Per una Venezia “PLASTIC-FREE” si può firmare una petizione online promossa dall’autore di questo articolo.
Alla parola sintètico nel vocabolario Treccani sulla chimica, al punto 5, riferendosi al dato che c’interessa, riporta: “In chimica, di sostanza ottenuta per sintesi, non proveniente dall’elaborazione di organismi animali o vegetali (talora sinon. di artificiale): gomma s., resine s.; materiali s., ecc. Fibre s. […]” La storia della chimica ci racconta di quando fu inventato il processo di polimerizzazione o di policondesazione da materie prime quali frazioni petrolifere, gas naturale, carbon fossile, e troviamo che da lì son passati oltre cinquant’anni e questo tema oggi è diventato improvvisamente un problema ambientale, peggio se spostato in un ambiente come quello acquatico marino.
Dati estratti dai rapporti internazionali ci indicano negli oceani tredici milioni di tonnellate all’anno di plastiche con enormi danni per gli organismi marini. A dato attuale ce ne sono già galleggianti 150 milioni di tonnellate e l’ottanta per cento dei rifiuti marini è plastica. Tra i primi a lanciare questo allarme sfiorando le acque dell’oceano Pacifico nel 1997 il capitano Charles Moore che scorgeva dalla sua barca a vela un’isola grande in superficie quanto il Texas, chiamandola the Great Garbage Patch ovvero la grande isola di spazzatura.
Leggiamo che
otto miliardi di euro all’anno è l’impatto economico mondiale del marine litter, rifiuto plastico stimato nel rapporto 2016 Marine Litter Vital Graphics di Unep (United Nations Environment Programme) e Grid- Arendal. Su scala europea, invece, secondo uno studio commissionato ad Arcadis dall’Unione Europea, il marine litter costa 476,8 milioni di euro all’anno.
Una cifra che prende in considerazione solo i settori di turismo e pesca perché non è possibile quantificare l’impatto su tutti i comparti dell’economia. In particolare, il costo totale stimato per la pulizia di tutte le spiagge dell’Unione Europea è pari a 411,75 milioni di euro, mentre l’impatto sul settore pesca è stimato intorno ai 61,7 milioni di euro.
Se si mettessero in campo delle politiche di prevenzione efficaci, oltre a ridurre i rifiuti in mare, si avrebbero risultati non indifferenti. Ad esempio, con l’adozione degli obiettivi Ue, l’utilizzo di un unico standard di valutazione, l’aumento del riciclaggio dei rifiuti e del packaging, la riduzione e l’eliminazione delle discariche, si avrebbe la massima riduzione del marine litter (-35, 45 per cento) e un ricavo sui costi di 168,45 milioni di euro all’anno.
Ricordiamo che da Rio de Janeiro 1992 a Kyoto 1997, fino Parigi l’anno scorso, il treno ad alta velocità dell’inquinamento ha portato l’ambiente in un’emergenza planetaria. È ormai un dato comune che indica che nel 1950 venivano prodotte 2,1 milioni di tonnellate di plastica mentre nel 2015 la cifra in tonnellate diventa ben 407 milioni.
Le azioni del climate change del presidente Obama si sono sciolte col presidente Donald Trump il quale nega il clima in nome del dio dollaro. Noi comuni mortali ci domandiamo solo fino a quando.
Si usano termini anglosassoni che entrano nel vocabolario d’uso comune per nascondere gli effetti del cambiamento climatico in modo un po’ puritano, tentando di restringere il problema. Come se non fosse stato l’uomo a causarlo e la sua entropia. Un modo homocentrico da supremazia della specie, poco sensibile e irrispettoso per nostra madre Terra che ci porta in grembo.

Rimanendo nell’isola di plastica in Europa le maggiori direttive in tema sono state pronunciate nel 2008 sui pesticidi, sui composti chimici e sulle conseguenze nell’ambiente marino. Abbiamo visto la lotta per l’ambiente come un cardine fondamentale che ha fatto nascere il Precautionary Principle, ovvero il Principio di Precauzione, assieme a un altro principio, quello di Chi inquina paga. Non è ancora chiaro invece chi pagherà in Laguna di Venezia, ma evidentemente potrebbero essere addirittura incluse le stesse ditte che hanno prodotto e infisso tutte queste palificazioni di plastica tossica omettendo di mostrare la documentazione tossicologica.
Nel 2021 l’Europa bandirà completamente le plastiche monouso ma non basta, perché a Bruxelles le lobby della plastica poi sono le stesse del petrolio e si fanno sempre sentire. La ricerca scientifica, poi, solo di rincorsa controlla e classifica in elenchi i composti chimici tossico nocivi, dibattendo a forza con le direzioni di Bruxelles che governano sia la nostra salute che l’ambiente. Sulle nanoplastiche ancor più piccole delle microplastiche si sa poco meno e si studia, ma in ritardo, pur sapendo che interferiscono sul nostro sistema endocrino.
Dimostrare la serie di patologie che potrebbero causare queste particelle che adirittura respiriamo diventa sempre più costoso e sempre difficile per la scienza.
In ambiente acquatico, dai pesticidi ai polimeri, dai polivinili ai polieuretani e a tutte le derivazioni formate da composti chimici che servono per amalgamare e rendere più elastici i materiali sintetici, sono a contatto diretto con l’ecosistema, e in Laguna di Venezia addirittura con il pesce che ci servono in tavola. Prova ne è che assorbiamo nel nostro corpo ogni settimana l’equivalente del peso di una carta di credito [5 grammi] tramite cibo e acqua.
In Laguna di Venezia l’isola di plastica non è immaginaria: ha una sua forma anche se frammentata ma ben visibile addirittura camminando per le rive dei canali. Questa isola non galleggia ma è immersa e sotto forma di migliaia di pali sintetici per ormeggio o per pontili, ben piantati in città e in tutta la Laguna, sparsi un po’ ovunque.
Se pensiamo che un palo al netto dell’anima di metallo pesa circa 350 chilogrammi, solo per ormeggiare le barche nei canali della città dove ce ne sono ben 18.000, il calcolo sul peso è presto fatto. Poi ci sono i pontili dove i pali pesano di più ma non si vedono e sono migliaia. Sommando il tutto una stima approssimata per difetto può arrivare oltre le ventimila tonnellate. Ma ci si ostina a coprire il legno con la plastica (poliuretano) termorestringente, che poi si stacca e cade nel fondale a pezzi.

