Afghanistan e Kashmir, nuovi guai per Trump

L’India revoca lo status speciale e l’autonomia del Kashmir mentre il Pakistan riprende il controllo dell’Afghanistan grazie ai Taliban. Il tutto con la “benedizione” del presidente americano. Nuove guerre all’orizzonte.
BENIAMINO NATALE
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L’Afghanistan ai Taliban – la milizia controllata dal Pakistan – il Kashmir (o meglio una parte del Kashmir “storico”) all’India. Questa è la situazione che sta maturando nel subcontinente indiano a causa di una serie di mosse dei protagonisti ispirate dal presidente americano Donald Trump, che sembra alla disperata ricerca di un successo in politica estera da poter usare nella sua campagna per la rielezione.

Tutto a posto, quindi? Un contentino per uno non fa male a nessuno e buonanotte ai suonatori? Così devono averla pensata Trump e i suoi collaboratori: il Pakistan rinuncia a tormentare l’India inviando in Kashmir i guerrieri santi pashutn e punjabi ma ottiene in cambio il controllo sull’Afghanistan. L’India rinuncia ad influenzare Kabul ma si appropria definitivamente del Kashmir – cioè della parte di Kashmir sotto il suo controllo. Infatti, un terzo del territorio è controllato dal Pakistan e un sesto dalla Cina: una discussione delle implicazioni di questa intricata situazione alla luce del diritto internazionale meriterebbe non un articolo, ma un fiume d’ inchiostro, a parte. Qui basti dire che in prospettiva il confine provvisorio tra India e Pakistan, la cosiddetta “linea di controllo”, diventerà definitivo.

Sulla carta, comunque, tutto funziona bene. 

Donald Trump col primo ministro indiano Narendra Modi

Peccato che non si tenga in alcun conto il fatto che esistono i kashmiri musulmani (circa il 60 per cento dei 12 milioni di abitanti del territorio) che non hanno alcuna intenzione di diventare cittadini indiani e gli afghani non-pashtun (circa il 40 per cento dei circa 35 milioni di abitanti del paese), oltre ai pashtun che non si riconoscono nella milizia integralista, che non si sottometteranno mai agli eredi del mullah Omar. Gli uni e gli altri hanno una lunga storia di guerra e di guerriglia e non ci sono dubbi sul fatto che si ribelleranno. In poche parole, è estremamente probabile che e la “visione” di Trump per il subcontinente si risolverà in un ennesimo bagno di sangue.

Ma vediamo come si sono svolti i fatti.

Il 5 agosto, dopo aver mandato nel territorio altre decine di migliaia di soldati (ora ci sono tra i 600-700mila militari per controllare circa 8 milioni di persone) il governo indiano di Narendra Modi ha annunciato di aver abolito lo status speciale dello Stato del Jammu e Kashmir e di averlo diviso in due “Territori dell’Unione”. Uno dei due “territori” – con autonomia ridotta rispetto agli “stati” – si chiama Jammu e Kashmir e comprende i musulmani della Valle del Kashmir (o Valle di Srinagar) e l’altro Ladakh – abitato da una minoranza buddhista etnicamente tibetana, oltrechè dai musulmani dell’area di Kargil.

La mossa è stata accolta con favore dalla maggioranza dell’opinione pubblica indiana – oltre al Baharata Janata Party (Bjp) hanno votato a favore della nuova legge molti partiti regionali – ed è stata respinta da tutto il mondo politico del Kashmir – con l’esclusione dei buddhisti del Ladak, che da anni chiedevano che la loro sorte fosse slegata da quella dei kashmiri musulmani, e dei “pandit” hindu del Kashmir, che sono stati cacciati con le armi dal territorio dagli estremisti islamici. Il Kashmir è sotto coprifuoco e sono stati arrestati anche i leader politici che storicamente hanno appoggiato l’India contro il Pakistan e gli indipendentisti, come gli ex-chief minister – Omar Abdullah e Mehbooba Mufti.

