Avrà anche smesso di essere trasversale dal ballottaggio del 2015 Luigi Brugnaro, dopo aver incassato i voti dei moderati di area Pd e essere riuscito a prenderli per il naso facendogli ingoiare l’alleanza organica con la Lega e con le destre pur di battere Felice Casson. Sta di fatto che l’intervista concessa domenica scorsa a II Gazzettino rappresenta un salto di qualità che contiene alcuni spunti, qualcuno pure di potenziale rilievo nazionale. Molti si potranno anche spiegare con il piglio energico e l’ambizione sfrenata del personaggio piuttosto che con la realtà dei fatti. E se per il momento questi rimangono ancora non verificati, meritano comunque che se ne parli anche solo per ipotesi.
Due sono le chiavi di lettura possibili a quanto detto da Brugnaro, e cercheremo di darne conto. La prima quella che egli stesso suggerisce e che l’intervistatore asseconda. L’altra è l’interpretazione di tutte le forze politiche il giorno dopo, Lega compresa, che ci consegna un Brugnaro assai più solo e debole di quello che egli vuole farci apparire. Conscio che l’esito finale con tutta probabilità vedrà un accordo tra fucsia e leghisti, Luigi Brugnaro non ignora il costo che potrebbe esser chiamato a pagare per il prossimo governo cittadino.

Intanto, se prima a ogni occasione si autodefiniva renziano, ottenendo in cambio dai governi di Renzi e Gentiloni fondi che le amministrazioni precedenti si sono sognati, lentamente si è visto costretto a stingere sempre più la sua supposta colorata trasversalità che lo faceva né di destra né di sinistra, virandola decisamente al verde-nero.
Una decisione che ha comportato il sacrificio di quello che era un espediente pensato per catturate i voti dei moderati di sinistra, attraverso il quale era riuscito a proporsi come paladino di una rivoluzione dai connotati volutamente confusi, utile a pescare consensi di qua e di là. E che con l’andar del tempo ha messo in luce un reale asservimento a qualsiasi investimento che arrivasse in città nello spirito del più incallito liberismo, a prescindere dagli effetti che poteva produrre sul suo tessuto.
Notevole la gigantografia della campagna stile Pellizza da Volpedo. Giacca buttata su una spalla, ritratto con i capelli al vento mentre marciava sorridendo verso un radioso avvenire alla testa di un nuovo terzo stato composto di piccola e media borghesia, schiacciato dal ventennio di malgoverno della sinistra. Dopo il lungo tragitto intrapreso, non a caso ora definito comunista nell’intervista, facendo ricorso a un linguaggio che abbonda nella retorica di Salvini. Cercando di far dimenticare come, di quegli stessi ambienti “comunisti”, Brugnaro sia figlio ingrato e ora senza memoria, facendo con loro affari per anni, crescendo con le sue aziende nel territorio, fino ad accarezzare l’idea di farsi votare sindaco nel 2015. Seguendo, di fatto, le sue stesse linee di governo, a sentire l’opposizione piddina, perché se qualcosa di suo Brugnaro ha fatto su Mestre, è stato quello di trasformare un progetto che prevedeva un insediamento alberghiero in zona stazione, in una sorta di penitenziario per turisti. Una specie di campo di concentramento.
È del tutto probabile che qualche scotto più grosso dovrà pagarlo tra il suo elettorato di derivazione cattolica con l’entrata nella sua maggioranza di Fratelli d’Italia, e con il successivo appoggio senza tentennamenti al decreto sicurezza. La vera pietra miliare sulla strada del suo avvicinamento a Matteo Salvini, del quale Brugnaro ha da subito compreso le potenzialità. E, fatti due conti, ha di certo colto la convenienza, non solo in vista della tornata elettorale veneziana del 2020.
Uomo furbo in cui il senso dell’opportunità è il faro dell’agire, Brugnaro agisce naturalmente su più piani, e ha messo in conto la perdita di qualche consenso compresa quella dei pochi consiglieri di maggioranza che dalla sinistra moderata gli provengono, i quali da un po’ gli remano timidamente contro. Sicuro che dallo scambio sul piano numerico avrà tutto da guadagnare, anche qualora la partita fosse il Comune.

