Con le elezioni del 23 giugno Istanbul ha un nuovo sindaco. Ekrem İmamoğlu del partito dell’opposizione Chp ha sconfitto lo sfidante Binali Yıldırım dell’Akp al governo. Il partito di Erdoğan e i suoi precursori politici amministravano la città dal 1994 quando proprio l’attuale presidente ne divenne sindaco.
İmamoğlu ha ricevuto il 54,2 per cento delle preferenze, contro il 44,9 per cento del rivale. Un divario molto maggiore di quello delle elezioni dello scorso 31 marzo, in seguito cancellate, in cui l’opposizione aveva prevalso di soli 0,3 punti percentuali, ovvero circa 30.000 voti, scesi poi a 13.000 dopo un riconteggio ordinato dallo Ysk, il Consiglio elettorale supremo. Proprio questo organismo aveva successivamente ordinato l’annullamento del risultato dopo diciotto giorni dall’insediamento di İmamoğlu a primo cittadino della metropoli turca, adducendo che le commissioni di alcuni seggi non erano composte da funzionari statali come previsto dalla legge.
Questa volta İmamoğlu si è assicurato una vittoria più cospicua, ottenendo 800.000 voti di scarto e conquistando undici dei distretti che precedentemente avevano appoggiato Yıldırım, incluse alcune roccaforti governative come Fatih e Üsküdar. L’affluenza è stata dell’ 84,5 per cento rispetto all’84 per cento delle scorse elezioni.

Complici della vittoria alcuni errori tattici da parte dell’Akp, e la rinuncia di molti candidati indipendenti e della maggior parte degli altri partiti a partecipare nuovamente, favorendo così İmamoğlu. Parte della sua vittoria è dovuta anche al coinvolgimento di parte degli astenuti e di scontenti tra le fila dell’Akp.
L’Akp ha infatti compiuto diversi passi falsi nei mesi tra le due elezioni. All’inizio ha tentato di screditare il candidato rivale, originario di Trebisonda sul Mar Nero, accusandolo di essere un cripto-greco (e quindi cristiano) – riferendosi alla comunità greca che abitava la costa pontica fino agli inizi del Novecento – e di essere in combutta con Atene, spauracchio della Turchia.
L’elettorato del Mar Nero, tendenzialmente conservatore e nazionalista e con una cospicua presenza a Istanbul, ha però reagito negativamente a questa mossa, accogliendo invece con bagni di folla İmamoğlu ai comizi che ha tenuto nella sua regione di origine nella settimana di festa alla fine del Ramadan.
Allo stesso tempo l’Akp ha tentato di ottenere il sostegno dei curdi, che avevano contribuito al successo di İmamoğlu il 31 marzo. Una mossa non gradita agli ultranazionalisti del Mhp, in coalizione con il partito di Erdoğan. Dopo un comizio di Yıldırım a Diyarbakır nella regione curda, in cui il candidato ha fatto riferimento al Kurdistan (parola che normalmente è anatema), è cominciata una schermaglia mediatica in cui è comparso anche Abdullah Öcalan, leader del Pkk, organizzazione curda separatista, considerata come terroristica da Turchia, Ue e Usa.
Al militante curdo, che si trova in carcere di isolamento, è stato permesso di vedere i suoi legali per la prima volta in otto anni. Sui media è stata successivamente fatta circolare la notizia che Öcalan, figura estremamente rispettata negli ambienti curdi, abbia invitato i suoi sostenitori a non recarsi alle urne. Selahattin Demirtaş, esponente di spicco del partito filo-curdo Hdp, dal carcere in cui si trova ha fatto sapere che il suo partito non avrebbe cambiato linea politica. L’Hdp aveva deciso di non candidarsi il 31 marzo nell’ovest del paese, invitando i suoi elettori a votare per la coalizione anti-Erdoğan.
Nonostante la diffidenza di molti curdi nei confronti del Chp, le aperture dell’Akp non solo non hanno sortito gli effetti sperati sulla minoranza etnica, che ha appoggiato il candidato vincente, ma hanno inoltre infastidito il partito e l’elettorato ultranazionalista.

Mentre İmamoğlu durante la campagna elettorale ha mantenuto la retorica e il tono che gli avevano garantito il successo alle elezioni di marzo, ponendo l’inclusione, la trasparenza e le esigenze dei cittadini al centro del dibattito, l’Akp ha attuato un cambio di rotta. Il presidente Erdoğan, che aveva condotto di persona la campagna per il suo candidato a marzo, questa volta è rimasto in disparte. La retorica divisiva delle precedenti elezioni, che bollava l’opposizione come terroristi e traditori, è stata abbandonata in favore di tematiche più vicine ai cittadini.
Tuttavia il nuovo slogan e il nuovo programma di Yıldırım sono stati in larga parte copiati da quelli proposti dal rivale e non hanno convinto in molti al di fuori del (cospicuo) nucleo di fedelissimi.
A peggiorare le cose per l’Akp sono state le condizioni dell’economia, che nonostante le promesse di riforma del governo, non sono affatto migliorate nei mesi tra le due elezioni, e il controverso annullamento delle elezioni di marzo. Infatti la decisione dello Ysk, se ha suscitato l’indignazione dell’opposizione, non ha convinto nemmeno una parte, anche se modesta, dell’elettorato del presidente.
Il passaggio di consegne di Istanbul, per la prima volta in mano a un partito non islamico-conservatore in venticinque anni, è estremamente significativo. La metropoli sul Bosforo è, con sedici milioni, la città più popolosa della Turchia, nonché il suo centro economico (produce da sola un terzo del Pil nazionale). Al di là dello schiaffo personale per Erdoğan, nativo della città, che è stata il suo trampolino di lancio nel 1994, il controllo della città, con un budget per il 2019 stimato a circa 3,5 miliardi di euro, rappresenta un’importantissima fonte di guadagno e rete di nepotismo e favoritismi, che l’Akp ha abilmente sfruttato in questi anni per rafforzare la sua presa su tutto il paese.
Il nuovo sindaco, insediatosi il 27 giugno, già dalla sua prima vittoria a marzo aveva annunciato che avrebbe reso disponibili i conti pubblici passati e futuri. La vittoria di Pirro dell’Akp nelle elezioni amministrative – vittoria a livello nazionale ma sconfitta in cinque delle sei maggiori città del paese, la parte più produttiva della Turchia, e in altre località – segna la prima sconfitta del partito in diciassette anni.

Anche se è presto per annunciare il tramonto di Erdoğan, il quale d’altronde con la nuova riforma presidenziale ha maggior voce in capitolo per quanto riguarda i budget comunali, è ormai evidente che, nonostante il controllo quasi totale sui media, la sua politica non risulta convincente a circa metà del paese.
L’Akp per mantenersi al governo è sempre più costretto ad appoggiarsi all’ultranazionalista Mhp, partner di coalizione, che però ha raggiunto notevoli risultati in alcune località in cui i due partiti si sono presentati singolarmente fronteggiandosi a vicenda. İmamoğlu, che rappresenta il culmine di un processo di lenta ma graduale maturazione del Chp, partito costantemente all’opposizione dal 2002, viene già salutato da alcuni come possibile avversario di Erdoğan alle elezioni presidenziali previste per il 2023, centenario della fondazione del paese ad opera di Atatürk, del cui partito il nuovo sindaco è membro.
Molto dipenderà da come amministrerà Istanbul nei prossimi anni.

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