Le poesie di Emilio Zucchi sono lo specchio di un pianeta organizzato dalla schizofrenia del “Dio algoritmo”, disumanizzato da orizzonti di autoreferenziale vanità, dove i parametri dell’infelice esistenza umana sono “droni, contatti, memory cash collect / alienazione, reificazione; alienazione reificazione… retail, più competizione”, come sembra voler spiegare l’autore stesso in una poesia della sua ultima raccolta Transazione eseguita (Passigli) da poco in libreria.
Apprezzato e fatto conoscere da poeti del calibro di Mario Luzi, Attilio Bertolucci e Maurizio Cucchi, il poeta emiliano (nato a Parma nel 1963) offre una chiave di lettura della realtà alternativa alle interpretazioni di sociologi, psicoanalisti o altri maestri del pensiero più o meno debole. La sua scrittura non è solo un affronto agli schemi interpretativi più in voga sul mondo 2.0, ma uno scossone, un pugno agli incauti lettori alla ricerca di un’estetica postmoderna sì, “ma con juicio”. Vibrano di un’indignazione che visivamente sembra rimandarci al Cretto di Gibellina di Alberto Burri o alle altre opere in tela o in plastica, ritorta in uno spasmo dalla fiamma ossidrica del maestro di Città di Castello.
Notte, tasso variabile, pillole
di benzodiazepine: sì, provare
anche a rinegoziarlo e dopo prendere
due settimane e staccare, no, è meglio
farne tre, due finiscono subito. Lenzuola
nella penombra. Tosse. Smartphone, spiagge.
C’è in molti suoi versi una disperata denuncia dell’organizzazione sociale e della, quasi squadristica, comunicazione:
Fare sistema, fare squadra, fare
impresa: fare rete, sinergie
vincenti, dati all’infinito, vite
precipitate, connessioni, cloud.
Autore di diverse raccolte (Il pane, Il pioppo genuflesso, Le midolla del male) e vincitore di numerosi premi, Zucchi ci ripropone, a volte perfino con ironia, la radiografia di un mondo in affanno appeso a schemi di una realtà virtuale e sofferente.
Scrive nella sua prefazione il critico e poeta Giuseppe Conte:
Da tanto tempo non sentivo nella poesia italiana risuonare tanta energia di ribellione e di opposizione, di critica della civiltà che fa riferimento, aggiornandole, a quelle di stagioni passate ma ancora attualissime, e penso all’idea dell’“uomo a una dimensione” di Marcuse e al concetto di “omologazione” in Pasolini.

La poesia di Zucchi è una poesia di impegno civile presentata in forma di mini-pamphlet in versi, di lirica dell’assurdo quotidiano. Moltissimi sono i riferimenti alla cronaca del passato più o meno recente, dal golpe di Pinochet in Cile all’assassinio di Pasolini, dai bombardamenti americani sui civili nordvietnamiti all’esecuzione degli anarchici Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, ai quotidiani morti sul lavoro.
Tragici fatti storici, luoghi letterari, mediocrità del linguaggio economico e del mondo di cui è espressione, opprimenti scenari scientifico-tecnologici
elencati dall’autore in una nota alla fine della raccolta, sono la materia della sua indagine-denuncia e del suo sguardo sull’uomo e “sull’inspiegabile tragedia del vivere”. Non sfugge al suo occhio attento neanche lo scandalo delle grandi navi che mettono a rischio Venezia.
Orrende grandi navi, incubo urlante
sui nitriti sfiancati delle gondole
nel sole obliquo, luce dissonante
sull’acqua lacrimosa, orrende navi,
incubo freddo, labirinto d’aria.

L’orrore del turismo di massa torna anche in altre poesie, a volte venate da lampi di cinica ironia:
All inclusive, sei giorni. Scusi, ha visto
mia moglie? Sì, c’è un grizzly
nei paraggi, hanno detto… no, il Gran Canyon
va visitato partendo da nord
meglio in maggio, no in giugno. Gigabyte,
cuffie, occhiali da sole. Foto insieme.
La condizione umana nel ventunesimo secolo passa ai “raggi x” della Roentgenterapia di Zucchi a volte con amara ironia, come si è detto, a volte con disperazione:
Vorrei essere un mucchio di pietrisco
e calcinacci in fondo a un terrapieno
ferroviario locale; abbandonato,
e il più possibile dimenticato.

Nell’immagine di apertura il Cretto di Gibellina di Alberto Burri

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