Dico anche perché Luigi Brugnaro deve decidere cosa fare da grande una volta che sia finita la sua esperienza di sindaco. Si chiuda essa il prossimo anno o alla scadenza del futuro secondo mandato, che gli spetterebbe di diritto. Qualcuno della sua maggioranza sospetta che, incapace di fare il comprimario, alla fine possa anche lasciare, qualora il prezzo da pagare alla Lega locale per il suo appoggio gli portasse via dalle mani la palla con cui lui vuol sempre condurre il gioco.
Un’ipotesi forse poco credibile allo stato dei fatti quella di lanciare la spugna, ma per nulla peregrina se contemplata nella possibile sorpresa che Brugnaro potrebbe avere in serbo, e che col suo avvicinamento a Salvini potrebbe prendere forma.
Se anni fa guardava a Forza Italia e, suscitando l’incredulità dei presenti, in ambienti romani confidava di avere in tasca l’accordo con Silvio Berlusconi grazie al quale correre come capo del centrodestra, una volta che il partito del suo mentore Renato Brunetta è ormai agonizzante e in attesa di essere divorato dalla Lega, perché non preferire il vincitore?

Di Salvini di sicuro non gli piace solo la questione della sicurezza. Ne condivide il decisionismo, l’approccio populista che premia la chiacchiera da bar sport sulla riflessione politica, l’uso intensivo dei social. A tal punto che, come già accade per Matteo agli Interni, sono in tanti a Venezia a chiedersi quando mai abbia tempo per fare il sindaco, tra ronde notturne con la sua Municipale, tute mimetiche, scorrazzate in plancia delle Grandi Navi, cerimonie di lauree in Piazza San Marco e costumi carnevaleschi da Batman.
In una continua propaganda, fatta dallo staff che gliela cura, che involontariamente sfocia sempre più nell’iconografia del Piccolo Padre, dove lui, onnipresente, rassicura, vigila, protegge, prevede, progetta e sorride, perché l’avvenire è bello, e la rinascita è già iniziata. Se avesse le tette, cito Enzo Biagi a proposito di Berlusconi, i veneziani lo vedrebbero pure come annunciatrice al Tg Regionale.
Quanto al lavoro di sindaco, a sentire l’intera opposizione, l’accusa è di aver messo in piedi un enorme circo Barnum della propaganda e di occuparsi della città solo nella misura in cui collima con i suoi infiniti interessi d’imprenditore. Nel frattempo, e non per opera dello Spirito Santo, le sue aziende prosperano e registrano picchi di fatturato da quando è in carica. E si rimangia la solenne promessa di non fare nulla sui terreni dei Pili, fino alla fine del mandato amministrativo. Terreni che sono inquinati e contigui a Marghera dove pensa di far arrivare le Grandi Navi, e dove vuol intanto far costruire il Palazzetto dello Sport, per far giocare la sua Reyer.
Così, forse un po’ per provocare, un tantino anche per solleticare l’ego dell’intervistato, Il Gazzettino gli chiede a bruciapelo sulla sua disponibilità a fare il ministro in caso la Lega glielo chieda. Una domanda lecita, visti la poliedricità e gli appetiti di un tale personaggio, per quanto ancora lontana da ogni realtà fattuale. Magari solo una speranza ancora riposta nel cassetto dei sogni di Luigi Brugnaro, come già c’era anni fa quello di fare il candidato del centrodestra.

