Un’amica, piccola collezionista, mi ha fatto vedere con entusiasmo la sua raccolta di cose varie: dipinti, disegni, sculture, e curiosità di vario tipo. Era entusiasta di poter far vedere a qualcuno quanto aveva raccolto in diversi anni, assieme a suo marito. Non era in verità una gran collezione: un po’ disordinata, senza un ordine preciso e, direi, improvvisata da persone che amavano circondarsi da oggetti più o meno belli, trovati qua e là.
Però quello che mi colpì era la storia che per ognuno di essi lei mi raccontava, con grande affetto per la sua raccolta.
Iniziava così il primo articolo di Franca Semi su questa rivista, una recensione de L’orologio di Orfeo, di Simon Goodman.
Leggendo quelle parole mi tornò alla mente un testo di Jorge Luis Borges, Le cose. E in modo, forse, irrituale, lo pubblicai nell’area dei commenti.
Le monete, il bastone, il portachiavi,
la pronta serratura, i tardi appunti
che non potranno leggere i miei scarsi
giorni, le carte da gioco e la scacchiera,
un libro e tra le pagine appassita
la viola, monumento d’una sera
di certo inobliabile e obliata,
il rosso specchio a occidente in cui arde
illusoria un’aurora. Quante cose,
atlanti, lime, soglie, coppe, chiodi,
ci servono come taciti schiavi,
senza sguardo, stranamente segrete!
Dureranno piú in là del nostro oblio;
non sapran mai che ce ne siamo andati.
Pensando alla scomparsa di Franca Semi, l’attacco di quell’articolo e la poesia in prosa di Borges, le associo alla sua bella casa veneziana, luminosa e piena di begli oggetti. Raccontano una vita, viaggi, ricordi, episodi, momenti di gioia condivisi con l’amato Gianni.
Quell’amica collezionista, non sarà stata Franca stessa? Di certo diceva qualcosa di lei, del gusto del dettaglio, della ricerca del raffinato. Che poi era anche legato a uno spiccato spirito di osservazione. Lo troviamo evidente nel suo ultimo articolo, un testo dichiaratamente autobiografico, in cui si racconta di un viaggio nella Moldova, diversi anni fa, alla ricerca dei tanti indizi della presenza ebraica che aveva caratterizzato per lunghe epoche la capitale, Chişinău, tracce che Franca aveva osservato prima d’intraprendere il viaggio, a partire semplicemente dalla visione di Google map.
Non nascosi la mia perplessità, quando mi propose di scrivere a proposito di fatti accaduti anni prima, qualcosa di personale. Naturalmente l’invio era accompagnato come sempre dalla raccomandazione, tutt’atro che formale, di pubblicarlo solo se l’avessi considerato, appunto, pubblicabile.
Certo che lo era. Lo considero uno degli articoli più originali e intelligenti che abbiamo finora pubblicato.
Una città di cui a malapena si sa il nome, diventava – leggendo l’articolo di Franca – la meta imprenscindibile del prossimo viaggio.
Questo spirito d’osservazione era anche, probabilmente, la ragione e al tempo stesso la conseguenza dei suoi studi d’architettura e del suo interesse per l’opera di Carlo Scarpa, di cui fu allieva e collaboratrice. Di Scarpa seguì e trascrisse le lezioni, raccogliendole in un bel volume, indispensabile per chiunque voglia studiare il Maestro veneziano.

Attraverso esse – scrive Guido Pietropoli su ytali – è possibile attingere la freschezza della sua didattica e il rapporto raro che seppe instaurare con gli allievi. È lo stesso rapporto senza paludamenti e in forma discorsiva che egli intrattiene in questo libro, la cui seconda edizione è ampiamente giustificata dal desiderio di sedersi al suo fianco per sondare la sua complessa personalità, la sua umanità.
Originalità e sensibilità erano anche il tratto di una venezianità colta ed esigente. Grande la sua sofferenza di fronte all’avvitamento della sua città intorno a un’avidità distruttiva senza limiti. Emblema la trasformazione del Fontego dei Tedeschi in uno store di superlusso. Memorabile, su ytali, la stroncatura del progetto e della sua realizzazione. Da rileggere.
Di ytali Franca è stata collaboratrice e sostenitrice. Ci mancherà molto. Alla famiglia va il nostro cordoglio.
Martedì 2 luglio, ore 11, i funerali nella chiesa di San Giovanni e Paolo

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