C’è ormai un ritmo quasi “giornalistico quotidiano” con il quale ytali segue le vicende cittadine che si reputano più importanti nell’influenzare lo sviluppo della città futura. Questo fatto e l’uscita del “pezzo di ieri” [a firma di Maurizio Crovato e Rocco Fiano] mi spingono ad alcune precisazioni che riportino la questione della Vida sul terreno della verità dei fatti, da cui può e deve discendere la soluzione politica e amministrativa della vicenda.
Una vicenda che oggi è al centro delle cronache cittadine, a seguito di dichiarazioni della proprietà, delle risposte e delle iniziative degli abitanti e delle prese di posizione di consiglieri comunali.
E la Vida è sempre più un termometro del modo di intendere il governo della città e del rapporto tra turismo e popolazione, della partita tra monocultura e vecchi e nuovi abitanti.
Vorrei riassumere le forze in campo e portare alcuni semplici dati inoppugnabili e che mi fanno immaginare una conclusione della vicenda assai diversa dall’idea che una lettura dei giornali locali cittadini potrebbe dare in questi giorni.
Sono in campo attori diversi che vanno descritti perché dalla soluzione di questo che sembra un gioco di ruolo si decidono le sorti non solo di Campo san Giacomo ma della gestione di una città stretta tra peso delle rendita turistica e capacità della comunità locali di affermare i loro diritti.
Le illusioni dell’improvvido Bastianello e la domanda che sorge spontanea: chi le alimenta, che promesse ha avuto?
C’è un proprietario – Alberto Bastianello – che ha acquisito un immobile in modo apparentemente regolare.
Fatto salvo che, se avesse pagato 911.000 euro (prezzo di mercato in qualche modo riferibile all’acquisto di un ufficio) quello che lui afferma essergli stato venduto come una ristornate (le cui quotazioni di mercato nel caso specifico si assestano sui 2.500.000 euro), la Corte dei conti potrebbe chiamare il venditore – la Regione Veneto – a rispondere di questa svendita per il rilevante danno erariale causato alle casse pubbliche.
C’è un avvocato della proprietà – l’avv. Bartolomeo Suppiej – che appare dotato più di arroganza argomentativa che di ragioni giuridiche e amministrative.
Ha fatto infatti sui giornali cittadini una serie di affermazioni che non fanno onore alla credibilità di un professionista che dovrebbe informarsi prima di usare parole che possono essere facilmente smentite dalla realtà dei fatti.
È falso infatti che “La Vida abbia tutti i requisiti per essere ristorante “.
Non ne ha nessuno.
Non è vero che “in quell’immobile c’era da cent’anni” un ristorante e che, avendo Bastianello investito per fare un ristorante “il suo progetto sia avallato dal Comune, dalle norme, perché la destinazione catastale è questa”.
Un uomo di legge dovrebbe sapere che il catasto è strumento meramente fiscale, mentre la destinazione d’uso di piano (che nel caso specifico esclude totalmente l’uso commerciale o ristorativo) ha valore di legge. Non per niente il PRG ha un iter di approvazione lungo e complesso, che prevede il passaggio per livelli di governo diversi, da quello comunale e quello provinciale a quello regionale.
È tendenzioso perché il piano è strumento garantista e infatti prevedeva che le destinazioni d’uso previste per un immobile (nel caso dell’Antico teatro di Anatomia come per tutte le unità edilizie SU – si tratta di “Musei; sedi espositive; biblioteche; archivi; attrezzature associative; teatri; sale di ritrovo; attrezzature religiose”) potessero essere derogate solo nel caso che alla data del 31 maggio 1996 vi sussistesse un’attività diversa. Ma nessuno può dimostrare che a quella data vi fosse un ristorante o una trattoria, semplicemente perché non è vero.
Resta allora la domanda che è lecito rivolgere all’avv. Suppiej e al sig. Bastianello: essendo il loro progetto contrario alla legge, chi in Comune lo ha – come loro sostengono – avallato?