Donald Trump col primo ministro pachistano Imran Khan

A livello internazionale la decisione indiana è stata condannata dalla Cina (che è alleata del Pakistan e che ha una serie di dispute territoriali con New Delhi), mentre gli Stati Uniti l’hanno avallata affermando che si tratta di un “problema interno” e il resto del mondo l’ha ignorata. Alcuni commentatori l’hanno vista come la risposta dell’India all’accordo tra Stati Uniti e Pakistan sul futuro dell’Afghanistan, che verrà riconsegnato ai Taliban e ai suoi protettori pakistani.

L’esercito di Islamabad – il “vero” governo del Pakistan – ha creato negli anni Novanta la milizia integralista e da allora l’ha usata per portare avanti la sua agenda, cioè il raggiungimento di quella che viene chiamata la “profondità strategica” e che in pratica significa che il Pakistan controlla il vicino paese attraverso i suoi clienti integralisti.

L’accordo è maturato nei colloqui in corso Doha, nel Qatar, tra gli inviati dei Taliban e il plenipotenziario americano Zalmay Khalilzad. Dagli incontri è escluso il governo di Kabul guidato da Ashraf Ghani. Secondo i cronisti che seguono i colloqui, la firma di un accordo che prevede il graduale ritiro delle truppe americane (ecco l’arma elettorale di Trump) in cambio della “promessa” da parte dei Taliban di non ospitare, come hanno fatto in passato, i membri dell’Internazionale islamica del terrore, è imminente, questione di giorni più che di settimane.

In poche parole, si tratta di una vittoria dei Taliban su tutta la linea: gli estremisti saranno liberi di riprendere il controllo di tutto il paese, di liberarsi degli oppositori con i loro metodi spicci e di ripristinare il loro sistema islamico medioevale, con tanto di impiccagioni pubbliche, di tagli delle mani ai ladri, di lapidazioni di supposti adulteri/e e omosessuali.

Del resto, gli Stati Uniti non hanno mai sciolto l’ambiguità di fondo della loro politica in Medio Oriente, i cui pilastri sono le alleanze con Israele e con l’Arabia Saudita, il paese che – molto più dell’Iran degli ayatollah, indicato come il nemico numero uno da Trump – è l’ispiratore e la patria spirituale dell’islam più retrogrado e dei gruppi terroristici musulmani, a partire da Al Qaeda e dagli attentatori del 11 settembre.

La svolta è stata sancita dalla sorprendente visita a Washington, a fine luglio, del premier pakistano Imran Khan e del capo dell’esercito di Islamabad, generale Javed Bajwa. Mettendo fine ad un lungo periodo di gelo nelle relazioni – lo stesso Trump aveva avuto modo di affermare che il Pakistan non “faceva niente” per aiutare gli Stati Uniti nella regione – i dirigenti pakistani sono stati non solo ricevuti e ascoltati, ma hanno avuto la concessione di sentirsi dire da Trump che non solo lui, Trump, era pronto a mediare tra India e Pakistan sul Kashmir, ma che la mediazione gli era stata chiesta da Narendra Modi.

Afghanistan, un gruppo di Talebani

L’ennesima balla del presidente degli Stati Uniti, vero, ma ormai è chiaro da tempo che con The Donald il confine tra verità e menzogna è estremamente labile. Come dicevano i personaggi di George Orwell, “la pace è guerra la guerra è pace”.

Opportunismo, cinismo e superficialità sembrano aver ispirato questo “grande piano” per il riordino del subcontinente. Troppo facile fare i profeti di sventura, sottolineando che un Afghanistan dominato dai Taliban e un Kashmir tenuto con un’occupazione militare contro la volontà della grande maggioranza dei suoi abitanti non porteranno ad altro che a nuove crisi e nuovi massacri.

Afghanistan e Kashmir, nuovi guai per Trump ultima modifica: 2019-08-08T14:10:41+02:00 da BENIAMINO NATALE
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1 commento

Pierluigi Gatteschi 8 Agosto 2019 a 19:37

Articolo interessamte che mostra una grande conoscenza sia della questiome Kashmor che della questiome Afhganistan…htande Benoamino

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