Qualche settimana fa si è aperto lo storico processo a France Telecom – oggi Orange – per harcèlement moral, più noto da noi come mobbing. A dieci anni dai numerosi suicidi che avevano colpito l’azienda pubblica nella fase di transizione alla privatizzazione, sei dei suoi massimi dirigenti – e tra questi l’ex amministratore delegato Didier Lombard – dovranno affrontare un processo che potrebbe portarli anche in carcere, se venissero accolte le richieste dei magistrati. È la prima volta che una grande impresa viene perseguita sul piano penale per mobbing.
I dirigenti Telecom France sono accusati di essere responsabili della morte di diciannove impiegati, morti suicidi tra il 2007 e il 2011 e di dodici tentativi. Secondo l’accusa, il passaggio da azienda pubblica a privata, con l’eliminazione di ventiduemila posti di lavoro e diecimila cambi di funzione, e l’organizzazione di modalità sistematiche di pressione sui lavoratori sarebbero all’origine dei suicidi e dei tentativi di suicidio. “Una politica di management concepita al più alto livello e che aveva per obiettivo di destabilizzare le persone” ha affermato l’avvocato di parte civile Sylvie Topaloff.
Per la difesa le sofferenze dei lavoratori sono da attribuire a cause esterne – la concorrenza sfrenata nel settore delle telecomunicazioni e la rivoluzione tecnologica digitale – e non a politiche condotte dal management dell’azienda.

I magistrati che hanno seguito la vicenda hanno elencato in seicento e cinquanta pagine una lunga lista di pratiche ripetute che costituivano “una politica aziendale con l’obiettivo di destabilizzare gli impiegati di creare un clima professionale ansiogeno”. Secondo i pubblici ministeri, l’azienda avrebbe incitato i dipendenti a lasciare il posto di lavoro, ripetutamente e in vari modi; avrebbe forzato la loro mobilità geografica; ne avrebbe isolati molti; altri sarebbero stati devalorizzati con forme di demansionamento.
Molti testimoni raccontano come, con la privatizzazione, le esigenze dell’impresa fossero cambiate, così come le pressioni sui lavoratori: ore supplementari divenute obbligatorie, aggressività, stress, il continuo squillare dei telefoni in open space impersonali. Alcuni raccontano che ogni anno si svolgeva un’intervista durante la quale veniva richiesto ai lavoratori se non avessero intenzione di cambiare lavoro e di cercare un’altra occupazione. Tutto per raggiungere l’obiettivo “ventiduemila”.
Le testimonianze dei lavoratori che hanno tentato il suicidio e dei familiari di quelli che vi sono riusciti sono tutte estremamente drammatiche.
Secondo alcuni medici del lavoro che lavoravano con France Telecom, sono numerosi i casi di persone che in quel periodo sviluppano sindromi ansio-depressive, assuefazione a tabacco e a farmaci, perdita di capelli determinata dallo stress.
Alcuni non resistono e si suicidano, secondo la magistratura inquirente. Come Rémy Louvradoux, che è incaricato della sicurezza per l’azienda in Aquitania: prima il suo posto viene eliminato, poi lo spostano di posizione in posizione, in ruoli sempre più devalorizzanti. Uno dei superiori di Louvradoux riconoscerà che si trattava di una politica con lo scopo di fare in modo che l’uomo uscisse dall’azienda.
Louvradoux cade in depressione e deperisce fisicamente a causa della perdita di stima personale, dicono gli psicologi. Quando scrive all’azienda per ricevere spiegazioni, l’impresa risponde che “l’avevano perso all’interno dell’organizzazione” e che non era più possibile sapere quale fosse il suo ruolo e quale fosse il suo destino nell’azienda. Nel 2011 decide di farla finita e si dà fuoco davanti all’agenzia di France Telecom di Mérignac, nella Gironda.
Lo scopo del processo, secondo molti giuristi, è dimostrare che il mobbing può essere costituito anche da una specifica politica dell’azienda, attraverso l’organizzazione del lavoro. Soprattutto punta a riconoscere il mobbing manageriale, quello che nasce da precise scelte di politiche per le risorse umane. Politiche che, secondo l’accusa, sarebbero state pensate e realizzate per volontà dell’ex amministratore delegato Didier Lombard e del gruppo dirigente dell’azienda.