Servono nomi, cognomi, atti ed uffici coinvolti che giustifichino questa affermazione.
Che in caso contrario è una fanfaronata, che non potrebbe in alcun modo coprire l’abuso che starebbero facendo se i lavori in corso fossero destinati – come da progetto presentato in Comune e Soprintendenza – all’apertura di un ristorante.
Si tratta di vedere se il proprietario e il suo legale lo dicono ora o lo paleseranno quando presenteranno agli uffici comunali la domanda per ottenere i necessari permessi ad intervenire.

Il ruolo del Comune, che deve uscire allo scoperto
e assumersi le sue responsabilità politiche
Se arrivassimo a quel punto il Comune non potrebbe concederlo, per non compiere un abuso, andando contro alla regole che esso stesso si è dato.
Allora ci potrebbe essere l’ipotesi che qualcuno in Comune abbia illuso la proprietà di poter operare e concludere l’intervento in “continuità catastale”, cioè basandosi sul fatto che al catasto l’immobile è classificato come commerciale.
Dal momento che così non è, in questo caso è il Comune che va chiamato a esprimersi con chiarezza. L’atteggiamento delle tre scimmiette (io non vedo, io non sento, io non parlo) non regge, come non è ammissibile scaricare tra diversi uffici responsabilità che sono dell’Amministrazione pubblica in quanto tale.
L’associazione About ha fatto un accesso agli atti la cui risposta è arrivata in questi giorni.
[con essa] si comunica che lo scrivente ufficio [l’ufficio edilizia del Comune] non ha rilasciato alcun titolo all’esecuzione delle opere (che configurandosi come interventi di manutenzione ordinaria non necessitano di alcun titolo abilitativo ad eccezione di parere della Soprintendenza).
[Ma] si segnala infine che per l’immobile a S. Croce 1507 è stato approvato un progetto di adeguamento fognario con PG 2018/0612832 del 19/12/2018. Il progetto prevede la costruzione dell’impianto fognario (due fosse settiche e una condensa grassi) a servizio di un ristorante da realizzare al piano terra (sub. 7) e di un appartamento al primo piano (sub. 2).
Ma se il Comune ha approvato (con un suo ufficio che si occupa delle regolarità degli impianti fognari) la costruzione di impianti a servizio di un ristorante al piano terra, vuol dire che conosce quel progetto e lo ha in qualche modo avallato.
Un altro accesso agli atti fatto (dalle tre Associazioni Poveglia per tutti, Eddyburg e PER) presso la Soprintendenza ha consentito di prendere visione del progetto presentato dalla proprietà.
Si tratta di sostanziali rifacimento interni: spostamento servizi, impianto di cucina a locali di servizio oltre alla realizzazione di una fossa settica – che si legge al servizio di 34 coperti offerti all’interno e 96 (!!!) all’esterno. Si tratterebbe dell’occupazione del campo con la sua sottrazione al gioco dei bambini. Una misura in contrasto con il pianino che regola l’assegnazione dei plateatici e con la funzione di standard urbanistico di aree e attrezzature di intervento pubblico assegnato al campo stesso nella carta comunale degli standard urbanistici.
Interventi che è tra l’altro evidente vadano ben al di là di una manutenzione ordinaria…
Mi sembra quindi chiara una cosa: se il Comune (non i suoi singoli uffici, ma una Amministrazione in cui questi “si parlano”) sa che si vuole realizzare un abuso e non interviene per reprimerlo ed evitarlo (cosa possibile solo con l’immediato blocco dei lavori), si rende esso stesso responsabile di omissione d’atto d’ufficio.
Ed ecco allora un bel compito per tutti quanti a livello del Consiglio comunale si sono erti a difensori della Vida dichiarando “barricate in campo per dire di no a quel ristorante” (Monica Sambo, Pd) e che si sono battuti al per conservare quello che nell’articolo apparso su ytali a firma di Maurizio Crovato e Rocco Fiano è definito “La Vida o morte è diventato baluardo per chi crede in una Venezia normale”.
