Scuola. In cerca dell’autonomia che già c’è

Molti problemi possono (e devono) essere affrontati con l’assetto costituzionale attuale. Ma perché non si fa quello che si può fare (decentralizzazione), e si chiede ciò che non è necessario (autonomia differenziata), trasformando la “possibilità della decentralizzazione” in una questione ideologica e di polemica interna al governo, con il rischio di fare nulla e buttare tutto alle ortiche?
GIAMPAOLO SBARRA
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L’autonomia differenziata si farà o non si farà? La maggioranza di governo troverà l’accordo? E l’opposizione politica e parlamentare, cosa dice? E le “parti interessate”, come la pensano? Il dibattito sull’autonomia differenziata appare piuttosto povero di contenuti e basato prevalentemente sui pregiudizi. Certamente il fatto che la Lega ne abbia voluto fare una questione ideologica (e quindi a prescindere da motivazioni chiare e obiettivi specifici), non ha aiutato l’opinione pubblica a farsi un’idea chiara sulla questione; ma anche l’opposizione, (di allora e di oggi, in Regione e a livello nazionale) che nel 2017 appoggiò acriticamente il referendum regionale, non ha portato alcun contributo, e oggi si trova a dover tacere o a dover contraddire se stessa.

Non entro nel merito delle numerose deleghe richieste dalla Regione in attuazione dell’art. 116 della Costituzione, ma mi soffermerò sul sistema scolastico, e però sottolineo che qualcuno dovrebbe interessarsi di tutte le deleghe, per farci capire cosa potrebbe succedere, dando l’avvio ad un processo di “regionalizzazione” scarsamente controllabile.

Come spesso capita alle discussioni sulla scuola, ad esempio sul valore delle prove Invalsi, anche questa sull’“autonomia differenziata” in tema di scuola è una discussione che non riesce ad andare a fondo del problema, spesso limitandosi ai luoghi comuni.

Peccato, perché la contrapposizione pregiudiziale porterà a gettare, con l’acqua sporca (un’“autonomia differenziata” che spacca il Paese) anche il bambino (la decentralizzazione necessaria).

Ho sentito e letto le interviste del ministro Bossetti e del presidente della Lombardia, Attilio Fontana, e devo dire che se le cose stessero come dicono loro, non servirebbe alcuna “autonomia differenziata”, perché in effetti ciò che essi chiedono è sostanzialmente previsto già oggi, basta precisare la normativa: e una maggioranza parlamentare ampia come l’attuale, può farlo rapidamente.

Non si ricorda mai abbastanza che la Costituzione italiana – in tema di scuola – assegna allo Stato poche competenze di carattere generale: la definizione delle Norme generali, dei Principi fondamentali nella legislazione concorrente e dei Livelli essenziali delle prestazioni; la Regione, invece, ha potestà legislativa in tutto ciò che non rientra nella competenza dello Stato, ha potestà esclusiva sulla “Istruzione e formazione professionale”; in tutti i casi è riconosciuta e salvaguardata l’“autonomia delle istituzioni scolastiche”. Insomma: lo Stato dà gli indirizzi e la Regione gestisce.

Se si parte da quanto ho appena ricordato (e che nessuno ha saputo realizzare: né i governi di centrosinistra né quelli di centrodestra e nemmeno l’attuale giallo-verde), sorge spontanea la domanda: ma perché, potendo fare quasi tutto ai sensi dell’attuale Costituzione e delle sentenze della Corte costituzionale (es. 13/2004), nessuno ha fatto nulla?

In effetti nei quasi vent’anni che ci separano dal 2001 (anno in cui fu approvata la riforma del Titolo V° della Costituzione, poi confermata dal referendum popolare del 2003) nessun provvedimento ha consentito di percorrere la strada aperta alla decentralizzazione.

Il vero rischio che si corre oggi, quindi, è quello di vedere sostituito il centralismo statale con un nuovo centralismo regionale, che può essere anche più invadente a livello ideologico e politico.

La questione è complessa e articolata, ma io vorrei soffermarmi rapidamente su due aspetti.

Partiamo da un luogo comune: l’idea che si possano creare scuole di seria A e di serie B; deve essere chiaro che in Italia questa non è né una minaccia né un rischio: è una dura realtà, che in questi anni di gestione centralistica si è accentuata e (con poche eccezioni) consolidata.

Quindi è certo che servono interventi straordinari innanzitutto nella lotta alla dispersione scolastica e nella gestione delle infrastrutture, ma è anche certo che serve un altro di livello di consapevolezza e di responsabilizzazione delle classi dirigenti regionali e locali.

E da questo punto di vista, l’‘autonomia differenziata” bisognerebbe darla (anche se non la chiedono; e con i finanziamenti adeguati) alle Regioni più arretrate, non a quelle i cui studenti si pongono nelle migliori posizioni delle classifiche internazionali Ocse-Pisa e nazionali Invalsi.

E ancora da questo punto di vista, sarà utile superare il concetto della “spesa storica” per arrivare ai “costi standard”.

Ma tutto questo poteva essere fatto a Costituzione vigente (anzi, era richiesto dalla Costituzione vigente): perché non è stato fatto?

Il secondo aspetto è quello del personale. La scuola italiana sembra appesa all’albero del precariato: mancano docenti e dirigenti; è ormai chiaro che il pachiderma ministeriale non è in grado di garantire una gestione ordinata della scuola, e periodicamente è costretto a ricorrere a procedure d’urgenza o a sanatorie. Senza dire che ogni anno circa un terzo dei docenti chiede e ottiene il trasferimento.

In questo contesto, non mi sembra una barbarie affermare che i concorsi devono essere su base almeno regionale e che tutti possono concorrere per insegnare in qualsiasi Regione, salvo che poi vi si devono fermare per un periodo mediamente lungo, affinché la “continuità didattica” diventi un metodo e non un pretesto o una velleità.

Per fare questo, non è necessario che il docente diventi un dipendente regionale (anche se, in verità, è ovvio porre la questione di chi sia il “datore di lavoro” del docente, nel quadro costituzionale innovato nel 2001). E non dovrebbe essere un tabù quello di pagare di più chi opera con continuità in sedi davvero disagiate (isolate, con sacche di emarginazione ecc.).

E non mi sembra una barbarie affermare che le scuole potrebbero crearsi un corpo docente “fidelizzato”, anche con “trasferimenti controllati”, a patto che a legittimarli non sia il dirigente con potere assoluto, ma uno staff di dirigenza “di carriera”, non scelto arbitrariamente dal dirigente scolastico; ma questo prevede che si crei una leadership intermedia ed esista una “carriera” per i docenti: questione che non è all’ordine del giorno.

Come si vede, la scuola ha molti problemi, che possono (e devono) essere affrontati con l’assetto costituzionale attuale: basta dare attuazione all’art. 117 della Costituzione.

E quindi, per concludere, ritorna la domanda che non trova risposta: ma perché non si fa quello che si può fare (decentralizzazione), e si chiede ciò che non è necessario (autonomia differenziata), trasformando la “possibilità della decentralizzazione” in una questione ideologica e di polemica interna al governo, con il rischio di fare nulla e buttare tutto alle ortiche?

Scuola. In cerca dell’autonomia che già c’è ultima modifica: 2019-07-13T16:44:07+02:00 da GIAMPAOLO SBARRA
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