Quando al dibattito tra i candidati alle primarie democratiche Kamala Harris, la cinquantaquattrenne senatrice della California, ha attaccato l’ex vice presidente e frontrunner Joe Biden, molti non se l’aspettavano. Probabilmente neppure “Amtrak Joe”. Giornalisti e analisti continuavano ad indicare Harris come l’altra metà di un dream ticket presidenziale guidato proprio da Biden. Kamala, come i supporters la chiamano, ha fatto capire che non sta correndo per una posizione da vice. Corre per diventare il candidato democratico che sfiderà Donald Trump nel 2020.
Lo stupore si poteva legger chiaramente sul viso di Biden. L’ex vice presidente è stato criticato da Harris per una polemica sulle questioni razziali. Qualche giorno fa Biden aveva lodato la propria capacità di guardare agli interessi del paese e di saper raggiungere compromessi con i repubblicani, citando come esempio la sua relazione con alcuni senatori segregazionisti.
Ovviamente la dichiarazione non è passata inosservata e Biden ha dovuto precisare e poi rettificare le sue parole. E proprio su questo punto Kamala Harris, madre indiana e padre giamaicano, l’ha attaccato, guardandolo negli occhi, tra gli applausi del pubblico:
Non credo che lei sia un razzista […] ma lei ha lavorato con loro per opporsi al “busing” (servizio di bus governativo per combattere la segregazione contro il quale Biden si oppose per tutelare i diritti dei singoli stati nei confronti del potere federale, ndr). E vede c’era una giovane ragazza in California […] che veniva portata a scuola da questi bus ogni giorno. E quella ragazza ero io. Su questo tema non ci può essere un dibattito intellettuale tra i Democratici. Dobbiamo affrontarlo seriamente
Un duro colpo per Biden che ha lanciato la propria candidatura ricordando gli eventi di Charlottesville. E un momento fondamentale per la campagna di Harris che dopo un buon inizio aveva perso terreno di fronte alla passione dei media per il sindaco Pete Buttigieg e la senatrice Elizabeth Warren.
Prima del dibattito, un sondaggio di Nathan Silver mostrava un chiaro vantaggio dell’ex vice-presidente Joe Biden (35 per cento), seguito da Bernie Sanders e Elizabeth Warren. Kamala Harris era quarta ma molto distanziata dai tre. Dopo il dibattito i consensi per Biden restano ancora alti, anche se risulta molto più indebolito. Kamala Harris invece ha compiuti un salto, unendosi a Sanders (in calo) e Warren tra gli inseguitori dell’ex vice-presidente.
Circa un sostenitore di Biden su dieci è passato a Harris dopo il dibattito. La senatrice della California è diventata quindi la principale beneficiaria della non ottima performance e della perdita di sostegno di Biden. Un quarto dei nuovi sostenitori di Harris dopo il dibattito proviene proprio dal campo di Biden. Il resto Harris l’ha preso da Warren, Buttigieg e Sanders. Solo un terzo dei suoi supporter post-dibattito erano suoi sostenitori prima del dibattito.
Harris è una delle cinque candidate alle primarie democratiche americane, una prima volta nella storie delle primarie. La novità è stata sottolineata anche dalla rivista Vogue che ha dedicato loro un servizio fotografico, diventato virale in breve tempo. Oltre a Kamala Harris, sono infatti candidate Elizabeth Warren (senatrice del Massachusetts), Amy Klobuchar (senatrice del Minnesota), Kirsten Gillibrand (senatrice di New York) e Tulsi Gabbard (deputata delle Hawaii).
Anche se di queste solo Harris e Warren sono in posizione competitiva, nulla toglie al fatto che le elezioni di Midterm dello scorso anno abbiano consegnato un Partito Democratico molti diverso dal passato: più multirazziale, più femminile, più progressista.
Kamala Harris è una delle punte di diamante di questo nuovo corso dem. Determinata e coraggiosa, la sua storia personale è quella dei “trailblazers”, quelli che aprono la strada alle generazioni successive.
Harris è la primogenita di immigrati. La madre giunse negli Stati Uniti per terminare un dottorato in endocrinologia all’Università di Berkeley ed era previsto che ritornasse in India per sposare un uomo scelto dalla famiglia. Scelse invece di restare negli Stati Uniti, di militare nel movimento per i diritti civili e di sposare il futuro padre di Kamala, un giamaicano che stava terminando il proprio dottorato in economia, sempre a Berkeley, anch’egli militante per i diritti civili.
Quando nasce la loro prima figlia, decidono di chiamarla Kamala, che significa “loto” ma è anche il nome di Lakhsmi, la dea indù della ricchezza e della fortuna. Perché per la madre “una cultura che onora delle divinità femminili produce delle donne forti”.
Harris passa gran parte della sua infanzia proprio a Berkeley, in California, un’università considerata particolarmente progressista. Studia poi legge e diventerà la prima donna, la prima africana-americana e la prima con origini del sudest asiatico a ricoprire il ruolo di procuratore distrettuale a San Francisco e poi procuratore generale della California.
Ruoli che la mettono in collisione con la politica, anche quella del suo stesso partito. Quando si rifiutò di sostenere la condanna a morte per un uomo accusato di aver ucciso un agente di polizia, si attirò le ire dei sindacati e della potente senatrice democratica Dianne Feinstein. Ma Kamala, personalmente contraria alla pena di morte, non si fece intimorire e rifiutò di considerare la pena di morte come un deterrente nella lotta contro il crimine.
