Chiuso nella riservatezza più totale il nuovo premier di Grecia ha fatto solo all’ultimo i nomi dei collaboratori del suo governo. Ha stravinto le elezioni, come era prevedibile dopo i risultati delle europee. Si porta cucito addosso il suo ruolo politico, essendo cresciuto nelle case del potere sin da quando era piccolo: figlio, cugino, nipote di personalità che da decenni sono sulla scena pubblica greca, Mitsotakis ha un cognome che è un marchio di fabbrica. Il padre, Konstantinos (Creta 1918-Atene 2017), è stato a più riprese negli ultimi decenni primo ministro; la sorella Dora Bakoghianni è stata ministra degli esteri con il governo Karamanlis; il nipote Kostas Bakoghiannis è sindaco di Atene da poco più di un mese. Il marito di Dora, Pavlos Bakoghiannis, anch’egli coinvolto attivamente nella vita politica della Grecia e fuoriuscito durante il periodo dei colonnelli, è stato ucciso dai terroristi nel 1989. Una dinastia, dunque.
Gioca in casa Kyriakos Mitsotakis, dunque, con la sicurezza di chi ha le spalle coperte e di chi ha la dimensione internazionale necessaria alla nuova Grecia degli ultimi due decenni. Gioca in casa con gli strumenti di chi è abituato a trattare con il potere con facilità, di chi è abituato a casa, a scuola, per strada e sui banchi del parlamento a essere circondato da persone che sanno come comandare, che sanno stare sedute a tavola in maniera formale, usare la forchetta e il coltello, ma anche – se necessario – mangiare con le mani o in piedi, adattandosi alle circostanze del momento.
Il nuovo Mitsotakis è un uomo di mezz’età. Un tempo sarebbe stato un severo signore ingrigito, oggi si presenta come un uomo vigoroso, capace, con un passato “più lungo” di lui alle spalle e con un futuro ancora più lungo da sperimentare.
Al futuro promesso da Mitsotakis i greci hanno creduto, dandogli larghissimo credito. Non hanno riconfermato la fiducia ad Alexis Tsipras, la faccia nuova della nuova Grecia, che in questi anni difficili della morsa della crisi ha dovuto barcamenarsi con il debito pubblico perdendo gli alleati e la fiducia dei suoi elettori (e spesso anche la faccia, che è sembrata solo una maschera).

Chi va in Grecia da decenni, e non solo da turista estivo, sa che il paese è abituato, da quando è stata ristabilita la democrazia dopo il periodo dei colonnelli dal 1967 al 1974, a fasi di alternanza politica. Conservatori e progressisti si danno il cambio in una forma di corsa alla staffetta, neutralizzando il più possibile gli estremismi: l’orribile e inquietante avanzata dei nazifascisti di Alba dorata è stata tamponata in modo piuttosto efficace, mentre il radicalismo del partito comunista greco filosovietico è stato messo a tacere dall’evoluzione stessa dell’Urss e della nuova Russia.
Il ping pong della politica greca degli ultimi quattro decenni ha visto alternarsi gruppi familiari: Papandreu & company da una parte e Mitsotakis, Karamanlis e Samaràs dall’altra. Tsipras e Varoufakis sono stati una novità generazionale che ha potuto farsi spazio in uno specifico momento economico. Risollevata in parte la situazione, i greci hanno ricominciato a investire come un tempo. In famiglia.
Eccellente interprete di queste storie politiche familiari è Petros Markaris, che nel suo romanzo L’Estate calda del commissario Charitos, (pubblicato nel 2006, da leggere anche prima dell’ultimo – ottimo – giallo Il tempo dell’ipocrisia, appena pubblicato dalla Nave di Teseo) dà un quadro preciso e conciso di quella che era la Grecia all’indomani delle Olimpiadi di Atene del 2004, porta di accesso principale per le operazioni (più o meno lecite) che hanno determinato la crisi economica dell’inizio del terzo millennio.