Nonostante la risposta non risponda alla domanda, (poteva essere differente?) non ci sarebbe nemmeno da stupirsi se il Capitano alla fine vedesse in Brugnaro un potenziale acquisto per la sua cerchia. Un consesso dove, tanto per chiarire, esclusi Giorgetti e Fontana, girano uomini che con la Lega hanno poco o nulla a che fare. Come Armando Siri, Borghi, la Bongiorno e lo stesso ex giudice Carlo Nordio.
Sono tutte personalità alle quali Salvini sembra pensare sempre più per incarichi di rilievo, dato lo scarseggiare di una vera e propria classe dirigente leghista. Un motivo, checché ne dicano i leghisti veneziani, per cui forse saranno spinti ad appoggiare Brugnaro fin dal primo turno a Venezia. E una classe dirigente per la nuova Lega di Salvini, che da regionale si propone formazione nazionale, non s’improvvisa.
Le recenti fortune del segretario della Lega hanno fatto emergere la necessità impellente di strutturare e spalmare la quantità di potere che sta cadendo sul partito, costringendolo a piazzare suoi uomini nei posti chiave che si sono resi disponibili. Dalla guida di grandi città, dove la Lega è assente, all’imminente elezione dell’inquilino del Quirinale, fino alla grande partita del rinnovo delle cariche che a breve si aprirà. Probabilmente il vero motivo della durata del governo attuale, che dovrà distribuire incarichi che contano nella magistratura, forze armate e aziende di stato.

Brugnaro sa bene che quella di Salvini è cosa diversa dalla vecchia Lega, e come Zelig si adegua all’uomo forte. Per far fronte alla variabile, ancora corposamente attuale, che il suo orizzonte rimanga veneziano, chiede ogni due minuti l’alleanza a Zaia. Domande senza risposta, che cadono nel vuoto, dando la misura della solitudine e della debolezza di chi le fa. Mentre la Lega demanda continuamente a Salvini il compito di decidere.
E se fosse appunto questa la grande occasione di Luigi Brugnaro per fare il salto che premierebbe la sua lunga marcia di avvicinamento a Salvini arrecandogli il risultato più ambito? Al segretario leghista potrebbe non sfuggire che dargli un ministero avrebbe l’effetto di liberare automaticamente la poltrona di sindaco in laguna, recandogli a portata di mano, lui milanese, la concretizzazione del sogno che generazioni di leghisti veneti hanno accarezzato: conquistare Venezia.
Alla fine, come sembra, chi ha le carte in mano è Salvini, anche in una regione in cui il gradimento a Zaia supera abbondantemente i voti della Lega e si attesta su un sessanta per cento. Brugnaro può anche essere forse stato sfiorato dal dubbio che il governatore del Veneto potesse ipotizzare un suo partito, come da qualche leghista locale già gli è stato consigliato. Soprattutto per i mal di pancia che in regione il governo giallo verde ha procurato. Ma deve aver rivisto i suoi calcoli, volendo Luca Zaia emergere piuttosto per la sua figura di amministratore, estraneo alla gestione del partito.
Da qualche giorno si parla della possibilità che si vada al voto nella primavera del prossimo anno, occasione che forse Brugnaro potrebbe trovare conveniente non farsi scappare per entrare dalla porta principale nel grande giro della politica. In questo caso, il feeling che ha cercato con Salvini non gli tornerebbe utile solo per avere quei voti di cui ha bisogno per governare in città. Che è l’ipotesi che per prima l’ha spinto. Ma per scranni più alti.
Mentre in tal modo la sua poltrona potrebbe liberarsi per Carlo Nordio, in attesa che a costui venissero affidati incarichi più prestigiosi. Nordio è uomo capace di offrire una faccia presentabile al primo sindaco leghista di Venezia. In tal modo tutta la gimkana di poltrone confermerebbe il costituirsi di una squadra di persone che pur non essendo di fede leghista, sarebbero funzionali a Salvini e al suo progetto di partito.
Per Brugnaro una bella soddisfazione, con la quale smentire quelli che a Roma lo considerano poco più di una macchietta, attaccata, come una patella al suo scoglio, a personaggi declinanti come Elisabetta Alberti Casellati, che conta come il due di picche a bastoni, che il sindaco porta in giro in città come una Madonna Pellegrina.
Se avrà la capacità di giocarsela bene con Matteo Salvini, e saprà mettere in campo un po’ di fegato anche rischiando, Brugnaro verificherà personalmente che la cura dei suoi enormi interessi cittadini e nazionali, possono essere meglio tutelati da una comoda scrivania ministeriale. Magari occupandone una come quella dello sviluppo economico, che potrebbe essergli anche congeniale. La sfida è tutta lì: avrà Luigi Brugnaro quel coraggio di prendere il largo assumendo una statura finalmente nazionale che per molti gli difetta?

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