Sotto accusa è in particolare la scuola di management di France Telecom che quei piani doveva realizzarli. Dal 2008 la scuola comincia quindi a formare i manager dell’azienda su come forzare e facilitare la partenza dei lavoratori. Sarebbe la prima responsabile del clima ansiogeno creato nell’azienda e, secondo l’accusa, il vero laboratorio di un “management del terrore” che ha seguito la ristrutturazione dell’azienda privatizzata.
La strategia venne chiamata Plan NExT (Nouvelle Expérience des Télécommunications) e applica tutta una serie di nuovi metodi di management, giudicati estremamente duri dalla magistratura e dagli esperti: per ridurre il numero dei dipendenti si cerca di degradare le condizioni di lavoro per spingere una parte dei lavoratori alla partenza volontaria, riducendo così anche le indennità da pagare in caso di licenziamento volontario.
Alcuni dei quadri dell’azienda ricorderanno i dossier distribuiti loro dall’azienda in quel periodo. Uno dei dossier era sulla Battaglia d’Inghilterra del 1940 e sul ruolo dei precisissimi caccia tedeschi. A Les Inrocks molti racconteranno come i formatori parlassero della situazione come se fosse una guerra: Telecom France era come l’Inghilterra presa dalla tenaglia nazista e gli avversari erano Free, Bouygues e Nokia.
Durante queste numerose formazioni la società forniva ai quadri anche piccole “astuzie” che avrebbero poi toccato nel profondo le vite di migliaia di persone che lavoravano in France Telecom. Si suggeriva ai dirigenti di fissare obiettivi irrealizzabili; oppure di togliere la sera tutte le sedie dagli uffici. Altre volte i lavoratori arrivavano sul posto di lavoro per scoprire che il loro ufficio era stato trasferito altrove. Alcuni degli impiegati di France Telecom si videro costretti a candidarsi nuovamente per ri-ottenere il proprio posto oppure retrocessi ad altre mansioni e piazzati agli ordini di un loro precedente subalterno.
Tutto fatto per umiliare le persone. Per rendre loro la vita impossibile. E fare in modo che scegliessero di andarsene volontariamente.
La decisione dei giudici arriverà in dicembre. Ma non è stato necessario attendere il processo perché la politica e il mondo dell’impresa prendessero dei provvedimenti. La vicenda France Telecom ha comunque fatto evolvere le pratiche in materia di management e di risorse umane. La politica, all’epoca dei suicidi, decise di intervenire con l’obbligo per le aziende di stilare un regolamento che elencasse tutti i rischi psico-sociali.
E la possibilità di riconoscimento del burn out dettato da un ambiente di lavoro oppressivo come malattia professionale è in parte legato alle tragiche vicende dell’ex azienda pubblica francese. Oggi se esistono procedure e protocolli certi per accertare e aiutare i lavoratori che soffrono per la degradazione delle condizioni di lavoro, lo si deve anche a quest’inchiesta.
L’impatto però sulle aziende è stato ancora maggiore. Perché la vicenda France Telecom non era una vicenda isolata.

I sindacati hanno raccolto ad esempio le prove che a Renault tra il 2013 e il 2017 vi siano statai dieci suicidi e sei tentativi di suicidio legati alle politiche aziendali in termini di organizzazione del lavoro.
O ancora il caso di Sncf, le ferrovie dello stato francesi. I sindacati hanno creato un dossier nel quale si parla addirittura di cinquanta suicidi soltanto nel 2017 per le pratiche lavorative definite dal management dell’azienda.
Se oggi molte imprese attendono di capire quale sarà la decisione dei giudici, serve anche a loro per capire se le disposizioni messe in atto – e previste dalla legge francese volte alla prevenzione dei rischi psico-sociali legati al lavoro – siano sufficienti.
E se vi siano i margini per ricorsi da parte dei lavoratori nei confronti delle aziende e dei loro dirigenti. Potrebbe essere una diga che si rompe.

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