È un popolo diverso dal nostro, il popolo greco, ha ancora una sua dimensione collettiva, un forte senso di identità nazionale, un rispetto per la famiglia. Un’unità nazionale coltivata con un sistema scolastico paradossale per noi, ma efficace per loro, con manuali unici e gratuiti che trasmettono un modo uniforme e “ministeriale” di raccontare la storia, la letteratura, la matematica, le scienze e che è rinsaldata da una forte impostazione ortodossa, nel rispetto di alcune forme e di alcuni riti (non ho detto di alcune “regole”). Una ritualità familiare, che anche le nuove realtà arcobaleno e/o di famiglie allargate non hanno né indebolito né corrotto.
È un popolo diverso dal nostro, un popolo che ancora canta la sua poesia, che va a teatro a vedere la riduzione scenica delle storie di Tucidide (tutto esaurito a fine maggio lo spettacolo al Megaro Mousikìs), che ha appena mandato in parlamento due scrittori: Vassilis Vassilikòs (nato nel 1934 ma simbolo di libertà sia per aver scritto Zeta, l’ombra del potere) e Rea Galanaki (autrice di straordinari romanzi storico-lirici tradotti anche in italiano, quali Elena o nessuno o Il secolo dei labirinti, e ospite a Venezia a Ca’ Foscari per Incroci di civiltà nel 2014.
Vassilikòs e Galanaki saranno all’opposizione: fra i trecento parlamentari della Voulì greca (la parola antica usata ancora oggi per il parlamento) la maggioranza sarà costituita dai 158 fedelissimi di Mitsotakis. Quando però diranno la loro parola, quanto diranno peserà e sarà ascoltato e ripreso dai giornali e dall’opinione pubblica. Gli intellettuali, in Grecia, ancora si fanno sentire e ci sono. I loro libri vendono lo stesso numero di copie che vende un best seller italiano: ma i greci sono poco più di dieci milioni quindi – in proporzione – i loro numeri sono altri (e sono altissimi). Dove sono i nostri scrittori? Dove sono i nostri lettori? Da noi è diverso, abbiamo una scuola libera di scegliere i libri di testo proposti dalle varie case editrici, va bene, ma perché non iniziamo a interrogarci da dove si deve incominciare? L’alternativa è possibile e salutare, cominciamo dalla lista dei libri la leggere sotto l’ombrellone: Markaris, Galanaki, Vassilikòs.
Apparirà un’altra Grecia, quella che può scegliere ora per i conservatori ora per i progressisti, una Grecia che ha venduto ai cinesi della COSCO il porto del Pireo, riaprendo un dialogo con l’Estremo Oriente. Per mare e per terra i greci hanno sempre avuto rapporti diretti con la Cina. Adesso, gloriandosi di essere le più antiche civiltà del mondo, cinesi e greci hanno avviato un percorso di scambi culturali per giustificare i nuovi rinsaldati rapporti economici. A Venezia, per esempio, s’è appena conclusa una summer school per studenti cinesi della Peking University presso l’Istituto Ellenico di Studi Bizantini e Postbizantini, attualmente in regime di commissariamento gestionale.

Nei prossimi anni, dunque, aspettiamo di vedere come il nuovo Mitsotakis e i suoi collaboratori sapranno conciliare l’Occidente e l’Oriente, e come sapranno gestire il dialogo internazionale. Se Mitsotakis dovesse con scaltrezza “cretese” riuscire a mantenersi in bilico fra Usa e Cina, fra Occidente e Oriente, darà alla Grecia una nuova stagione politica e di prosperità economica. Mi spiego meglio. Gli antichi greci ripetevano un paradosso: un cretese dice che i cretesi sono tutti bugiardi.
Vediamo cosa aspettarci da Kyriakos Mitsotakis, che pur essendo nato ad Atene nel 1967, è cretese, imparentato con Elefterios Venizelos (Creta 1864-Parigi 1936), padre della patria al quale è dedicato l’aeroporto di Atene. Kyriakos, nato cresciuto fuori dalla sua isola, cresciuto a pane e politica, laureato a Harvard, è sposato con l’economista e disegnatrice di moda Mareva Grabrowski (sua coetanea e accanto a lui da più di venti anni), nata ad Atene da una famiglia molto benestante da più generazioni, proveniente dall’Egitto, con interessi in Inghilterra, e con radici greco-polacche.
Tra le prime dichiarazioni del nuovo premier, riferendosi a Mareva, riportiamo:
Senza il suo amore e il suo sostegno non sarei stato qui.
La famiglia, le tradizioni, il presente basato sul passato per garantire il futuro.
Questa è la nuova, vecchia Grecia, che dobbiamo imparare a conoscere fuori dagli stereotipi neoclassici dell’Occidente.

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