Nel 2007 è la sola dell’establishment democratico californiano a sostenere l’allora senatore dell’Illinois Barack Obama nella corsa contro Hillary Clinton. Diventa successivamente la voce principale del partito sui temi razziali e di genere.
Nel 2017 viene quindi eletta senatrice per la California, succedendo alla storica senatrice Barbara Boxer (e diventando collega dell’altra senatrice californiana, Dianne Feinstein).
Come senatrice Kamala Harris ottiene visibilità durante le audizioni in commissione giustizia, prima torchiando il ministro della giustizia Jeff Sessions e poi il candidato giudice alla Corte Suprema Brett Kavanaugh. Durante l’audizione di quest’ultimo, accusato di aggressione sessuale, Harris chiese conto dell’opinione del futuro giudice sul diritto della donna all’aborto:
Riesce a pensare a qualche legge che dia al governo il potere di prendere decisioni sul corpo maschile?
Kavanaugh rispose che “al momento” non gliene venivano in mente. Una risposta che riassume la trasformazione maschilista e misogina del Partito Repubblicano, che Trump ha plasmato a propria immagine in questi anni.
E se fosse una donna a dover esorcizzare l’elezione del 2016? Una sorta di vendetta di Hillary Clinton che, nel giorno dopo la sconfitta, si augurava che un giorno qualcuno – “e, si spera, prima di quanto potremmo pensare” – potesse infrangere quel “soffitto di vetro più alto e più duro” che impedisce alle donne di ricoprire ruoli gerarchici del più alto livello.
Qualche problema Harris potrebbe averlo sul suo passato come procuratore. Secondo i suoi oppositori di sinistra, non avrebbe fatto tutto ciò che poteva fare per cambiare il sistema della giustizia criminale. Harris infatti non ha sostenuto i referendum per abolire la pena di morte in California e riformare la legge dei “three strikes” che trasforma automaticamente la pena in ergastolo, dopo due condanne precedenti e un crimine violento. Inoltre come procuratore Harris si è espressa contro la depenalizzazione del possesso di droga e la legalizzazione della cannabis.
Il tema della giustizia criminale e dei suoi danni sulla popolazione africano-americana e le minoranze è questione molto sentita in un paese che viene giudicato troppo forte con i deboli e troppo debole con i forti. Anche se Harris è stata sempre considerata una riformatrice e una progressista come procuratore, molti dei suoi critici in realtà ne mettono in luce i silenzi e le complicità che avrebbe dimostrato per ambizione politica.
Come varie inchieste giornalistiche hanno evidenziato, il record di decisioni di Harris è però più equilibrato di quello che lei stessa e i suoi detrattori dipingono, l’una in senso progressista, gli altri in senso peggiorativo.
Su molti temi Kamala ha posizioni liberal e progressiste. Sulla sanità, Harris sostiene il progetto di legge “Medicare for All” di Bernie Sanders e sostiene il diritto alla salute delle donne, con l’obiettivo di espandere l’accesso alla sanità in campo riproduttivo. Sull’immigrazione, ha una posizione fortemente critica nei confronti di Donald Trump, è contraria alle deportazioni indiscriminate di migranti entrati illegalmente ed è favorevole alla depenalizzazione del reato di immigrazione clandestina.
Su altre questioni ha posizioni più centriste: economia, tasse, politica estera. Favorevole alla messa al bando della armi d’assalto, sostiene comunque il secondo emendamento che garantisce il diritto di possedere armi.
Una piattaforma non molto dissimile da quella di Hillary Clinton nel 2016, di cui Maya, la sorella di Kamala, è stata il policy director.

Secondo Nate Silver, il programma, il carattere e la biografia personale la rendono una delle candidature più in grado di raccogliere consensi tra i democratici. E anche di vincere le primarie. La sua performance tra gli elettori democratici africano-americani e asiatico-americani è particolarmente buona: l’elettorato africano-americano costituisce un quinto degli elettori alle primarie democratiche (anche se Biden rimane ad oggi la loro scelta principale). E piace agli elettori dem latinos.
Siamo solo all’inizio della lunga corsa che porterà i Democratici alla scelta dell’avversario di Donald Trump. Molti temono già oggi però che la scelta di una donna possa spaventare l’elettorato americano, ancora troppo sessista. Altri ancora dicono che i swing voters, gli elettori incerti, del Midwest – Ohio, Michigan, Wisconsin, gli ultimi due tradizionalmente democratici ma vinti da Trump nel 2016 – non voterebbero mai per una donna nera e per una piattaforma politica troppo progressista.
Ed è questo l’ostacolo principale che Harris deve sormontare: l’eleggibilità. Perché Biden sta facendo una campagna essenzialmente basata sulle sue sedicenti maggiori capacità di convincere gli elettori degli stati chiave, che avevano votato per Obama e poi per Trump nel 2016, a votare per lui. E tutti i sondaggi confermerebbero questa sua capacità di parlare all’americano medio.
Però Biden rischia di arrivare alla sfida con Trump profondamente indebolito. Quella che doveva essere una marcia pressoché trionfale verso la candidatura democratica, non sembra sarà tale. E Harris ci si è messa di mezzo, più radicale di Biden, ma meno a sinistra di Sanders e Warren.
Se Biden non cambia registro, l’esperienza e l’eleggibilità potrebbero non bastare per degli elettori che hanno ancora voglia di cambiamento.
Che il settantaseienne Biden non sembra incarnare.

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