locali, mentre era ancora largamente prevalente, anche tra politici e magistrati, la negazione della sua stessa esistenza. È esattamente in questo contesto che Michele Pantaleone, dirigente politico della sinistra siciliana scrive Il sasso in bocca.

Non è il suo primo lavoro sull’argomento, in precedenza aveva scritto Mafia e Politica e Mafia e droga pubblicati entrambi da Einaudi, e tanti ne seguiranno nella sua lunga militanza antimafia. Un interesse determinato dai fatti: Pantaleone nasce a Villalba, in provincia di Caltanissetta, nel paese del potente boss don Calò Vizzini; assiste il 16 settembre del 1944 all’assalto condotto con armi da fuoco e bombe a mano da parte dei mafiosi mentre era in corso, nella piazza del paese, il comizio dell’onorevole Girolamo Li Causi, dirigente comunista, rimasto ferito insieme a molti dei partecipanti; vede con i propri occhi la crescita e lo sviluppo dell’organizzazione criminale e la sua conquista della Sicilia, dell’Italia e anche degli Stati Uniti. E lancia il suo grido d’allarme. Da poco si è concluso, con l’assoluzione di tutti i 113 imputati, il processo di Catanzaro contro la mafia siciliana, è il 1968. E forse non sarà un caso se solo qualche anno dopo fu mandato a Catanzaro anche il processo per la strage di Piazza Fontana, a Milano, sperando in un medesimo risultato.

Ne Il sasso in bocca Pantaleone ricorda la storia più recente della mafia, i reati che via via la caratterizzano dall’abigeato fino alla droga e agli affari, ne sottolinea la particolarità per cui
la capacità di penetrazione di un “Don” nel tessuto politico del paese si misura in base alla sua capacità di stabilire rapporti con i notabili politici e fare in modo che tali rapporti leghino, quanto meno moralmente, il politico alla mafia.
Documenta le circostanze in cui
la mafia ha potuto crescere, rafforzarsi, trasformarsi da strumento nato al servizio di forze economiche per la difesa dei diritti e delle prerogative feudali, in forza economica-politica ed ha saputo dettare la sua legge nella Sicilia occidentale, ove è diventata Stato nello Stato.
Il libro è pieno di aneddoti, va avanti e indietro nel tempo, e anche da un continente all’altro ricordando, ad esempio, che dei trecento capi dell’epoca di Cosa Nostra americana quasi tutti sono nati in Sicilia, o da genitori siciliani nati anch’essi in un raggio di appena trenta chilometri.
Il sasso in bocca è un libro attuale. Leggendolo si scopre che l’antimafia non è nata nel nostro Paese, e in particolare in Sicilia, solo dopo l’uccisione di Falcone e Borsellino, ma già nel secondo dopoguerra, dopo la liberazione, la mafia eliminava i suoi oppositori:
58 dirigenti politico-sindacali dei partiti di sinistra sono stati assassinati durante le lotte per le terre; 29 sedi di camere del lavoro e di partiti di sinistra sono state incendiate o distrutte con esplosivi
e anche all’interno dei partiti di governo venivano eliminati coloro che si opponevano tanto che
cinque dirigenti della Dc sono stati uccisi durante le diverse campagne elettorali, alla vigilia di diventare deputati.
Anche con la Chiesa il rapporto della mafia era all’epoca assai ambiguo. Pantaleone ricorda che don Calò Vizzini ad esempio aveva due fratelli sacerdoti pienamente coinvolti nei suoi affari e consapevoli del ruolo che aveva. Sono ancora lontani i tempi di don Puglisi o della condanna della mafia da parte di papa Giovanni Paolo II che arriveranno solo cinquanta anni dopo.
A proposito del “sacco di Palermo”, lo scempio edilizio che travolse la città, nel libro si ricorda che a soli quattro prestanome, analfabeti e nulla tenenti, erano state intestate ben 1.465 licenze di costruzione. La mafia insomma s’allargava e agiva indisturbata sotto gli occhi di tutti. Negli Stati Uniti dal punto di vista finanziario, spiega Pantaleone, già allora
Cosa nostra è la maggiore impresa del mondo. Si calcola che le sue entrate superino i trenta miliardi di dollari l’anno e che procuri introiti agli affiliati superiori agli introiti delle dieci maggiori società industriali americane messe assieme.

Ci sono intuizioni fulminanti: quella del “congegno” termine con cui si definiscono i nuovi rapporti tra mafia, politica ed economia, e la definizione tra le più utilizzate nel corso degli ultimi decenni (forse senza conoscerne l’ideatore) che “nulla è mafia se tutto diventa mafia”. Un richiamo forte al discernimento, all’analisi, alla comprensione ed allo studio scrupoloso dei fatti. E si anticipa un concetto che prenderà consistenza solo molti decenni dopo: per battere la mafia non sono sufficienti solo leggi e attività repressive, serve un’arma più potente, l’indignazione e la mobilitazione dell’opinione pubblica. A questo proposito oltre a riportare un articolo del Time in cui appunto si sostiene che
oltre a nuovi regolamenti e a energiche applicazioni degli stessi il paese ha bisogno di un’altra arma ancora più potente: l’indignazione pubblica
in conclusione riflette che
oggi, a otto anni dalla costituzione della Commissione Antimafia, siamo allo stesso tempo più vicini e più lontani dalla sconfitta della mafia. Siamo più vicini, perché l’opinione pubblica nazionale ha acquisito coscienza della pericolosità del fenomeno; siamo più lontani perché il problema mafia-partiti politici-pubblici poteri è ancora fermo all’origine, cioè al tempo della mafia che usava il delitto come mezzo per conseguire il fine della accumulazione della ricchezza, sapendo però di non dovere dare conto alla giustizia.
Era il 1970. Il 416bis, l’articolo del codice penale che riconosce e persegue l’organizzazione mafiosa, è del 1982 e bisognerà aspettare ancora un decennio, e tanti morti, prima che la mafia fosse messa alla sbarra e ricevesse un colpo significativo sul piano giudiziario con il maxi processo di Palermo. Ecco perché Il sasso in bocca è ancora un libro prezioso: ci fa capire da dove si è partiti nella lotta alle mafie e dove si è arrivati, quali sono ancora oggi i punti deboli e i passi da compiere, la capacità di diffusione delle mafie in tutto il Paese e il ritardo con cui se ne è compresa e registrata la presenza nelle regioni del nord, e soprattutto ci ricorda che senza le denunce, le battaglie e i sacrifici di quelli come Pantaleone forse non avremmo avuto i risultati e gli strumenti che poi abbiamo avuto in termini giuridici, politici e sociali.

Nell’immagine d’apertura una scena de Il sasso in bocca, film diretto da Giuseppe Ferrara e tratto dal libro omonimo di Michele Pantaleone (1969)

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