Si conosce attraverso un recente studio uscito su Nature Geoscience che ormai le microplastiche, termine coniato nel 2004, si trovano anche nella neve, ma sappiamo poco con quali meccanismi si disperdono. In Laguna l’allarme è stato lanciato dalla Commissione di Salvaguardia il 23 febbraio 2016. Queste disposizioni vincolanti esistono, ma cosa accade realmente? Si aprono campagne contro la plastica perfino dall’Unesco con Plastic free Venice ma le amministrazioni in Laguna cosa fanno?
Quanto costa per l’ambiente la plastica delle acque lagunari? Noi stiamo tentando di stimarlo. Sono in ritardo anzi fanno pochissimo e con dilettantismo, ma noi intanto abbiamo lanciato un programma di bonifica a trecentosessanta gradi che coinvolge tutte le parti in causa.
Ma in Laguna, si sa, si naviga controcorrente. Si prova il colpaccio per incompetenza e si provocano danni ambientali difficili poi da bonificare. Un obsoleto protocollo sull’utilizzo dei materiali per palificazioni e opere marittime ammesse in Laguna di Venezia data ormai 2011 e aspetta invano di essere rivisto o magari annullato in quanto errato e non più aggiornato con le direttive europee vigenti. L’abbiamo scritto e detto da tempo ma il silenzio di chi decide è diventato assordante.
Le amministrazioni che sovrintendono le acque della Laguna di Venezia sono ancora senza un’unica regia.
Il Ministero all’ambiente e alla tutela del territorio e del mare in sintonia con l’Europa ha introdotto una procedura di contromisura dall’inglesissimo Marine Litter, ovvero spazzatura del mare, e Plastic free, che significa liberiamoci dalla plastica.
Si fa finta di non vedere le migliaia di tonnellate di composti chimici tossici e nocivi già irresponsabilmente immessi nell’ecosistema lagunare sotto forma di palificazioni plastiche di ogni diametro, lunghezza e uso. Si progetta per ora l’equivalente del peso di oltre novantamila pali in mano a quattro soggetti pubblici che governano le acque della Laguna di Venezia, e si parla di circa ben oltre le centomila tonnellate di plastica in ambiente acquatico. Queste palificazioni sono incompatibili con il paesaggio e con l’ambiente. Ma conoscendo qual è il ruolo delle multinazionali della plastica non rimaniamo fermi a guardare.
Dato che gran parte di questi polimeri provengono dalla lavorazione di derivati del petrolio, ci pare di affrontare un combattimento come quello tra Davide e Golia. Riuscirà mai Davide a colpire al centro della salute e della tutela dell’ambiente in questo caso lagunare?

Se le amministrazioni che abbiamo chiamato in causa ci aiutassero e il Bene Comune Laguna venisse veramente salvaguardato con conoscenze, dato che abbiamo anche offerto la soluzione efficace ed economica al problema legando insieme paesaggio lagunare e salute, ce la potremmo certamente fare. Non è impossibile e recentemente abbiamo presentato un piano di bonifica dei canali che economicamente potrebbe reggere.
Ma se invece queste amministrazioni sono anche complici dell’inquinamento dell’ambiente acquatico, allora tutto diventa certamente più complicato. Oggi per questo assordante silenzio siamo costretti a rivolgerci al Nucleo Operativo dei Carabinieri NOE per raccontare cosa stanno facendo in fatto di plastiche tossiche in Laguna di Venezia.
Verrà anche il tempo dei conteggi dopo tutto questo patire; andremo a spiegare con dettaglio contabile la partita economica che si stà giocando a danno dell’erario. E questa forse è la sola strada che ci lasciano di scorta, ma a quale costo.
Per ora noi abbiamo fatto i conti in attesa di verifica, mentre qualcuno ci dirà prima o poi se quanto fatto da un singolo cittadino a proprie spese e poi con l’aiuto di associazioni cittadine per la tutela del Bene Comune Laguna, se sia possibile arrestare questa incredibile tendenza. Intanto si parla di Smart city ma ci obbligano a rincorrere i tavoli tecnici delle tre diverse amministrazioni della Laguna, inclusa la partecipata al trasporto pubblico acqueo AVM spa.
Esiste una soluzione al problema sperimentata, brevettata e autorizzata dal Ministero alle Infrastrutture che indica nel palo in legno autoctono protetto da un sistema ecologico a basso costo e a lunga durabilità, il nome: eco-FeO wood protection systemTM, mescolando semplicemente ecologia e biochimica con ossido di ferro.
Qui a Venezia la corruzione del colletto bianco ha tenuto in tutti i modi nascosta questa soluzione, per anni chiusa nei suoi cassetti, e provato a contraffarla; ma ora vediamo se una buona volta si può cominciare a discutere di un serio piano di bonifica per portare i canali alla loro origine. Dato che è diventato un atto dovuto alla comunità anfibia lagunare e al mondo che ci guarda, magari speriamo senza esser costretti a farci aiutare, come spesso accade, dalla Giustizia.

Nell’immagine d’apertura un pontile di plastica nociva e tossica in Canal Grande

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