Ci sono due cose che i consiglieri, in modo che dovrebbe assolutamente essere bipartisan (trattandosi delle vita di una delle zone da tutte riconosciute come più vive della città storica), potrebbero fare nell’esercizio delle loro prerogative istituzionali, se intendono mettersi al servizio dei cittadini, di quelli che vogliono mantenere gli spazi per una “Venezia normale”:
a) dare il mandato netto alla struttura amministrativa comunale perché agisca subito per evitare l’abuso, bloccando senza indugio i lavori.
Non si tratta di vedere se il Comune intende approvare o meno il progetto di ristorante, perché questo è vietato dalla legge.
A meno che non si voglia portare in Consiglio una variante che cambia la destinazione d’uso per l’Antico teatro di anatomia.
Ma questo avrebbe dell’incredibile perché se fosse fatta sul singolo caso sarebbe un chiaro aiuto a moltiplicare illecitamente il valore di un investimento (compro e pago un ufficio e lo trasformo in ristorante, che mi rende molto di più).
Se invece fosse un cambio di destinazione d’uso esteso a tutti gli immobili classati come S.U., vorrebbe dire poter trasformare in supermercato l’abbazia della Misericordia o consentire di fare un ristorante alla scoletta dei Callegheri, solo per dare l’idea.
b) portare poi questa discussione in Consiglio, ritenendo che il caso della Vida possa essere utile per l’assemblea cittadina nel prendere decisioni che – come tutti dicono spesso di voler fare – sappiano difendere la residenzialità dall’assalto del turismo.
E ascoltare in Consiglio le ragioni degli abitanti potrebbe essere un buon modo per dar voce alla città reale.

Le forze che vogliono che la città continui a vivere
Vanno capite le ragioni per cui la comunità che difende la Vida ha tanto ascolto in città ed è in grado di sensibilizzare strati ampi e differenziati di cittadini.
Perché offre una prospettiva a tutti quelli che hanno nel cuore un atteggiamento nei confronti della città basato sull’“I care”.
Dimostra cioè che esistono e vogliono prendere forma e voce comunità che vogliono prendersi cura dei luoghi e dei paesaggi urbani come “beni comuni” da salvaguardare, con una gestione che sia pubblica, collettiva e basata sulle grandi capacità di inclusione che comunità come quella della Vida hanno dimostrato di avere.
L’esempio della Vida ha dimostrato che una comunità che si dà regole di apertura e ricerca il coinvolgimento dei cittadini, singoli e organizzati, è in grado non solo di tenere aperti spazi, ma di offrire alla città luoghi di incontro e relazione.
E di coinvolgere soggetti diversi e che vogliono mettersi a disposizione, chi gestendo una ludoteca, chi organizzando un cineforum, chi proponendo spazi e laboratori teatrali, chi organizzando eventi culturali e artistici, chi assicurando un presidio costante e inclusivo e la possibilità a tutti di incontrarsi in modo libero e gratuito.
È quello che è successo alla Vida dentro nei sei mesi di riapertura e in parte anche grazie alla Vida accanto, quando era il gazebo il punto di riferimento delle attività.
La morale è che una città ha bisogno di servizi e di luoghi d’incontro e relazione.
Ma di questo sarà possibile parlare dopo che di sia fermata l’ennesima e abusiva sottrazione di spazi dalla residenzialità a favore del turismo.
I cittadini hanno dimostrato di avere idee, forze e disponibilità a mettersi in gioco.
Ora tocca al Comune.
Se ognuno farà la sua parte andrà come nelle conclusioni de “La Vida racconta”, restituzione del laboratorio di scrittura messa in scena dalla comunità:
La Vida sarà bella come sempre, se avrà buona compagnia, quella dei suoi abitanti, che sono sempre lì, in campo, ad aspettarla.

E mercoledì 17 luglio alle 19 la Comunità della Vida chiama di nuovo in campo per un’altra chiacchierata e per valutare insieme come comunicare al campo e alla città e come coinvolgerli attivamente nella battaglia.
La foto di apertura è di Enrica Berti

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